Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 27-09-2011) 31-10-2011, n. 39292

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Agrigento, in sede di riesame, ha confermato il provvedimento del 24 febbraio 2011 con cui il G.i.p. aveva disposto il sequestro preventivo del Centro Fisioterapico (OMISSIS), di cui è socia al 70% M.M. P., indagata del reato di esercizio abusivo di professione sanitaria, perchè all’interno del Centro si sarebbe esercitata l’attività di fisioterapia riabilitativa da parte di soggetti privi della laurea triennale richiesta e in assenza di medici fisiatri.

M.M.P. ha proposto personalmente ricorso per Cassazione con cui ha censurato l’ordinanza del Tribunale per essersi limitata al mero accertamento circa la sussistenza del fumus del reato di cui all’art. 348 c.p., senza accertare in concreto quali terapie fossero state compiute nel Centro e, in particolare, omettendo di verificare se C.D. e B.R., entrambi massoterapeuti, avessero effettivamente praticato attività riabilitative proprie del fisioterapista o comunque non rientranti nella loro specifica competenza.

Inoltre, contesta la decisione del Tribunale in quanto fondata sulle dichiarazioni inutilizzabili di V.L. e V. M., che avrebbero dovuto essere sentiti come indagati e non come persone informate sui fatti.

Con un altro motivo la ricorrente deduce la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza di un rapporto di pertinenza tra il reato ipotizzato e il Centro Fisioterapico oggetto del sequestro.

Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi.

Quanto al primo motivo si osserva che correttamente il Tribunale ha limitato il suo controllo alla sussistenza del fumus commissi delicti in quanto il presupposto del sequestro preventivo non è costituito dalla gravità degli indizi di colpevolezza, come per le misure cautelari personali, ma da una verifica limitata alla astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato, che tenga conto, in maniera puntuale, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi prodotti dalle parti. In altri termini, la verifica del fumus del reato non deve estendersi fino a far coincidere l’esame con un vero e proprio giudizio di colpevolezza – come invece sembra pretendere la ricorrente -, dovendo restar fuori dall’indagine il complesso degli elementi di valutazione che concorrono ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’indagato. Ed è quanto ha fatto, correttamente, il Tribunale che ha verificato in concreto l’ipotesi di reato, sulla base delle indagini eseguite dalla polizia giudiziaria, da cui è emerso che ad operare nel centro (OMISSIS) erano C.D. e B.R., che questi non erano fisioterapisti e che gli stessi hanno eseguito, in alcune occasioni, trattamenti fisioterapici per i quali non erano abilitati (teste L.A.). Elementi che, allo stato, giustificano l’emissione del sequestro con riferimento alla sussistenza del fumus, sicchè appare irrilevante, in base alla prova c.d. di resistenza, la questione posta nel ricorso in ordine alla inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da V. L. e V.M..

Del tutto infondato è anche l’altro motivo, con cui si nega il rapporto di pertinenza tra il reato e il centro fisioterapico. In realtà, il Tribunale ha bene evidenziato come la libera disponibilità della struttura sanitaria comporterebbe il rischio di reiterazione della condotta delittuosa, cioè consentirebbe la continuazione di un’attività paramedica o medica abusiva, con conseguenze negative non solo per le categorie professionali interessate, ma anche per la salute dei clienti del centro. In sostanza, secondo i giudici del riesame lasciare la disponibilità del centro (OMISSIS) ai proprietari avrebbe come effetto l’aggravamento delle conseguenze del reato ed è in tale rapporto di strumentalità tra res e reato che consiste il nesso pertinenziale che la ricorrente vorrebbe negare.

Alla manifesta infondatezza dei motivi consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in Euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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