T.A.R. Sicilia Catania Sez. I, Sent., 01-12-2011, n. 2814 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L’odierno ricorso proposto da F.G. contro il Comune di Capo d’Orlando rappresenta una appendice, o una filiazione, di una complessa vicenda processuale già esaminata da questo Tar in un recente passato, e definita con le sentenze di questa Sezione nn. 251/2006 e 476/2008.

In particolare, il contenzioso vedeva contrapposto, da una parte, il ricorrente F.G. interessato ad ottenere la concessione edilizia relativa ad un progetto di fabbricato e, dall’altra parte, il Comune di Capo d’Orlando che riteneva non esercitabile in concreto lo ius aedificandi in considerazione del mancato rispetto della distanza regolamentare minima fra l’edificio in progetto e quello realizzato abusivamente sul lotto confinante dal controinteressato Gatto Angelo; edificio, quest’ultimo, oggetto di due successive (e diverse) procedure di sanatoria edilizia conclusesi con il rilascio delle concessioni in sanatoria.

Con le citate sentenze nn. 251/2006 e 476/2008, la Sezione ha dunque: annullato i due titoli in sanatoria rilasciati in favore del controinteressato Gatto Angelo; annullati gli atti contenenti il diniego di rilascio e la sospensione dell’esame della concessione edilizia chiesta dal ricorrente F.G.; dichiarato inammissibili per genericità le domande di risarcimento danni proposte dal ricorrente F..

Col ricorso in esame il ricorrente F. richiede oggi a questo giudicante di pronunciare condanna a carico del Comune di Capo d’Orlando, per il risarcimento dei danni causatigli a seguito della mancato rilascio della concessione edilizia richiesta, che vengono quantificati in Euro 222.000 a titolo di lucro cessante, e di Euro 138.522,62 quale danno emergente.

Il Comune di Capo d’Orlando, costituitosi in giudizio, ha eccepito la prescrizione del diritto al risarcimento, ed ha contestato la sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano necessari a fondare la pretesa risarcitoria di parte ricorrente, evidenziando che in ricorso sarebbe stata solo comprovata l’illegittimità dell’azione amministrativa senza alcuna dimostrazione in ordine all’elemento soggettivo, ed al nesso di causalità che dovrebbe collegare la condotta illegittima al danno. In subordine, ha chiesto che venga riconosciuto il concorso di colpa del danneggiato ex art. 1227 c.c.

Nell’ultima memoria difensiva depositata in giudizio, il ricorrente ha cercato di supplire alle mancanze eccepite dalla difesa dell’ente, introducendo ulteriori elementi di valutazione della condotta del Comune e dei suoi funzionari.

L’eccezione preliminare sollevata dalla difesa del Comune resistente appare fondata.

Invero, il ricorso introduttivo del giudizio si limita ad evidenziare – con argomentazioni ricavate dal testo della precedente decisione di questo Tar, che viene ampiamente riportato – l’illegittimità della condotta tenuta dal Comune allorquando ha denegato il rilascio della concessione edilizia ed ha concesso due sanatorie a favore dell’immobile del controinteressato. Tuttavia, come correttamente eccepisce la difesa dell’ente resistente, e come ha anche rilevato questa Sezione nella precedente decisione n. 476/2008 emessa sul caso in esame (cfr. le pagg. 16 e 21), la dimostrazione della illegittimità dell’atto o provvedimento amministrativo rappresenta solo una della condizioni necessarie (ma da sole non sufficienti) ad integrare il paradigma della responsabilità extracontrattuale, occorrendo in aggiunta anche la dimostrazione dell’elemento soggettivo e del nesso di causalità fra condotta e pregiudizio.

Orbene, tali ultimi elementi non risultano affatto menzionati nel ricorso, che si vuole basare solo (sembrerebbe, in modo esaustivo) sulla acclarata illegittimità degli atti adottati dalla PA. Né potrebbe farsi applicazione, nella materia in esame, del principio posto dalla Corte di Giustizia dell’UE (sentenza 30 settembre 2010, C314/09) laddove stabilisce che "La direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata".

Come risulta evidente dalla lettura della massima riportata, solo in materia di appalti pubblici assoggettati alla normativa comunitaria non è necessaria l’enucleazione dell’elemento soggettivo della PA ai fini della pronuncia della responsabilità extracontrattuale degli enti pubblici. Mentre, in tutti gli altri casi, compreso quello in esame, l’illecito aquiliano risulta regolato dalle ordinarie disposizioni del codice civile.

Sotto altro aspetto, non può valere ad integrare la eccepita mancanza degli elementi strutturali dell’illecito il fatto che gli ulteriori elementi fondativi della responsabilità siano stati successivamente introdotti attraverso la memoria difensiva depositata dal ricorrente: è noto, infatti, che sul piano processuale, tutti gli elementi necessari a corredo della domanda giudiziale devono essere necessariamente contenuti nell’atto introduttivo del giudizio amministrativo, pena l’inammissibilità; mentre alle memorie difensive è riservato il ruolo, secondario o subordinato, di chiarire ed approfondire le censure e/o le richieste già contenute nell’atto introduttivo del giudizio (Tar Basilicata 35/2011; Tar Napoli, IV, 25190/2010; Tar Napoli, I, 16615/2010; Tar Sardegna 1240/2010; CGA 234/2006).

Le predette precisazioni devono ritenersi, peraltro, già acquisite al patrimonio conoscitivo di parte ricorrente, dal momento che con la citata sentenza n. 476/08 è stata respinta analoga domanda risarcitoria avanzata nei confronti dell’odierno resistente, proprio per la acclarata genericità dell’azione, che non era stata confezionata in maniera completa nel ricorso introduttivo, e che era stata successivamente ampliata ed approfondita in maniera impropria con la memoria difensiva (cfr. le pagg. 16 e 21).

A margine, comunque, il Collegio non può omettere di precisare che il presunto pregiudizio lamentato dal ricorrente sia in realtà insussistente dal momento che rimane salva – e va affermata in modo chiaro – l’attuale giuridica possibilità per il ricorrente di ottenere, in via diretta, il bene della vita cui aspira, ossia, la possibilità di ottenere la concessione edilizia per realizzare l’edificio. Ne consegue che non potrebbe darsi spazio ad una tutela succedanea, da fornire attraverso il risarcimento per equivalente monetario, nel momento in cui l’interesse del ricorrente può ancora essere garantito in via primaria e diretta attraverso l’adozione del provvedimento amministrativo idoneo a soddisfarlo.

In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

La peculiarità della vicenda descritta induce a compensare le spese processuali.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile con le precisazioni di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Biagio Campanella, Presidente

Salvatore Schillaci, Consigliere

Francesco Bruno, Primo Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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