Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-09-2011) 31-10-2011, n. 39257

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Svolgimento del processo

Ricorre a questa Corte il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Ancona avverso la sentenza del Tribunale di Pesaro, del 4 ottobre 2010, che ha dichiarato improcedibile l’azione penale nei confronti C.P. – imputato ex art. 81 c.p., comma 2, art. 624 c.p., art. 625 c.p., comma 1, n. 7, art. 61 c.p., n. 11 – per difetto di querela.

Il C. è stato accusato di avere sottratto dai locali di diversi uffici postali della provincia di Pesaro Urbino delle somme di denaro, con le aggravanti di avere commesso i fatti contestati su beni esistenti in ufficio o stabilimento pubblico e su beni destinati al pubblico servizio dell’ente "Poste Italiane", e con abuso di prestazione d’opera, avendo agito approfittando della sua posizione di dipendente della ditta "Telpy", preposta alla manutenzione degli impianti di sorveglianza".

Ha ritenuto il giudicante che non ricorresse, nel caso di specie, l’aggravante di cui all’art. 625 cod. pen., comma 1, n. 7 in considerazione del fatto che le "Poste Italiane" sono una società per azioni ed hanno perso il carattere di pubblicità, intesa come appartenenza ad un ente pubblico, e che, in conseguenza, l’azione penale non fosse procedibile per mancanza di querela.

Avverso tale decisione ricorre, dunque, il PG territoriale che denuncia la violazione dell’art. 624 c.p. e art. 625 c.p., comma 1, n. 7. Sostiene il ricorrente che la trasformazione dell’amministrazione postale in ente pubblico economico e, successivamente, in società per azioni, non ha determinato la sottrazione al regime pubblicistico dei servizi postali, compresi quelli non riservati. Di guisa che, dovendosi intendere quale stabilimento pubblico qualsiasi complesso di opere o di attrezzature destinate alla pubblica utilità e dovendosi ritenere destinata a un pubblico servizio qualunque cosa serva ad un uso di pubblico vantaggio, la circostanza aggravante in questione, correttamente contestata, avrebbe dovuto ritenersi sussistente ed in conseguenza superflua la querela, non essendo necessaria, con riguardo alla fattispecie contestata, la presenza di detta condizione di procedibilità.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

In realtà, come esattamente osserva il ricorrente, e come già affermato da questa Corte (Cass. n. 36007/04), il servizio postale, pure a seguito della trasformazione della amministrazione postale in ente pubblico economico e, successivamente, in società per azioni, ha conservato la sua natura pubblicistica, in ragione dell’interesse squisitamente pubblico che esso continua a perseguire.

E’ proprio il perseguimento di una finalità di pubblico interesse o di pubblica utilità che fornisce un’impronta pubblicistica all’attività postale che, pur fondandosi su una gestione di tipo privatistico, in quanto improntata a criteri di redditività tipici dell’iniziativa privata, tuttavia svolge un servizio di interesse generale in vista dei fini sociali che persegue, i quali impongono alla stessa società il raggiungimento di obiettivi che superano gli interessi di natura privatistica e guardano agli interessi generali.

Da ciò consegue che i locali presso i quali tale servizio viene svolto assumono la qualifica di ufficio o stabilimento pubblico, nei termini intesi dall’art. 625 c.p., comma 1, n. 7, proprio in vista della loro destinazione, che attiene ad un’attività di indiscutibile interesse pubblico e che necessita di maggiore tutela per il servizio al quale sono destinati.

Ha errato, quindi, il giudice del merito, laddove ha ritenuto inesistente la natura pubblicistica del servizio postate ed ha negato la qualifica di ufficio pubblico ai locali ove tali servizi vengono svolti, e dunque insussistente l’aggravante di cui alla richiamata disposizione di legge; ha, in conseguenza, ancora errato laddove ha ritenuto necessaria, per la procedibilità dell’azione penale nei confronti del C., la proposizione della querela, posto che la sussistenza di detta aggravante rendeva l’imputato perseguibile d’ufficio.

La sentenza impugnata deve essere, in conclusione, annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona per il giudizio di appello (art. 569 c.p.p., comma 4).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona per il giudizio di appello.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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