Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-05-2012, n. 6801 Ammissione al passivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il signor G.P., già dipendente dell’Isocom s.r.l. con mansioni da ultimo di direttore generale fino al suo licenziamento avvenuto il 19 dicembre 2006, chiese l’insinuazione al passivo del fallimento Isocom s.r.l. di crediti per differente di TFR e per ferie non godute, indennità di mancato preavviso, nonchè risarcimento dei danni biologico, alla professionalità e all’immagine per comportamenti subiti dal datore di lavoro, e la dichiarazione di nullità del licenziamento. Il decreto di esecutività dello stato passivo escluse l’intero credito, pari a Euro 949.239,47, trattandosi di credito giudizialmente in contestazione.

Il G. si oppose all’esclusione del suo credito. Il fallimento resistette nel merito, in particolare chiedendo che fosse dichiarata la legittimità del licenziamento dell’opponente il quale, approfittando delle lunghe assenze per ragioni di salute dell’amministratore unico, poi deceduto un mese prima del licenziamento, si era reso responsabile di gravissime e reiterate omissioni o iniziative a danno della società, al fine di trame vantaggi personali. Il fallimento chiese anche, in via riconvenzionale, la condanna del G. alla restituzione di un prestito che gli era stato concesso, oltre agli accessori, e al pagamento del danno finanziario subito dalla società per le sue condotte illecite poste a base del licenziamento.

2. Il Tribunale di Bergamo, con decreto 18 ottobre 2010, ha accertato e liquidato i crediti riconosciuti sussistenti in capo all’opponente, ha giudicato illegittimo il licenziamento perchè intimato senza l’osservanza dell’art. 7 dello statuto dei lavoratori applicabile anche ai dirigenti apicali, e ha liquidato le somme di conseguenza spettanti al G. sulla base degli istituti contrattuali applicabili; il tribunale ha poi accertato che il G. aveva tenuto alcune delle condotte illecite contestategli nella lettera di licenziamento, in violazione dolosa degli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede, idonee a giustificare il licenziamento di un dirigente apicale in considerazione del vincolo fiduciario che ne connota il rapporto con l’imprenditore, e tali da causare ingenti danni alla società. Il tribunale, premessa l’inammissibilità della domanda riconvenzionale del fallimento, ne ha poi esaminato il contenuto nei limiti di un’eccezione di compensazione "impropria", ha riconosciuto alcuni dei crediti del fallimento, ha liquidato in via equitativa il danno cagionato dal G. alla società, certo nella sua esistenza, in misura pari a una frazione del fatturato, e tale da compensare interamente i crediti del G., e ha quindi respinto l’opposizione.

3. Per la cassazione del decreto, , ricorre G.P. per cinque motivi, illustrati anche con memoria.

Resiste il fallimento con controricorso e ricorso incidentale per un motivo.

Motivi della decisione

4. Con il primo motivo si denuncia la violazione della L. Fall., art. 98, e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta ammissibilità come eccezione di compensazione, della riconvenzionale spiegata dal curatore fallimentare, incompatibile con il rito camerale disciplinato dalla norma invocata.

Va ricordato, innanzi tutto, che il vizio di motivazione su una questione di violazione di norme del processo è inammissibile, essendo la corte giudice del fatto processuale, come tale legittimata a decidere sulla corretta applicazione delle regole processuali, indipendentemente dalla motivazione della sentenza impugnata. In secondo luogo va ricordato che in questa sede è impugnato il provvedimento emesso dal tribunale in sede di opposizione al passivo, nel procedimento regolato dalla L. Fall., art. 99, e che il tribunale ha deciso sulla base di una richiesta formulata in quella sede dalla curatela, sicchè il riferimento alla L. Fall., art. 98, è manifestamente infondato.

Infine si rileva che a norma della L. Fall., art. 99, comma 7, nella memoria di costituzione la parte resistente deve indicare a pena di decadenza, tra l’altro, le eccezioni non rilevabili d’ufficio, qual è certamente l’eccezione di compensazione. Nella specie il tribunale ha esaminato le richieste della curatela nei limiti, compresi nella formulazione della domanda, di un’eccezione "impropria", perchè le pretese del fallimento avevano fondamento nello stesso rapporto dedotto dal creditore. La decisione è pertanto immune da censure.

5. Con il secondo motivo si denuncia il vizio di motivazione nell’accertamento delle plurime violazioni dolose degli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede imputati al G.. Il ricorrente, senza neppure indicare con precisione il fatto o i fatti decisivi in questione, passa in rassegna, per ciascuna delle condotte illecite accertate a suo carico, le prove utilizzate dal tribunale, discutendone il valore e la portata nel giudizio. Il motivo, che si risolve in una sollecitazione al riesame delle prove nel presente giudizio di legittimità, è inammissibile.

6. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 1223 c.c. e l’insufficienza della motivazione in ordine all’affermazione del tribunale, che dovesse riconoscersi un credito risarcitorio dell’Isocom per i danni certamente subiti dalla società a causa delle condotte illecite accertate, quantomeno in relazione alle vendite sotto costo e agli acquisti eccessivi di materie prime. In tal modo sarebbe stato ipotizzato un danno in re ipsa, senza considerare che la vendita sotto costo può essere giustificata in relazione a particolari strategie aziendali, e l’acquisto di materie prime in eccesso potrebbe aver ottenuto poi il positivo effetto di rendere possibile il soddisfacimento d’importanti commesse.

Il motivo è infondato. La vendita sottocosto e l’acquisto di materie prime in eccesso sono operazioni normalmente antieconomiche, che giustificano la presunzione semplice del danno, con la quale la decisione di merito deve ritenersi sufficientemente motivata. La circostanza che, nel caso concreto, esse costituissero legittimo esercizio di scelte imprenditoriali, o che esse si siano rivelate in fatto vantaggiose anzichè dannose deve quindi essere eccepita – in termini positivi e concreti, e non meramente ipotetici, come nel motivo di ricorso in esame – e dimostrata dalla parte che abbia interesse a farle valere. Ora, il vizio d’insufficiente motivazione, per essere ammissibile, deve tradursi nella denuncia dell’omesso esame, da parte del giudice di merito, di elementi sui quali era stato specificamente sollecitato il suo giudizio, con l’indicazione della sede processuale di riscontro di tale allegazione. Ciò non è avvenuto nel caso presente, sicchè il motivo è da respingere.

7. Con il quarto motivo, denunciando la violazione dell’art. 1226 c.c. e il vizio di motivazione, il ricorrente censura la liquidazione equitativa del danno prodotto alla società dalle condotte a lui imputate, perchè mancherebbe qualsiasi indicazione circa il processo logico che ha portato il giudice del merito a ritenere i danni certi nella loro esistenza, e insuscettibili di prova circa il loro ammontare.

Per quanto concerne l’esistenza del danno, si tratta di una riproposizione del motivo precedente, ed è assorbito dal rigetto di quello. Quanto alla liquidazione dell’ammontare del danno, il motivo è generico, non indicando come sarebbe stato possibile un accertamento diretto dei danni in questione.

8. Con il quinto motivo si censura la determinazione equitativa dell’ammontare del danno alla società con il criterio della percentuale sul fatturato nel biennio 2005 e 2006, mentre il fallimento era stato dichiarato solo il 2 aprile 2009, sì da rendere indimostrata l’affermata corresponsabilità del G. in tale dissesto. Il criterio sarebbe altresì irrazionale perchè porterebbe a rispondere il G. per tutte le vendite realizzate in un biennio, anche in relazione alle vendite a lui non imputabili.

Il motivo è infondato. Il giudice di merito ha indicato il criterio adottato per la determinazione equitativa del danno, e il requisito della motivazione deve ritenersi in tal modo soddisfatto, perchè, tenuto conto del danno accertato e in precedenza indicato, la sua commisurazione al fatturato non è intrinsecamente illogica. Poichè inoltre il criterio adottato è consistito dell’applicazione di una piccola percentuale del fatturato, è infondata la censura che il ricorrente dovrebbe rispondere di tutte le vendite, anche a lui non imputabili.

9. Con il ricorso incidentale la curatela censura l’affermata applicabilità dell’art. 7 dello statuto dei lavoratori al licenziamento dei dirigenti apicali. Le sezioni unite avevano escluso l’applicabilità della norma in fattispecie (Cass. Sez. un. 29 maggio 1995), e la successiva giurisprudenza si era adeguata al principio, salvo alcune distinzioni e un solo precedente contrario. Il revirement operato dalle sezioni unite (30 marzo 2007 n. 7880) era intervenuto dopo che il licenziamento era stato intimato rispettando le norme di legge e facendo affidamento sull’orientamento giurisprudenziale dominante. La nuova regola, frutto di un mutamento giurisprudenziale già soggetto a oscillazioni non poteva essere applicata in danno delle parti.

Il motivo è infondato. Affinchè un orientamento del giudice della nomofilachia non sia retroattivo come, invece, dovrebbe essere in forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali, in altre parole affinchè si possa parlare di "prospective overruling", devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti: che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del precedente indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso; che il suddetto "overruling" comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte. La prima e la terza condizione non ricorrono nel caso di mutamento della giurisprudenza in ordine alle garanzie procedimentali di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7, commi 2 e 3, non equiparabili a regole processuali perchè finalizzate non già all’esercizio di un diritto di azione o di difesa del datore di lavoro, ma alla possibilità di far valere all’interno del rapporto sostanziale una giusta causa o un giustificato motivo di recesso (Cass. 27 novembre 2011 n. 28967).

In conclusione entrambi i ricorsi devono essere rigettati. Le spese del giudizio seguono la prevalente soccombenza del ricorrente principale e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi riuniti, e condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 70.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione della Corte suprema di cassazione, il 16 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2012

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