Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 19-10-2011) 02-11-2011, n. 39316

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza in data 23 marzo 2010, confermava la condanna pronunciata l’11 aprile 2006 dal Tribunale di Reggio Calabria, nei confronti di F.A., P.E., L.M. e B.A., dichiarati colpevoli di ricettazione di beni diversi, tutti provenienti da uno stesso furto in una abitazione, che le parti offese avevano lasciato temporaneamente disabitata.

Propone ricorso per cassazione il difensore di F., P. e L., con un unico atto, deducendo violazione dell’art. 648 c.p., nonchè carenza e illogicità della motivazione, in quanto la sentenza del secondo giudice non avrebbe aggiunto nulla al percorso motivazionale del giudice di primo grado e non avrebbe dato risposta alla richiesta di derubricazione del reato contestato in quello di cui all’art. 712 c.p..

Propone ricorso per cassazione il B. personalmente e censura la commisurazione della pena, che si discosta in misura rilevante dai minimi edittali.

Motivi della decisione

I motivi dei ricorsi sono manifestamente infondati e devono essere dichiarati inammissibili.

Premesso che, secondo costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, le valutazioni espresse dalle sentenze dei giudici di merito dei due gradi di giudizio, non essendovi difformità sul punto denunciato, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico e inscindibile, il ricorso di F., P. e L. è manifestamente infondato, in quanto i giudici di merito hanno evidenziato, per quanto concerne l’elemento psicologico del delitto contestato, che gli imputati non solo hanno sostanzialmente ammesso la loro colpevolezza ora tacendo ora adducendo scuse ridicole, ma che non si sono difesi in alcun modo nè hanno provato o giustificato la provenienza degli oggetti di cui al capo di imputazione.

Manifestamene infondato è anche il motivo di ricorso del B., in quanto la Corte di Appello ha mantenuto ferma la misura della pena irrogata dal primo giudice con il riferimento ai precedenti penali dell’imputato: trattasi di valutazione discrezionale non sindacabile, in quanto logicamente corretta, in questa sede di legittimità.

Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè, ai sensi dell’art. 616, valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dai ricorsi, al versamento ciascuno della somma, che si ritiene equa, di Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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