Cass. civ. Sez. II, Sent., 04-05-2012, n. 6782

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Vi.Ma. e T.A., con atto di citazione del 27 giugno 1987, convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Chiavari, T.V., e, dopo aver premesso di aver acquistato con quest’ultimo un terreno, sul quale avevano edificato una casa divisa in alcune abitazioni e di aver poi proceduto alla divisione dei beni acquistati in comune, facevano presente che erano sorte varie questioni in ordine alla regolamentazione della divisione concordata e dei luoghi di rispettiva proprietà, formulavano, perciò, in primo luogo azione di regolamento dei confini e, contestualmente, apposizione di termini delimitanti i fondi di loro proprietà e quello del vicino convenuto.

Si costituiva il convenuto T.V. che, contestando quanto dedotto con l’atto di citazione e formulava domanda in via riconvenzionale per, ottenere la realizzazione dell’accesso dall’esterno ad un locale comune.

Il Tribunale di Chiavari n. 8 del 2005 respingeva le domande degli attori ed accoglieva la domanda riconvenzionale del convenuto.

Avverso questa sentenza interponevano appello Vi.Ma. e T.A., lamentando l’omessa pronuncia sulla regolamentazione dei confini e chiedendo una nuova valutazione delle richieste formulate in primo grado ed erroneamente valutate dal Tribunale.

Si costituita T.V. chiedendo la conferma della prima sentenza. La Corte di appello di Genova con sentenza n. 728 del 2007, a parziale riforma della sentenza impugnata: a) dichiarava i confini tra i fondi limitrofi di proprietà delle parti e disponeva l’apposizione del termine sull’area scala T.V.; b) dichiarava tenute le parti a realizzare la porta di accesso dall’esterno al locale comune; c) dichiarava esistente sull’intera superficie del perimetro del marciapiede, posto all’esterno dell’edificio comune servitù di:

passo pedonale a favore delle proprietà di tutte le parti in causa e a carico di tutte le proprietà del marciapiede stesso per accedere al locale caldaia comune ed ai muri perimetrali comuni; d) Compensava le sole spese legali del giudizio davanti al Tribunale nella misura di un quinto e condannava Vi.Ma. e T.A. al pagamento delle spese legali del giudizio di appello in favore di T.V.. A sostegno di questa decisione la Corte genovese formulava diverse osservazioni, tuttavia, tutte riconducibili alla relazione peritale che veniva puntualmente condivisa e posta a fondamento della sua decisione.

La cassazione della sentenza della Corte di appello di Genova è stata chiesta da T.V. con ricorso affidato a cinque motivi, illustrati con memoria Vi.Ma. (ovvero gli eredi di Vi.Ma.) e T.A. hanno resistito con controricorso, illustrato con memoria.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo Trabucco Vittorio lamenta la violazione dell’art. 345 c.p.c. e in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Secondo il ricorrente gli attori avrebbero violato l’art. 345 c.p.c. introducendo domande nuove relativamente all’area asservita a parcheggio e tali domande avrebbero dovuto in conseguenza essere dichiarate inammissibili. In particolare, chiarisce il ricorrente, che ove dovesse ritenersi che con l’atto di appello i sigg. Vi.

M. e T.A. abbiano avanzato una domanda di accertamento di servitù, tale domanda sarebbe nuova e come tale inammissibile ai sensi del disposto dell’art. 345 c.p.c. perchè nel corso del giudizio di primo grado gli attori hanno sempre sostenuto che la scala realizzata nella proprietà di T.V. e che da accesso alla strada comunale era di proprietà comune, considerandola ricompresa tra i beni espressamente indicati come comuni nell’atto di divisione. Se invece, per contro – sostiene ancora il ricorrente – gli appellanti non hanno mai proposto, come pare evidente, alcuna domanda volta ad accertare l’esistenza di una servitù sulla scala di cui trattasi e sulla proprietà esclusiva del convenuto ed a favore dell’area a parcheggio, la Corte di Appello avrebbe violato l’art. 112 c.p.c., decidendo su una domanda mai proposta.

1.1 .= Il motivo è infondato e non può essere accolto perchè la Corte genovese non ha esaminato e delibato domande nuove, non proposte nei tempi e nei modi voluti dalla legge ed ha rispettato il principio della necessaria corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, decidendo su tutta la domanda proposta dagli originari attori e non oltre (o fuori) i limiti di essa.

1. 1.a).= Intanto, non vi è dubbio che il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante. Ora nel caso in esame – come pure emerge dalla parte espositiva del fatto riportato nella parte introduttiva del ricorso, gli originari attori, attuali controricorrenti, avevano chiesto tra l’altro che venissero accertati: a) i confini tra i fondi assegnati alle parti con l’atto di divisione di cui trattavasi b) quali erano le parti rimaste in comune. Correttamente interpretate queste domande contenevano in se, anche, la richiesta di determinare l’appartenenza e la destinazione di uso di due beni: 1) dell’area meglio indicata come destinata a parcheggio e 2) della scala -, indicata dalla sentenza – quale accesso alla stessa area destinata a parcheggio, per la ragione assorbente questi beni rientravano, direttamente o indirettamente, nell’oggetto dell’atto di divisione con il quale le parti avevano diviso tra di loro il terreno acquistato da entrambi nel marzo 1970 e costruendo fabbricato.

1.1.b) Pertanto, legittimamente la Corte genovese ha ritenuto di chiarire che l’area asservita e la scala di accesso alla stessa erano posti "dai titoli in proprietà di T.V. e finchè non sarà realizzato il previsto parcheggio non potranno essere usati dagli altri condividenti". 1.1.b.1) Così come legittimante, la Corte genovese ha chiarito che il vincolo di destinazione d’uso relativo all’area cc. dd. di parcheggio non integrava gli estremi di una servitù ma piuttosto di un onere reale, nella consapevolezza che nelle servitù prediali, il comportamento cui è obbligato il proprietario del fondo servente è di tipo negativo (la servitù consiste nel non poter utilizzare pienamente il fondo (servitus in (adendo consistere nequit), mentre, l’onere reale è connotato dalla sussistenza, in capo all’obbligato, di un obbligo di prestazione, ossia di un obbligo positivo di dare o di facere a favore di un altro soggetto.

1.1.b.2).= Ad un tempo, legittimamente la Corte genovese ha chiarito che la proprietà esclusiva della scala di T.V., escludeva attualmente la possibilità di accesso degli appellanti, con la precisazione che quando l’area sarà adibita a parcheggio, e quindi ad uso comune, sarà necessario dare la possibilità a tutti di accedervi tramite servitù sulla scala T.V., laddove però "sarà necessario dare la possibilità a tutti di accedervi" non vuol significare che la sentenza abbia disposto o costituito una diritto di servitù, ma semplicemente che vi erano le condizioni necessarie per la costituzione di un diritto di servitù coattiva nella consapevolezza – come si dice in sentenza – che "il passaggio dovrà necessariamente avvenire tramite detta scala". 2 = Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la carenza di motivazione su un fatto decisivo del giudizio. Errore di fatto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Avrebbe errato la Corte genovese, secondo il ricorrente, nel non aver considerato che l’area destinata a parcheggio non era affatto collegata con la scala di cui si dice che sarebbe stata realizzata molti anni dopo da T.V.. Per altro, specifica il ricorrente come è evidente dall’atto di asservimento l’area in questione asservita a parcheggio a fini meramente amministrativi con atto 28/7/1971 era ed è interamente circondata da terreni di proprietà di terzi ed alla stessa non giunge la scala realizzata dal convenuto nella sua proprietà esclusiva. Piuttosto la scala del convenuto collega la sua proprietà con la via comunale realizzata intorno gli anni 80 e denominata via (OMISSIS) e non con il parcheggio che è circondato da proprietà esclusiva anche di terzi e non confina con la strada comunale. Pertanto, se la scala non è di proprietà comune, se la stessa non raggiunge l’area asservita a parcheggio, ma muove davanti alla strada comunale, se il parcheggio è circondato da terreni di proprietà di terzi, non si vede il motivo per il quale sarebbe necessario dare a tutti la possibilità di accedere alla scala stessa tramite servitù, posto che tramite la scala, comunque, non potrebbero raggiungere il terreno originariamente asservito a parcheggio.

2.1.= Il motivo è infondato e non può essere accolto, non solo perchè sostanzialmente si risolve nella richiesta di una valutazione delle risultanze probatorie, nuova e diversa rispetto a quella compiuta dalla Corte genovese, non proponibile al Giudice di legittimità, ma, soprattutto, perchè la valutazione compiuta dalla Corte genovese è coerente con le indicazioni dell’elaborato peritale, considerato che – come evidenzia lo stesso ricorrente – il CTU si era espresso in termini di servitù su detta scala pur riconoscendo la proprietà esclusiva di T.V..

2.1.a).= E, comunque, adeguato e convincente è il ragionamento della Corte genovese che si conclude con l’affermazione che la scala che dal piano terra consente l’accesso alla strada superiore e al vano sottoscala è situata su proprietà esclusiva dell’appellato (attuale ricorrente) e non è allo stato di alcuna utilità per gli appellanti. Poichè la stessa consente anche l’accesso all’area asservita ad uso comune di parcheggio occorre precisare (….) che quando verrà realizzato il parcheggio si porrà il problema dell’accesso comune tramite la scala di proprietà esclusiva di T.V., il passaggio dovrà necessariamente avvenire tramite detta scala. Nè la necessità di utilizzare detta scala per raggiungere l’area destinata a parcheggio (quando il parcheggio sarà realizzato) viene meno se la scala di cui si dice non arriva direttamente nell’area "asservita" a parcheggio e anche se tra l’area destinata a parcheggio e la scala si frappongono terreni di proprietà di terzi nè a smentire la necessità evidenziata dalla Corte genovese possa essere l’affermazione del ricorrente secondo cui "non si capiva la ragione per la quale ad un’area di parcheggio si sarebbe dovuto accedere, anzichè tramite una strada, tramite una scala e quindi solo a piedi" perchè questa osservazione prescinde dal rapporto che esiste tra l’area asservita a parcheggio e la restante parte del bene cui quell’area apparteneva prima della divisione.

3.= Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la contraddittorietà di motivazione ed errore di fatto decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Secondo il ricorrente la Corte di appello di Genova si sarebbe contraddetta perchè dopo aver affermato che il marciapiede che corre intorno all’edificio è di proprietà personale di ciascuna parte, come risulta dai rispettivi titoli di proprietà ed in quanto non è funzionale all’edificio e non assolve ad alcuna funzione di uso comune ha aggiunto che "sul marciapiede deve essere reso possibile il passaggio per l’accesso al locale comune destinato a caldaia, sia per il controllo dello stato dei muri perimetrali comuni, sia per l’accesso alle rispettive proprietà esterne all’edificio. E di più: a) gli appellanti non hanno alcuna necessità di transitare sul marciapiede di proprietà T. per accedere alla caldaia stessa, cosi come il convenuto appellato: b) una parte del marciapiede è condominiale e quindi già di uso comune e la parte dove deve essere realizzata l’apertura per accedere al locale caldaia costituisce passaggio comune per il raggiungimento della pedonale comunale (OMISSIS).

3.1.= Anche questo motivo è infondato non solo perchè la censura si risolve in una richiesta di un nuovo e diverso giudizio di merito, ed in particolare in una nuova e diversa valutazione dell’atto di divisione, inibito al giudice di legittimità, ma, soprattutto, perchè la decisione impugnata non presenta alcun vizio logico nè alcuna contraddittorietà anzi è adeguatamente motivata.

3.1.a).= Come si legge nella sentenza impugnata " il marciapiede che corre intorno all’edificio è di proprietà personale di ciascuna parte: come risulta dai rispettivi titoli di proprietà ed in quanto non è funzionale all’edificio e non assolve ad alcuna funzione di uso comune. Tuttavia, ad un tempo la Corte genovese, tenuto conto dell’atto di divisione, cioè, interpretando l’atto di divisione, ha specificato che doveva essere dichiarata esistente sul marciapiede esterno alla palazzina, a favore delle tre proprietà, servitù di passo indispensabile per accedere al locale comune costituito da un vano caldaia e con accesso indipendente, per il controllo dello stato dei muri perimetrali comuni, per l’accesso alle rispettive proprietà esterne all’edificio.

Tra le due affermazioni non vi è alcuna contraddizione perchè: a) il fatto che il marciapiede che corre intorno all’edificio non fosse funzionale all’edificio e non assolvesse ad alcuna funzione di uso comune, è destinata ad escludere che quel bene fosse considerato un bene condominiale; b) l’accertata esistenza del diritto personale di proprietà sul marciapiede, non esclude, però, che sullo stesso esista un diritto di servitù, riconducibile all’atto di divisione.

Piuttosto, il diritto di servitù coesiste con il diritto di proprietà, essendo il primo un limite al godimento di questo.

3.1.b) E, di più: a), la Corte genovese nel dichiarare la servitù di passo, di cui si dice, ha considerato: che nell’atto di divisione si prevedeva che al locale caldaia si accedesse dall’esterno, tramite una porta da edificare ove attualmente era presente una apertura: "La porta di accesso al locale caldaia sarà quindi posta all’esterno".

E, di qui la conseguenza, del tutto convincente, che (…) sul marciapiede esterno alla palazzina deve essere dichiarata esistente a favore delle tre proprietà, servitù di passo, indispensabile per accedere a detto locale comune e con accesso indipendente, b) a sua volta, l’affermazione di una servitù sul marciapiede per l’accesso alle rispettive proprietà "esterne" all’edificio, non sembra coincida con l’accesso al portone dell’edificio o con l’accesso alle singole abitazioni, che chiarisce lo stesso ricorrente, l’accesso al portone dell’edificio, avviene attraverso la parte del marciapiede che le parti hanno lasciato volontariamente in comune, e l’accesso alle singole abitazioni avviene in modo indipendente, c) che l’affermata servitù di passo sul marciapiede per l’ispezione dei muri perimetrali – come pure osserva il ricorrente – è un’affermazione ad abundantiam considerato che tale facoltà è concessa a tutti i comproprietari dell’edificio dall’art. 843 cod. civ..

4.= Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1062 c.c. in relazione tanto alla servitù sulla scala esistente nella proprietà esclusiva del sig. T.V. quanto in relazione alla servitù sul marciapiede che circonda l’edificio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Avrebbe errato la Corte genovese, secondo il ricorrente nel ritenere costituita ex art. 1062 c.c. non una servitù per destinazione del padre di famiglia esistendo al momento della divisione le opere visibili e permanenti asseritamente strumentali all’esercizio della dedotta servitù, opere che sono state invece realizzate dopo la divisione ed esecuzione della stessa. Specifica il ricorrente nel caso di specie è assolutamente incontestato e pacifica, lo riconosce la Corte territoriale nella sentenza impugnata, così come lo aveva riconosciuto precedentemente il Tribunale che la scala di cui trattasi è stata realizzata da T.V. addirittura sei, sette anni dopo la divisione stessa, allorquando è stata realizzata la strada comunale denominata via (OMISSIS).

4.1.= Il motivo è inammissibile non solo perchè generico, ma, soprattutto perchè la decisione impugnata non contiene alcun riferimento all’art. 1062 cod. civ. o ad una servitù costituita per destinazione del padre di famiglia, considerato che la Corte genovese si è limitata ad interpretare e a disporre secondo il contenuto dell’atto di divisione e alla luce di quanto evidenziato e chiarito dalla relazione peritale.

5.= Con il quinto motivo il ricorrente lamenta l’omessa applicazione dell’art. 96 c.p.c., comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Secondo il ricorrente, gli attuali resistenti avrebbero agito avrebbero agito senza la necessaria prudenza, trascrivendo la domanda introduttiva del giudizio di 1^ primo grado, considerato che le domande attoree sarebbero state riconosciute sostanzialmente tutte infondate e il diritto dedotto dagli attori inesistente.

Sennonchè avrebbe errato la Corte genovese, secondo il ricorrente, nell’applicare l’art. 96 c.p.c., comma 1, considerato che dovrebbe essere noto che il comma 2 costituisce norma speciale rispetto a quella di carattere generale contenuta nel comma 1 e trova applicazione nelle ipotesi espressamente previste. I comportamenti tipizzati dal comma 2 sarebbero considerati sempre secondo il ricorrente – più severamente di quelli previsti dal comma 1 e per determinare al responsabilità sarebbe sufficiente la sola colpa lieve.

5.1.= La censura non ha ragion d’essere e non può essere accolta perchè la sentenza impugnata ha rigettato la domanda di risarcimento danni per trascrizione della domanda giudiziale imprudente, per la considerazione assorbente che il dritto oggetto della domanda giudiziale era controverso come dimostrava la stessa pronuncia, e, dunque, per l’inesistenza del presupposto essenziale di cui all’art. 96 c.p.c., comma 2. 5.1.a).= Appare opportuno osservare che perchè sorga la responsabilità aggravata ex art. 96 cpv cod. proc. civ. è necessario che sia stato accertato l’inesistenza del diritto per il quale è stato trascritta la domanda giudiziale trascritta e l’accertamento dell’elemento soggettivo della responsabilità stessa e cioè il difetto della normale prudenza nel richiedere tale misura cautelare.

Ora nel caso in esame non ricorreva nessuno dei due presupposti. Non esisteva il primo presupposto perchè la decisione definitiva della Corte genovese riteneva che in parte il diritto fatto valere dal trascrivente era fondato. Non ricorreva il secondo presupposto relativo all’elemento soggettivo perchè il diritto fatto valere era, comunque, controverso e come tale dall’esito ragionevolmente imprevedibile.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, così come verranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi e oltre spese generali e accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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