Cass. civ. Sez. II, Sent., 04-05-2012, n. 6762 Servitù coattive di passaggio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato CONTAS s.r.l., proprietaria di due unità immobiliari site in (OMISSIS), conveniva in giudizio TRIXI s.r.l., proprietaria dello stabile sito in via privata (OMISSIS) e della porzione di strada prospiciente, per fare accertare, ai sensi dell’art. 1079 cod. civ., la titolarità in capo ad essa attrice della servitù di accesso, passaggio (pedonale e carraio) e di parcheggio sulla via Vasto, prevista in tutti gli atti di compravendita stipulati dai precedenti acquirenti con l’unico originario proprietario-costruttore, sull’area antistante la sua proprietà, con conseguente cessazione da parte della convenuta di ogni turbativa o impedimento al libero esercizio di tale servitù, ostacolato dalla presenza di autoveicoli parcheggiati davanti all’ingresso di proprietà di essa attrice, e con conseguente condanna al risarcimento dei danni da liquidarsi in via equitativa.

Si costituiva in giudizio la convenuta chiedendo il rigetto della domanda e affermando di non aver mai negato l’esistenza della servitù di passaggio vantata dall’attrice quale condomina del caseggiato di via (OMISSIS). Escludeva, peraltro, di aver mai posto in atto alcuna turbativa che potesse pregiudicare il corretto esercizio di detta servitù secondo le modalità previste dall’atto in data 8 ottobre 1928, richiamato nel suo titolo di acquisto, che prevedeva sulla via Vasto il diritto per i caseggiati limitrofi di utilizzare tale via "come se si trattasse di pubblica strada" (fatto salvo per l’acquirente il potere di disporne come meglio crederà, ferma la destinazione a sede stradale), ma non – come preteso dall’attrice – esercitando un diritto di passaggio e di parcheggio esclusivo a vantaggio del contiguo caseggiato di via (OMISSIS).

All’esito dell’istruttoria il Tribunale di Milano respingeva le domande svolte dalla società attrice, ritenendo connesso al diritto di servitù, già riconosciuto a favore della stessa con la sentenza n. 1676/2002 del medesimo Tribunale, anche il diritto di fermata nella accezione e con i limiti di cui in parte motiva.

Il Tribunale, premesso che l’esistenza della servitù di passaggio, pedonale e carraio, e di sosta sulla via privata (OMISSIS) era riconosciuta dalla stessa convenuta ed era comunque desumibile dai titoli in atti, risultando altresì accertato il diritto di passaggio dell’attrice con sentenza del 4 febbraio 2002 pronunciata nei confronti del condominio di via (OMISSIS), osservava che il diritto di sosta, oggetto della domanda della società attrice, nella sua accezione più restrittiva qualificabile più precisamente come fermata, non richiedeva un espresso riconoscimento trattandosi di diritto strettamente connesso al diritto di passaggio, peraltro ammesso anche dalla società convenuta. Il Tribunale osservava infatti che, trattandosi di passaggio su strada a fondo cieco, il diritto di transito, ove non fosse stato comprensivo anche del diritto di fermata (per l’attività di carico e scarico o altro), sarebbe risultato privo di ogni contenuto. Con la precisazione che il diritto di fermata poteva anche concretarsi, in taluni casi, in una sosta più prolungata per esigenze particolari, quali ad esempio per la sosta di automezzi piattaforme in ipotesi di trasloco.

Quanto alla pretesa servitù di parcheggio, che a detta dell’attrice sarebbe stata resa disagevole se non impedita dal comportamento della convenuta, che da ultimo aveva frazionato la sede stradale delimitando delle aree di parcheggio, il Tribunale riteneva che non solo l’asserito diritto di parcheggio non era previsto dal titolo del 1928, ma vi erano valide argomentazioni per escludere che la pretesa utilizzazione a fini di parcheggio potesse rientrare nello schema di un diritto di servitù. Il concetto di utilità, intesa come elemento costitutivo della servitù prediale gravante su un fondo per l’utilità di altro fondo, non poteva infatti avere riferimento ad elementi soggettivi ed estrinseci relativi alla attività personale svolta dal proprietario del fondo dominante, ma andava ricondotto al fondamento obiettivo e reale dell’utilità stessa, costituendo esso un vantaggio diretto del fondo dominante per una sua migliore utilizzazione.

Da ultimo, il Tribunale osservava che la creazione da parte della convenuta di posti auto delimitati mediante apposizione di "archetti" non impediva il transito, appariva conforme alla destinazione dell’area a sede stradale e corrispondeva alla facoltà di disporne riconosciuta all’acquirente, in conformità alle esigenze del fondo servente.

Avverso questa sentenza CONTAS S.r.l. proponeva appello cui resisteva TRIXI S.r.l..

La Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 28 gennaio 2010, rigettava l’appello. Quanto al primo motivo con il quale veniva censurata la errata valutazione delle risultanze documentali, la Corte d’appello rilevava che la clausola fondamentale contenuta nell’atto del 1928 non consentiva in alcun modo che potesse ritenersi costituita, in aggiunta alla servitù di passaggio pedonale e carraio, una diversa servitù di sosta e parcheggio, non essendo tale servitù necessariamente inclusa in quella di passaggio. La Corte d’appello osservava altresì che nell’atto del 1928 si parlava di "destinazione a sede stradale nell’interesse … dei fabbricati già costruiti" e, stante la definizione di strada come luogo deputato al transito di pedoni e veicoli, doveva ritenersi evidente la volontà delle parti contraenti di costituire una semplice servitù di transito. Peraltro, considerato che la via privata (OMISSIS) era a fondo cieco, correttamente il giudice di primo grado aveva ritenuto che la servitù di passaggio includesse per lo meno anche il diritto di fermata, da intendersi come occasionale e breve sosta atta a consentire il rapido scarico delle persone e delle merci o anche, in ipotesi eccezionali, una sosta più prolungata per esigenze particolari.

Quanto al motivo concernente la manifesta contraddittorietà della motivazione, ravvisata dall’appellante nell’avvenuto riconoscimento del diritto di fermata, da un lato, e nell’affermata compatibilità del frazionamento della sede stradale mediante apposizione di archetti, dall’altro, la Corte d’appello richiamava il contenuto dell’atto del 1928 che riconosceva il tratto di strada in proprietà esclusiva al dante causa della società appellata, la quale quindi aveva disposto in modo conforme alla destinazione dell’area a sede stradale mediante l’apposizione di archetti finalizzati al parcheggio. Le strade urbane invero sono destinate tanto al transito quanto alla sosta e al parcheggio dei veicoli.

Per la cassazione di questa sentenza CONTAS S.r.l. ha proposto ricorso sulla base di cinque motivi, cui ha resistito con controricorso TRIXI S.r.l. in liquidazione.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato in relazione alla violazione dell’art. 329 cod. proc. civ..

La Corte d’appello, ad avviso della ricorrente, avrebbe ritenuto proposta una domanda – quella volta al riconoscimento di una servitù di parcheggio – che in realtà era stata abbandonata sia nell’atto di appello che nella precisazione delle conclusioni, avendo essa ricorrente limitato la propria richiesta al riconoscimento della servitù attiva di sosta. Sul rilievo che la sosta integra la sospensione della marcia del veicolo protratta nel tempo, con possibilità per il conducente di allontanarsi dal veicolo stesso, mentre il parcheggio è costituito dall’area o infrastruttura posta fuori dalla carreggiata, destinata alla sosta, regolamentata o non, dei veicoli, la ricorrente rileva che il Tribunale aveva rigettato la domanda volta alla costituzione della servitù di parcheggio e che tale statuizione non aveva formato oggetto di appello, con conseguente passaggio in giudicato della stessa. La Corte d’appello avrebbe quindi errato nel ritenere che oggetto del gravame fosse anche la detta statuizione e nel rigettare l’appello con riferimento ad un motivo di gravame non proposto. Da tale errore sarebbe poi derivato sia il rigetto di una domanda non proposta, profilo, questo, rilevante anche sul piano della regolamentazione delle spese del giudizio, sia il rigetto della domanda volta a far cessare la turbativa del riconosciuto diritto di sosta.

1.1. Il motivo è infondato.

Se è vero, infatti, che la Corte d’appello ha riferito, nella parte dedicata ai motivi della decisione, che con il primo motivo di impugnazione l’appellante intendeva dimostrare "il proprio diritto all’esercizio non soltanto di una servitù di passaggio pedonale e carraio sulla via privata (OMISSIS) (riconosciuta e non controversa nel presente giudizio), ma altresì di una "servitù attiva di sosta e di parcheggio" sulla predetta via, e se è vero che nelle conclusioni formulate dall’appellante non era incluso alcun riferimento al diritto di parcheggio, è altrettanto vero che dalla sentenza impugnata emerge chiaramente che la Corte d’appello ha inteso riferirsi in senso atecnico ai concetti di sosta e parcheggio, giungendo a rigettare l’unica domanda effettivamente residuata, quanto al contenuto della servitù vantata dalla appellante, a seguito del rigetto – non oggetto di specifica impugnazione – della domanda concernente il parcheggio, e cioè la domanda volta ad ottenere il riconoscimento di un diritto di sosta di contenuto più ampio di quello riconosciuto dalla sentenza del Tribunale di Milano.

In sostanza, la circostanza che la Corte d’appello abbia svolto le proprie argomentazioni accomunando al diritto di sosta anche il non richiesto, in appello, diritto di parcheggio, ove rettamente intesa la portata della sentenza impugnata, non ha arrecato alcun vulnus alle posizioni dell’appellante. Il rigetto del gravame, invero, non risulta basato sulla negazione della configurabilità della servitù di parcheggio, quanto piuttosto sulla individuazione dei limiti entro i quali la sentenza del Tribunale aveva ritenuto incluso nel diritto di transito il diritto di fermata, affermando che "il diritto di fermata potrebbe concretarsi, in taluni casi, in una sosta più prolungata per esigenze particolari, quali – ad esempio – per la sosta di automezzi o piattaforme in ipotesi di trasloco".

Appare, invero, chiaro che la ricorrente, con riferimento a questa statuizione del Tribunale, sollecitava la Corte d’appello a riconoscere il diritto di sosta, non già quale articolazione del diritto di fermata, ma come autonomo diritto, caratterizzato dal fatto di consentire al conducente del veicolo di allontanarsi dal veicolo stesso; condotta, questa, non rientrante invece nel concetto di fermata. Se questo era lo specifico oggetto della domanda dell’appellante, deve rilevarsi che la Corte d’appello, interpretando e ribadendo la portata della sentenza del Tribunale, ha escluso che la servitù di passaggio, della quale l’appellante pacificamente godeva, comprendesse anche il diritto di sosta, se non nella limitata accezione risultante dalla sentenza di Tribunale. E’ sufficiente, infatti, rilevare che il Tribunale aveva limitato il concetto di sosta alle operazioni di carico e di scarico di cose e persone, precisando che solo in casi particolari la sosta avrebbe potuto protrarsi oltre il tempo necessario alle dette operazioni di carico e scarico, come ad esempio nel caso di trasloco. Orbene, la eccezionalità di tale esempio e la condivisione della soluzione adottata dal Tribunale da parte della Corte d’appello, inducono a ritenere che quest’ultima abbia rigettato proprio la pretesa avanzata dall’appellante, e cioè quella del riconoscimento del diritto di sosta prolungata con assenza del conducente.

Risulta infine chiaro che la statuizione sulle spese discende non già dal rigetto di un non proposto motivo di appello concernente il diritto di parcheggio, ma dalla reiezione del gravame.

Il motivo è pertanto infondato in tutte le sue articolazioni.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione al richiesto riconoscimento del diritto di sosta. La sentenza impugnata, sostiene la ricorrente, sarebbe contraddittoria in quanto, da un lato, ha riconosciuto il diritto di essa appellante alla sosta sulla strada in questione e, dall’altro, ha invece rigettato l’appello; soluzione, questa, che avrebbe potuto avere un senso solo se fosse stata proposta una diversa domanda di servitù di parcheggio, che però nella specie non era stata riproposta in appello.

2.1. Dalle considerazioni svolte in ordine al primo motivo di ricorso emerge con evidenza la infondatezza della proposta censura. Invero, una volta esattamente individuata la domanda della ricorrente in appello come volta ad ottenere il riconoscimento della inclusione nella servitù di passaggio non solo del diritto di fermata ma anche quello di sosta, nel senso evidenziato di fermata prolungata del veicolo con facoltà per il conducente di allontanamento, appare del tutto inesistente la denunciata contraddittorietà della motivazione.

La Corte d’appello ha infatti riconosciuto le facoltà già riconosciute dal Tribunale, sicchè, essendo l’appello finalizzato ad ottenere un ampliamento di quelle facoltà, la soluzione non poteva essere altro che quella del rigetto del gravame.

3. Con il terzo motivo CONTAS s.r.l. deduce falsa applicazione dell’art. 157 C.d.S., 120, 125, figura II 78 e II 124 del D.P.R. n. 495 del 1992. La ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe errato nel qualificare il diritto ad essa riconosciuto come fermata e non già come sosta, pur se la motivazione in proposito spesa dal Tribunale e ribadita nella sentenza impugnata lasciava intendere che oggetto del riconoscimento fosse il diritto di sosta, essendo implicito quello di fermata nel diritto di transito, tanto più che la strada oggetto di servitù era a fondo cieco. La domanda riproposta in appello era quella volta ad ottenere il riconoscimento del diritto di sosta, essendo chiara la maggiore ampiezza di tale diritto rispetto a quello di fermata; invero, durante la fermata – che non deve comunque intralciare la circolazione – il conducente deve essere presente e pronto a riprendere la marcia, mentre nella sosta è consentito al conducente di allontanarsi. Del resto, sia il Tribunale che la Corte d’appello hanno fatto riferimento alla fermata, anche prolungata, in relazione ad operazioni di carico e di scarico e quindi hanno evocato il contenuto del diritto di sosta.

3.1. Il motivo è infondato.

La ricorrente assume che la Corte d’appello avrebbe errato nel qualificare il diritto ad essa riconosciuto come fermata anzichè come sosta.

Al contrario, deve rilevarsi che la Corte d’appello, muovendo, conformemente a quanto ritenuto dal Tribunale, dal rilievo che l’unica servitù costituita in base al titolo era la servitù di passaggio pedonale e carraio, nonchè dal rilievo che la detta servitù – segnatamente quella di passaggio carraio -essendo destinata ad essere esercitata in una strada a fondo cieco, non poteva non essere estesa al diritto di fermata, da intendersi come breve sosta finalizzata al rapido scarico delle persone e delle merci o anche, in ipotesi eccezionali, come sosta più prolungata, ripetendo in proposito l’esempio del trasloco, ha esattamente individuato il contenuto delle facoltà connesse all’esercizio della servitù di passaggio carraio, senza con ciò fare applicazione delle disposizioni del codice della strada che disciplinano la fermata e la sosta, dandone definizioni differenti soprattutto quanto alla facoltà del conducente di allontanarsi dal veicolo.

Del resto, nella interpretazione di atti di autonomia privata, quali quelli esaminati nei gradi di merito del presente giudizio, in cui la clausola rilevante risale al 1928, appare del tutto logico, e rispondente a criteri di ermeneutica condivisibili, che la individuazione della volontà delle parti prescinda dalle definizioni introdotte dal legislatore con finalità diverse da quella della regolamentazione dei rapporti tra privati quanto alle modalità di esercizio di una servitù di passaggio.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia omessa e contraddittoria motivazione in relazione alla falsa applicazione delle disposizioni prima menzionate, dolendosi del fatto che la Corte d’appello, da un lato, abbia riconosciuto il diritto di sosta e, dall’altro, abbia rigettato la domanda volta alla rimozione degli archetti, che l’esercizio di quel diritto impedivano.

4.1. Il motivo è infondato atteso che muove da un presupposto – quello secondo cui la Corte d’appello avrebbe riconosciuto alla ricorrente un diritto di sosta nel senso desumibile dalle pertinenti disposizioni del codice della strada – errato, atteso che, come si è visto esaminando il precedente motivo di ricorso, deve escludersi che la sentenza impugnata contenga un siffatto riconoscimento. Del tutto coerentemente, dunque, la Corte d’appello ha ritenuto che rispetto alle facoltà riconosciute alla ricorrente l’avvenuta installazione di archetti finalizzati a delimitare aree della via privata da destinare alla sosta degli aventi diritto non comportasse alcun ostacolo, anche in considerazione della configurazione della detta via privata come strada a fondo cieco, soggetta quindi ad un transito veicolare assai limitato.

5. Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta falsa applicazione degli artt. 2 e 3 C.d.S., ai sensi dei quali costituisce circolazione non solo il transito dei veicoli, ma anche la fermata e la sosta degli stessi. Sostiene quindi che la previsione pattizia, secondo cui la via privata (OMISSIS) doveva essere trattata come pubblica via destinata a sede stradale, comportava che la stessa fosse destinata al transito, alla sosta e alla fermata, sicchè la Corte d’appello non avrebbe potuto rigettare la domanda volta al riconoscimento del diritto di sosta.

5.1. Anche questo motivo presuppone che ai fini della in- terpretazione della clausola contrattuale e delle facoltà consentite al proprietario della strada, gravata da servitù di passaggio anche carraio, la Corte d’appello avrebbe dovuto fare applicazione delle disposizioni del codice della strada, che dettano le definizioni di strada e di circolazione, con la conseguenza che rispetto a tali definizioni non si sarebbe potuto non riconoscere il diritto di sosta, il cui esercizio sarebbe invece stato impedito dalla delimitazione degli spazi per i parcheggi. Al contrario, la Corte d’appello si è limitata ad esaminare le clausole negoziali rilevanti nella presente controversia e a ritenere che la previsione della destinazione a sede stradale della via privata Vasto nell’interesse dei fabbricati rendesse evidente la volontà delle parti contraenti di costituire una semplice servitù di passaggio pedonale o carraio.

In questo contesto, risulta del tutto non appropriata la pretesa di applicazione degli artt. 2 e 3 C.d.S., laddove ciò che rileva è l’attività di interpretazione e ricostruzione della volontà negoziale dei privati, censurabile per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione, e cioè per vizi che con il motivo in esame non sono stati dedotti.

6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso ; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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