Cass. civ. Sez. II, Sent., 04-05-2012, n. 6761 Successione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata nel 2003, il signor F.R.d.

D.G., nella qualità di procuratore generale di F. R.O., proponeva appello avverso la sentenza del 30 dicembre 2002, con la quale il Tribunale di Roma aveva respinto la domanda della signora F.R.O. nei confronti di D.D.M.A., di revocazione della donazione in data 2 giugno 1992, previo accertamento della sopravvenienza di figli, avendo ella adottato il signor F.R.G., o comunque la revocazione ex art. 801 cod. civ., per ingratitudine della donataria.

Con sentenza depositata il 20 aprile 2010, la Corte d’appello di Roma ha rigettato il gravame, ritenendo inapplicabile l’art. 803 cod. civ. nel caso di sopravvenienza di figli adottivi maggiori di età.

La revocazione della donazione, ha osservato la Corte d’appello, ha il suo fondamento nell’esigenza di consentire al donante una rivalutazione della perdurante opportunità della donazione a fronte del fatto, sopravvenuto, della nascita o conoscenza dell’esistenza di figli o discendenti legittimi, e cioè di eventi che, essendo successivi alla perfezione ed efficacia del negozio di donazione, non possono sullo stesso influire se non nel momento in cui si siano verificati, e sul presupposto dell’assenza di consapevolezza da parte del donante del fatto determinante la revoca o di un legame naturale tra donante e figlio.

Secondo la Corte d’appello, il dato di partenza che giustifica la possibilità della revocazione di una donazione è sempre rappresentato da una condizione, fisica o mentale, del donante che al momento della donazione non ha avuto ancora figli o ne ignora l’esistenza, e quindi di un soggetto che non deve trovarsi nella condizione di poter operare un tardivo ripensamento in presenza di una diversa condizione, come quella della sopravvenuta adozione di un maggiore di età ex art. 291 cod. civ.. La revocazione consegue, infatti, solo al concreto esercizio del diritto potestativo attribuito dalla norma al donante, il quale è arbitro di decidere se esercitarlo, così come, una volta che l’atto sia stato revocato, è libero di disporre a piacimento dei beni rientrati nel suo patrimonio.

La Corte d’appello ha quindi escluso che la revocazione sia un istituto previsto a garanzia immediata degli interessi dei figli sopravvenuti o, più genericamente, degli interessi familiari, pur non potendosi negare che i conseguenti effetti patrimoniali si ripercuotano sulla posizione dei figli o dei discendenti.

La Corte d’appello ha poi ritenuto manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 803 cod. civ., per disparità di trattamento tra figli naturali (i quali una volta riconosciuti acquisiscono la qualità di figli legittimi) e figli adottivi maggiorenni, stante la diversità dei presupposti di fatto e di diritto su cui si fondano le figure giuridiche del figlio naturale e del figlio adottivo; e ciò tanto più con riferimento all’adozione del maggiorenne trattandosi di istituto connotato, essenzialmente, da finalità di conservazione patrimoniale e dinastica, essendo destinata ad assolvere la funzione prevalente di assicurare la trasmissione del nome e del patrimonio dell’adottante, ed essendogli estranee finalità di allevamento ed educazione dei minori, salvo casi eccezionali che non fanno mutare la sostanza dell’istituto.

Nè – ha osservato la Corte territoriale – la mancata inclusione dei figli adottivi maggiorenni tra coloro per i quali è esercitabile la revocazione ex art. 803 cod. civ., potrebbe considerarsi irragionevole, perchè diversi sono i presupposti e le finalità dei due istituti – filiazione e adozione – i quali si differenziano anche per la manifesta liberalità e gratuità della scelta dell’adottante rispetto alla posizione soggettiva del genitore naturale o dell’adottante nella adozione speciale. Quest’ultimo istituto infatti risponde all’esigenza di tutelare l’interesse essenziale del minore ad inserirsi e crescere in una famiglia idonea allorchè la famiglia naturale sia certamente e irreversibilmente inidonea a svolgere i propri compiti.

La Corte d’appello ha poi respinto il secondo motivo di gravame concernente il rigetto della domanda di revocazione della donazione per ingratitudine ex art. 801 cod. civ..

Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso F. R.D.D.G. sulla base di tre motivi; ha resistito con controricorso D.D.M.A., la quale ha proposto domanda per responsabilità aggravata con riferimento alla trascrizione della domanda.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Il ricorso si articola in tre motivi.

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 803, 304, 536, 537, 565, 567 cod. civ., art. 687 cod. civ., comma 1, nonchè dell’art. 12 disp. gen..

L’art. 803, osserva il ricorrente, attribuisce al donante il diritto di revocare le liberalità precedentemente compiute al fine di permettere la reintegrazione del patrimonio familiare nell’interesse dei figli sopravvenuti; le esigenze di tutela della prole prevalgono sul principio di irrevocabilità della donazione. Avrebbe quindi errato la Corte d’appello nel ritenere che l’interesse alla protezione dei figli e alla conservazione del patrimonio familiare dovesse essere circoscritto alle sole ipotesi di procreazione naturale.

L’esclusione dei figli adottivi contrasterebbe, inoltre, con una interpretazione sistematica dell’art. 803 cod. civ., il quale deve essere coordinato, in particolare, con gli artt. 536 e 537 cod. civ..

Nel diritto successorio, infatti, i figli adottivi sono equiparati ai figli legittimi e concorrono, in qualità di legittimari, alla successione nel patrimonio dell’adottante. Tali norme sono applicabili, ai sensi dell’art. 304 cod. civ., anche all’adozione di persone maggiori di età. Non vi sarebbe, dunque, alcuna differenza tra procreazione naturale, adozione di minori e adozione di maggiori di età: le esigenze di tutela della prole e l’interesse alla reintegrazione del patrimonio familiare trovano pieno riconoscimento in ciascuna di tali ipotesi.

L’art. 803 cod. civ., sostiene ancora il ricorrente, andrebbe quindi interpretato alla luce degli artt. 536 e 537 del medesimo codice e del principio di piena equiparazione tra figli naturali e figli adottivi (maggiori o minori di età), che queste ultime norme stabiliscono. Non si comprenderebbe, del resto, per quale ragione il legislatore riconosca ai figli adottivi la possibilità di esperire l’azione di riduzione degli atti di liberalità compiuti in vita dall’adottante e neghi invece a quest’ultimo il potere di revocare quegli stessi atti ai sensi dell’art. 803 cod. civ.. La Corte d’appello avrebbe così trascurato di fare applicazione del canone di interpretazione sistematica, omettendo di compiere una lettura unitaria di norme sorrette dalla medesima ratio.

Il ricorrente evidenzia poi l’importanza dell’art. 687 cod. civ., comma 1, il quale, disciplinando la revoca del testamento per sopravvenienza di figli, ribadisce la piena equiparazione tra figli legittimi e figli adottivi, maggiori o minori di età che siano;

sarebbe quindi del tutto irragionevole che il medesimo fatto – la sopravvenienza di figli adottivi maggiori di età – da un lato, determini la revoca di diritto delle disposizioni testamentarie e, dall’altro, non consenta al medesimo genitore adottivo di revocare le donazioni compiute prima della adozione.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 250 del 2000, osserva ancora il ricorrente, ha chiarito che i presupposti dell’azione di revocazione sono la sopravvenienza, o la intervenuta conoscenza dell’esistenza di un figlio o di un discendente legittimo del donante, cui vanno equiparate la sopravvenienza della legittimazione del figlio naturale, in quanto a quest’ultimo, ai sensi dell’art. 280 cod. civ., va attribuita la qualità di figlio legittimo, e la sopravvenuta adozione, quantomeno quella di minori prevista dalla L. n. 184 del 1983, poichè l’adottato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti.

In sostanza conclude il ricorrente, o l’art. 803 cod. civ., è applicabile anche nel caso di sopravvenienza di figli adottivi, maggiori o minori di età che siano; ovvero esso, dettando una disciplina differente per situazioni analoghe, sarebbe costituzionalmente illegittimo per violazione del principio di eguaglianza.

1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La Corte d’appello, sostiene il ricorrente, da un lato, ha escluso che la revocazione sia prevista a tutela degli interessi dei figli sopravvenuti o della famiglia; dall’altro, ha ritenuto che la protezione dei figli sia comunque da considerare come scopo perseguito dall’art. 803 cod. civ.. Inoltre se, nella logica della Corte d’appello, presupposto della revocazione fosse solo il concreto esercizio del diritto, non vi sarebbe ragione di distinguere tra figli legittimi, figli adottivi minori o maggiori di età; in altri termini, esclusa la tutela di interessi familiari e residuando la sola libertà di scelta del donante, la revoca della donazione dovrebbe essere sempre ammessa quali che siano i figli sopravvenuti.

1.3. Con il terzo motivo, proposto in via subordinata, il ricorrente deduce la illegittimità costituzionale dell’art. 803 cod. civ., per violazione del principio di eguaglianza, nella parte in cui non prevede la revoca degli atti di liberalità per sopravvenienza di figli adottivi maggiori di età.

Ad avviso del ricorrente, la motivazione della sentenza impugnata sul punto non risponderebbe ai dubbi di legittimità costituzionale prospettati nei gradi di merito. La Corte d’appello ha infatti posto l’accento sulla diversità dei presupposti e delle finalità dell’affiliazione e dell’adozione: istituti, questi, che si differenziano anche per la manifesta liberalità e gratuità della scelta dell’adottante ai sensi dell’art. 291 cod. civ., rispetto alla posizione soggettiva del genitore naturale o dell’adottante speciale.

In contrario, il ricorrente rileva che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’adozione di persone maggiori di età non persegue soltanto la funzione tradizionale di trasmissione del nome e del patrimonio, in quanto l’adozione ordinaria viene utilizzata nella prassi anche per consentire il raggiungimento di funzioni nuove, come quella di consolidamento dell’unità familiare, e quindi potrebbe assolvere alle medesime finalità della adozione dei minori.

In ogni caso osserva il ricorrente, la presunta diversità di presupposti e finalità nell’adozione dei maggiori di età non toccherebbe l’interesse tutelato dall’art. 803 cod. civ.: interesse alla conservazione del patrimonio familiare e alla tutela dei figli sopravvenuti rilevabile anche per l’ipotesi di sopravvenienza di figli adottivi maggiori di età. Interesse questo che, in virtù dell’equiparazione tra figli legittimi e adottivi, rimarrebbe del tutto insoddisfatto ove non fosse consentita la revoca delle donazioni per il sopraggiungere di figli adottivi maggiori di età.

Nè si comprende per quale ragione la diversità di presupposti determini la diversità del trattamento a seconda che sopravvengano figli adottivi maggiori o minori di età. In sostanza, il presunto carattere di liberalità, posto a fondamento dell’adozione di maggiori di età, non sarebbe sufficiente ad escludere il diritto dell’adottante di revocare le donazioni compiute in epoca antecedente alìadoazione. Sarebbe quindi evidente la irragionevole disparità di trattamento tra figli legittimi e figli adottivi minori di età, da un lato, e figli adottivi maggiori di età, dall’altro.

Sotto un altro profilo il ricorrente rileva che la soluzione adottata dalla Corte d’appello determinerebbe la irragionevolezza dell’art. 803 cod. civ., per diversità di trattamento tra disposizioni testamentarie e donazioni. L’art. 687 cod. civ., infatti, stabilisce la revoca di diritto delle disposizioni a titolo universale o particolare per l’esistenza o la sopravvenienza di un figlio o discendente legittimo del testatore, benchè postumo o legittimato o adottivo, ovvero per il riconoscimento di un figlio naturale. In tal modo questa disposizione ribadisce la piena equiparazione tra figli legittimi e figli adottivi, maggiori o minori di età che siano, laddove l’art. 803 cod. civ., come interpretato dalla Corte d’appello, non consentirebbe al genitore adottivo di revocare le donazioni compiute prima dell’adozione, nel caso in cui questa si riferisca ad un figlio maggiore di età. 2. Il primo e il terzo motivo del ricorso, all’esame dei quali può procedersi congiuntamente, sono infondati.

2.1. Come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 250 del 2000, l’istituto della revocazione della donazione per sopravvenienza di figli risponde alla esigenza di consentire al donante di riconsiderare l’opportunità dell’attribuzione già disposta a fronte della sopravvenuta nascita di un figlio o della sopravvenuta conoscenza della sua esistenza (in tal senso v. anche Cass. n. 2031 del 1994). Tale esigenza si pone in quanto con l’instaurazione di un nuovo rapporto di filiazione sorgono in capo al genitore donante nuovi doveri di mantenimento, istruzione ed educazione per il cui adempimento egli deve poter disporre di mezzi adeguati. Proprio a tal fine il legislatore consente al donante di valutare se per la sopravvenienza di figli e per l’adempimento dei menzionati doveri sia necessario recuperare le precedenti attribuzioni patrimoniali. In sostanza l’interesse tutelato dal legislatore attraverso l’istituto della revocazione della donazione per soprav-venienza di figli è quello di consentire al genitore donante di soddisfare le esigenze fondamentali dei figli.

Se questo è l’interesse tutelato dall’art. 803 cod. civ., risulta evidente come lo stesso non ricorra nel caso di adozione di un maggiore di età.

L’istituto dell’adozione ordinaria, infatti, non è finalizzato alle esigenze di protezione della prole, essendo piuttosto diretto ad assicurare all’adottante la perpetuazione di una discendenza e la trasmissione del nome e del patrimonio. Questa funzione dell’adozione di maggiori di età è stata ribadita dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 173 del 2003, nella quale si è osservato che l’adozione di persone maggiori di età continua ad essere caratterizzata, diversamente dall’adozione i dei minorenni, dalla originaria finalità di procurare un figlio a chi non lo ha avuto mediante il matrimonio (adoptio in hereditatem).

Al contrario, l’adozione dei minori di età persegue il fine di garantire al minore il diritto a vivere, crescere ed essere educato in una famiglia e ad essere allevato da una coppia di genitori in caso di inesistenza o inidoneità di quelli biologici. In realtà quest’ultima finalità è assente nel caso dell’adozione del maggiore di età che, oltre ad essere consentita anche al singolo, non fa sorgere alcun rapporto tra l’adottante e la famiglia dell’adottato, nè tra questo e i parenti dell’adottante, e non fa venir meno i diritti e doveri dell’adottato verso la sua famiglia di origine.

2.2. La diversità tra adozione legittimante e adozione ordinaria è stata più volte rilevata dalla Corte costituzionale. Nella sentenza n. 500 del 2000, si è infatti affermato che l’adozione ordinaria ha struttura, funzione ed effetti diversi rispetto a quelli che caratterizzano l’adozione dei minori. Quest’ultima ha come essenziale obiettivo l’interesse del minore ad un ambiente familiare stabile ed armonioso, nel quale si possa sviluppare la sua personalità, in un equilibrato contesto affettivo ed educativo che ha come riferimento idonei genitori adottivi.

L’adozione di minori è, inoltre, caratterizzata dall’inserimento nella famiglia di definitiva accoglienza e dal rapporto con i genitori adottivi, i quali, assumendo la responsabilità educativa del minore adottato, divengono titolari dei poteri e dei doveri che caratterizzano la posizione dei genitori nei confronti dei figli.

Ciò implica il pieno inserimento del minore nella comunità familiare adottiva e l’obbligo dell’adottante di mantenere, istruire ed educare l’adottato così come è previsto per i figli dall’art. 147 cod. civ. (richiamato dalla L. n. 184 del 1983, art. 48).

L’adozione di persone maggiori di età si connota in modo diverso, continuando ad essere caratterizzata, diversamente dall’adozione dei minorenni, dalla originaria finalità di procurare un figlio a chi non lo avuto da natura mediante il matrimonio (adoptio in hereditatem: così, Corte cost., ordinanza n. 170 del 2003). Essa, infatti, non implica necessariamente l’instaurarsi o il permanere della convivenza familiare e non determina la soggezione alla potestà del genitore adottivo, che non assume l’obbligo di mantenere, istruire ed educare l’adottato. Inoltre, l’adozione di persone maggiori di età è essenzialmente determinata dal consenso dell’adottante e dell’adottando, giacchè il controllo del Tribunale verte sui requisiti che legittimano l’adozione, essendo rimesso al giudice il ristretto potere di valutare se l’adozione "conviene" all’adottando (art. 312 cod. civ.), senza alcun discrezionale apprezzamento dell’interesse della persona dell’adottando e senza gli incisivi controlli previsti per l’adozione di minori (Corte cost., sentenza n. 89 del 1993).

Ed ancora, sul rilievo che adozione legittimante e adozione ordinaria (prevista unicamente per i maggiori di età) configurano situazioni diverse, ancorate a presupposti, finalità e requisiti non omogenei (solo nella prima il minore adottato viene definitivamente inserito nella famiglia di accoglienza ed acquista, in corrispondenza alla cessazione dei suoi rapporti con la famiglia di origine, lo stato di figlio legittimo dei coniugi adottanti, ed in quanto tale partecipa alla successione dei parenti di essi), è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27 della L. 4 maggio 1983, n. 184, nella parte in cui, non estendendo l’effetto legittimante anche al minore adottato in precedenza secondo la disciplina dell’adozione ordinaria, non consente al figlio adottivo, estraneo alla successione dei parenti dell’adottante, di subentrare per rappresentazione in luogo dell’adottante nell’eredità alla quale quest’ultimo sia chiamato (Corte cost., sentenza n. 240 del 1998).

Ma ciò che più conta, l’adozione del maggiore di età, a differenza di quella speciale, è, come anche l’adozione in casi particolari, revocabile (artt. 305-307 cod. civ.; della L. n. 184 del 1983, artt. 51-53).

Non mancano, dunque, differenze tra i due istituti, idonee a giustificare discipline diversificate, restando ovviamente rimessa alla valutazione del legislatore la ponderazione di nuove esigenze sociali, che eventualmente sollecitino innovazioni o adeguamenti delle rispettive normative.

2.3. In questo quadro ricostruttivo degli istituti che più vengono in rilievo ai fini della decisione della presente controversia, risultano dunque infondate le censure con le quali, assumendosi a riferimento la posizione del beneficiario della donazione, si sostiene che unico dovrebbe essere il trattamento, nel senso che nella dizione "esistenza o sopravvenienza di un figlio o discendente legittimo del donante", dovrebbero essere inclusi i figli legittimi, i figli naturali e i figli adottivi, maggiori o minori che siano.

La prospettazione del ricorrente non può essere condivisa, quanto meno con riferimento alla posizione del figlio adottivo maggiore di età, in considerazione delle peculiarità della disciplina e della funzione di tale tipo di adozione, non omologabile, come visto, a quella dell’adozione speciale. Ad avviso del Collegio, nel senso della differenziazione e della impossibilità di ritenere incluso tra i figli o discendenti di cui all’art. 803 cod. civ., il figlio adottivo maggiore di età, assume rilievo decisivo il fatto che, ai sensi degli artt. 305 e 306 cod. civ., l’adozione ordinaria è suscettibile di revoca, cosi come solo l’adozione in casi particolari è suscettibile di revoca (L. n. 184 del 1983, art. 51); il che costituisce un elemento distintivo che vale a connotare in termini di assoluta specialità la posizione dell’adottato maggiore di età rispetto a quella dei figli legittimi, naturali e dell’adottato minore di età.

Ove poi si tenga conto delle finalità dell’istituto della revocazione – come prima individuate alla luce della pronuncia della Corte costituzionale -, e segnatamente di quelle di consentire al donante, in caso di sopravvenienza di figli, di poter fronteggiare i doveri scaturenti da un rapporto di filiazione, non può in alcun modo ritenersi irragionevole l’interpretazione dell’art. 803 cod. civ. nel senso di escludere la revocazione della donazione in caso di sopravvenuta adozione di un maggiore di età. La possibilità della revoca della donazione, dunque, in tanto si giustifica, con il venir meno del vincolo contrattuale (art. 769 cod. civ.), in quanto attraverso il detto istituto viene consentita al donante la possibilità di avvalersi anche del bene oggetto di donazione per fare fronte agli oneri derivanti dalla sopravvenienza di figli, ai sensi degli artt. 147 e 148 cod. civ.. Là dove, invece, come nel caso dell’adozione del maggiore di età, la finalità perseguita sia quella di assicurare all’adottante la trasmissione del nome e del patrimonio, senza insorgenza, in capo al genitore adottivo, di analogo obbligo di mantenimento, istruzione e educazione dell’adottato, non irragionevolmente è esclusa la revocazione della donazione.

2.4. Alle posizioni del ricorrente non giova neanche l’affermazione, contenuta nella richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 250 del 2000, che "la sopravvenuta adozione, quantomeno quella di minori prevista dalla L. 4 maggio 1983, n. 184, poichè l’adottato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti (art. 27 della legge stessa)" dovrebbe essere equiparata alla sopravvenienza di un figlio o di un discendente legittimo del donante o alla sopravvenuta conoscenza di tale esistenza, ovvero al riconoscimento di un figlio naturale. Invero, nella medesima sentenza, con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 803 cod. civ., comma 1, nella parte in cui prevedeva che – in caso di sopravvenienza di figlio naturale – la donazione possa essere revocata solo se il riconoscimento del figlio sia intervenuto entro due anni dalla donazione, si è chiaramente posto in evidenza che dal riconoscimento del figlio naturale derivano quegli obblighi di mantenimento, istruzione e di educazione che, come si è rilevato, caratterizzano i rapporti di filiazione e quello che scaturisce dall’adozione legittimante, attesa la identità di status che acquista in tale caso l’adottato.

2.5. Le conclusioni non mutano neanche alla luce delle argomentazioni svolte da questa Corte nella sentenza n. 2426 del 2006, richiamata dal ricorrente nel terzo motivo di ricorso a sostegno della dedotta violazione dell’art. 3 Cost., che ha affermato il principio per cui ®in tema di adozione di persone maggiori di età, la presenza di figli minori (legittimi, legittimati o naturali) dell’adottante, come tali incapaci, per ragioni di età, di esprimere un valido consenso, costituisce, di norma, ai sensi dell’art. 291 cod. civ., un impedimento alla richiesta adozione. Ove, tuttavia, l’adozione di maggiorenne riguardi un soggetto, il figlio del coniuge, che già appartenga, insieme al proprio genitore naturale ed ai fratelli, minorenni, ex uno latere, al contesto affettivo della famiglia di accoglienza dell’adottante, la detta presenza dei figli minori dell’adottante non preclude in assoluto l’adozione, fermo restando il potere-dovere del giudice del merito di procedere alla audizione personale di costoro, se aventi capacità di discernimento, e del loro curatore speciale, ai fini della formulazione del complessivo giudizio di convenienza nell’interesse dell’adottando, richiesto dall’art. 312 cod. civ., comma 1, n. 2), giacchè tale convenienza in tanto sussiste in quanto l’interesse dell’adottando trovi una effettiva e reale rispondenza – eventualmente da apprezzare all’esito dell’acquisizione anche delle opportune informazioni – nella comunione di intenti di tutti i membri della famiglia, compresi i figli dell’adottante".

In tale pronuncia, si è rilevato come condizione per poter procedere all’adozione di maggiorenne disciplinata dal codice civile fosse che l’adottante non avesse figli legittimi o legittimati, in ossequio alla tradizione che attribuiva all’adozione una funzione sostitutiva della mancante paternità o maternità legittima, che appunto si realizzava con la trasmissione del nome e del patrimonio. Si è quindi osservato che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 557 del 1988, ha ridimensionato la portata di questa condizione, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 291 cod. civ. nella parte in cui non consente l’adozione a persone che abbiano discendenti legittimi o legittimati maggiorenni e consenzienti, sicchè, per effetto di questa pronuncia, il tradizionale divieto di adozione in presenza di figli legittimi o legittimati non è più assoluto, e viene meno quando i discendenti legittimi o legittimati maggiorenni siano consenzienti. Ulteriore temperamento è stato poi portato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 345 del 1992, che nell’ipotesi di incapacità dei figli di esprimere l’assenso perchè interdetti ha ritenuto applicabile per analogia l’art. 297 c.c., comma 2, così estendendo a questo caso il potere di valutazione comparativa degli interessi in gioco attribuito dalla norma al tribunale.

L’impossibilita di procedere all’adozione di persone maggiori di età permane, quindi, per chi abbia figli legittimi (o legittimati) minorenni o maggiorenni (capaci e) non consenzienti nonchè – per effetto della sentenza n. 245 del 2004 della Corte costituzionale – per chi abbia figli naturali riconosciuti minori o maggiorenni (capaci e) non consenzienti.

Cosi ricostruito il quadro di riferimento in ordine ai presupposti dell’adozione ordinaria, si è rilevato che tale ultimo tipo di adozione può, in casi particolari, non essere finalizzata unicamente al perseguimento della finalità tradizionale di trasmissione del nome e del patrimonio. In particolare, si è osservato, "l’adozione ordinaria – figura estremamente duttile – viene utilizzata nella prassi anche per consentire il raggiungimento di funzioni nuove, come quella di consolidamento dell’unita familiare attraverso la formalizzazione di un rapporto di accoglienza già sperimentato e concretamente vissuto".

Orbene, tale pronuncia, lungi dal supporre una equiparazione tra adozione ordinaria e adozione speciale, e quindi lungi dall’affermare un principio suscettibile di una qualche incidenza sulla questione qui in esame della revocazione della donazione in precedenza effettuata dall’adottante, ha individuato una soluzione adeguata ad una situazione di fatto caratterizzata in termini assai specifici;

essa, dunque, non può fondare il convincimento che anche dall’adozione di maggiori di età possano discendere obblighi assimilabili a quelli che scaturiscono dalla filiazione naturale e dall’adozione speciale.

Peraltro, per quanto più specificamente concerne la questione all’esame del Collegio, non può non rilevarsi come le situazioni alle quali può riferirsi la citata pronuncia siano caratterizzate da un elemento – la presenza di figli minorenni o maggiorenni (capaci e) non consenzienti ovvero di figli naturali riconosciuti minori o maggiorenni (capaci e) non consenzienti – che certamente è già stato apprezzato dall’adottante nell’ipotesi in cui addivenga alla determinazione di effettuare una donazione, sicchè, anche in tale ipotesi, le ragioni che si è visto connotare l’istituto della revocazione della donazione non sono neanche ipotizzabili.

2.6. Nè può essere condivisa la pur suggestiva ricostruzione del ricorrente, il quale suggerisce di interpretare la disposizione dell’art. 803 cod. civ., alla luce delle disposizioni che disciplinano la successione in presenza di figli adottivi, anche maggiori di età, attribuendo a questi ultimi facoltà uguali a quelle dei figli legittimi.

In proposito, pare innanzitutto non condivisibile la piena omologazione che il ricorrente introduce tra disciplina della donazione e disciplina successoria in caso di presenza di figli adottivi, anche se maggiori di età. Il riconoscimento a questi ultimi dei diritti successori spettanti ai figli legittimi, invero, appare pienamente compatibile con una delle finalità tipiche dell’adozione ordinaria, e cioè quella della trasmissione del patrimonio. Ne consegue che, una volta equiparati ai figli legittimi i figli adottivi, anche maggiori età, del tutto logicamente ad essi vengono riconosciute le medesime facoltà attribuite ai figli legittimi, e quindi anche quella di agire per la riduzione delle donazioni.

Dal riconoscimento ai figli adottivi, anche maggiori di età, di tale facoltà, tuttavia, non può desumersi la necessità che al donante debba essere riconosciuta la potestà di revocare la donazione in caso di sopravvenienza di figli adottivi, al di fuori del caso dell’adozione speciale.

In proposito, appare sufficiente rilevare che la revoca legale del testamento per sopravvenienza di figli e la potestà di chiedere la revocazione della donazione per sopravvenienza di figli del donante hanno finalità diverse ed operano con modalità differenti. La revoca legale si giustifica con una presunzione legale che la mancanza di figli condiziona la volontà del testatore, sicchè si presume che il testatore, in presenza di figli, si sarebbe diversamente determinato. In questa prospettiva, appare quindi del tutto coerente che anche l’adozione di un maggiore di età comporti la revoca di diritto delle disposizioni testamentarie in precedenza predisposte dall’adottante. L’adozione del maggiore di età, infatti, come più volte rilevato, risponde essenzialmente alla finalità di assicurare all’adottante la perpetuazione di una discendenza e la trasmissione del nome e del patrimonio, sicchè rispetto a tale finalità è del tutto coerente che vengano revocate di diritto le disposizioni testamentarie dettate dall’adottante.

La revocazione della donazione per sopravvenienza di figli, come pure si è rilevato, risponde alla esigenza di consentire al donante di riconsiderare l’opportunità dell’attribuzione già disposta a fronte della sopravvenuta nascita di un figlio o della sopravvenuta conoscenza della sua esistenza, in funzione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione che da tale evento – al quale deve essere equiparato ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 27, l’adozione legittimante – derivano e che per l’innanzi non erano nè previsti nè prevedibili. La revocazione della donazione attribuisce dunque al donante un diritto di ripensamento per fatti sopravvenuti e oggettivamente incompatibili con la scelta di effettuare una donazione. Appare dunque del tutto coerente che in tale caso la revocazione, che consiste nel diritto potestativo, riconosciuto al donante nei casi tassativamente previsti dalla legge, di recedere da un contratto, non sia consentita ove si tratti di adozione ordinaria, non rinvenendosi la necessità di fare fronte ai detti oneri e risolvendosi altrimenti il detto diritto potestativo in manifestazione di arbitrio. In sostanza, non sussistono nel caso dell’adozione di maggiore di età, in considerazione delle rilevate peculiarità di tale istituto, le ragioni che giustificano l’attribuzione al donante del diritto potestativo per sopravvenienza di figli legittimi, naturali o adottivi per effetto di adozione speciale, ovvero per la ignoranza della esistenza di figli o discendenti legittimi o naturali; in assenza delle dette condizioni non vi è quindi ragione per attribuire al donante, per effetto di una sua libera determinazione, dalla quale non conseguono oneri meritevoli di considerazione, la facoltà di porre nel nulla un contratto, quale la donazione è per esplicita definizione legislativa.

2.7. Le considerazioni sin qui svolte consentono di ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 803 cod. civ., proposta dal ricorrente con il terzo motivo di ricorso, in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede la revoca degli atti di liberalità per sopravvenienza di figli adottivi maggiori di età, per i profili di diversità di trattamento o di irragionevolezza della disposizione sin qui esaminati.

3. Infondato è altresi il secondo motivo di ricorso.

La denunciata contraddittorietà della sentenza impugnata discende invero dalla condivisione, da parte della Corte d’appello di Roma, dell’iter argomentativo della sentenza n. 250 del 2000, nella quale testualmente si afferma che "la revocazione consegue solo al concreto esercizio del diritto potestativo attribuito dalla norma al donante, il quale è arbitro di decidere se esercitarla, così come, una volta che l’atto sia stato revocato, è libero di disporre a piacimento dei beni rientrati nel suo patrimonio. Per cui va escluso che l’istituto in esame sia approntato ad immediata garanzia degli interessi dei figli sopravvenuti o, più genericamente, degli interessi familiari.

Nel contempo, però, non può negarsi che, potenzialmente, i conseguenti effetti patrimoniali si ripercuotono sulla posizione dei figli o dei discendenti, la cui tutela, dunque, è pur sempre da considerare immanente alle finalità della norma". Tal proposizioni appaiono del tutto coerenti e prive della denunciata contraddittorietà, essendosi, da un lato, individuata la finalità della revocazione della donazione, come in precedenza rilevato, nella esigenza di consentire al donante una rivalutazione della perdurante opportunità della donazione stessa in seguito al fatto sopravvenuto della nascita di figli o discendenti legittimi, ovvero della conoscenza della loro esistenza; e, dall’altro, evidenziato un effetto indiretto, una conseguenza ordinaria della revocazione, e cioè il rientro del bene donato nella disponibilità del donante, il quale poi potrà disporne liberamente anche nell’interesse dei figli sopravvenuti in vista dell’adempimento degli obblighi prima ricordati.

Del resto, ove il legislatore avesse inteso approntare una tutela diretta dei figli sopravvenuti, avrebbe dovuto considerare la revoca della donazione come effetto legale tipico della sopravvenienza, cosi come si è previsto per le disposizioni testamentari in caso di sopravvenienza di figli. Ma, come detto, tale scelta è stata ragionevolmente effettuata dal legislatore con riferimento alle disposizioni testamentarie e non anche con riguardo alla donazione, e ciò sulla base del duplice rilievo che la donazione è un contratto e che ciò che vengono in rilievo nella revoca della donazione sono gli obblighi del donante nei confronti dei figli sopravvenuti, ai quali, a questi fini, non possono essere equiparati gli adottati maggiori di età. 4. La complessità della controversia e la novità della questione non solo consentono di escludere in radice la possibilità di ravvisare, nella specie, una lite temeraria ai fini dell’applicazione dell’art. 96 cod. proc. civ., come richiesto dalla resistente, ma giustificano la integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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