Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 04-05-2012, n. 6753 Prova civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con sentenza del 20 marzo 2006 il Tribunale di Ancona, in funzione di giudice del lavoro, pronunciando sulla domanda di Z.T., proposta nei confronti dell’INPS, del Ministero dell’Economia e Finanze e della Regione Marche e intesa ad ottenere la pensione di inabilità civile, rigettava la pretesa dichiarando il difetto di legittimazione della Regione e, nel merito, ritenendo inesistente il requisito sanitario.

2.- La decisione veniva riformata dalla Corte d’appello di Ancona, che, con la sentenza qui impugnata, accoglieva il gravame proposto dallo Z. e, per l’effetto, condannava l’INPS alla corresponsione della pensione con decorrenza dall’agosto 2001, oltre agli accessori. In particolare, per quanto rileva in questa sede, la Corte di merito riteneva la sussistenza della totale inabilità in base a c.t.u. rinnovata in appello e considerava provato il requisito reddituale.

3.- Di questa decisione l’INPS domanda la cassazione con due motivi.

L’Istituto resiste con controricorso, mentre non si sono costituiti il Ministero e la Regione, anch’essi evocati in giudizio.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo l’Istituto ricorrente, denunciando violazione delle norme sull’onere di produzione delle prove, lamenta che la Corte d’appello abbia fondato l’affermazione relativa alla sussistenza del requisito reddituale su documenti prodotti dalla controparte per la prima volta in appello.

2.- Col secondo motivo si lamenta che la sentenza impugnata non abbia fornito alcuna motivazione in ordine sia alla idoneità dei documenti prodotti in primo grado, puntualmente contestata dall’Istituto, sia alla (eventualmente ritenuta) ammissione ex officio dei nuovi documenti, ai sensi degli artt. 421 e 437 c.p.c..

3.- L’esame congiunto delle censure ne rivela la infondatezza in ognuno dei profili evidenziati.

3.1.- L’acquisizione d’ufficio della documentazione relativa al requisito reddituale, avvenuta in appello come risulta dalla decisione qui impugnata, costituisce esplicazione dell’esercizio dei poteri officiosi di cui agli artt. 421 e 437 c.p.c., di cui, peraltro, il giudice di merito ha fornito adeguata giustificazione anche nella sentenza impugnata, avendo esplicitamente ritenuto che da tale documentazione risultavano dimostrati i redditi, cumulati, dello Z. e del coniugo.

3.2.- La giurisprudenza di questa Corte, nella sua evoluzione più recente espressa da alcune decisioni della Sezione lavoro, ha delineato una funzione di contrappeso di una precedente tendenza restrittiva, intesa a riportare il giudizio d’appello nel sistema di preclusioni delineato dal Legislatore del 1973 (cfr., sul punto, la ricostruzione della giurisprudenza operata da Cass. n. 12856 del 2010). In particolare, si tratta di decisioni che presuppongono l’esattezza di alcune delimitazioni, e in particolare l’inammissibilità, anche in via eccezionale, di mezzi di prova preclusi, ma, nel contempo, avvertono l’esigenza di un qualche rimedio idoneo all’accertamento della verità materiale, nell’ambito di un processo in cui sono coinvolti interessi meritevoli di particolare tutela.

Questo rimedio "riequilibratore" è stato individuato nella possibilità, per il giudice d’appello, di esercitare 1 poteri officiosi di cui all’art. 437 c.p.c. in tutti i casi in cui questi siano diretti al definitivo accertamento di fatti costitutivi (o impeditivi, estintivi ecc.) allegati nel giudizio di primo grado e, se pure in modo incompleto, risultanti da mezzi di prova già dedotti ritualmente in quel giudizio (c.d. piste probatorie o di indagine).

Si segnalano, al riguardo, variegate fattispecie in cui la prova dedotta per la prima volta in appello (secondo la sequenza: prova documentale-prova orale, ovvero secondo la sequenza omogenea: prova documentale-prova documentale) è finalizzata ad approfondire le risultanze istruttorie di primo grado, costituite da documenti ritualmente acquisiti agli atti del giudizio di primo grado. In questi casi la Corte ha svolto queste osservazioni:

a) in generale, anche al giudice di appello è riconosciuto il potere di disporre d’ufficio nuovi mezzi di prova, purchè questi siano considerati come indispensabili ai fini della decisione della causa e la parte interessata non sia incorsa in decadenza nella allegazione dei fatti;

b) l’operatività di tale ultimo limite, rappresentato dell’avvenuta decadenza della parte, va ulteriormente precisata, nell’ambito di una evidenziata esigenza di contemperamento del principio dispositivo con il principio di ricerca della verità materiale, in particolare nel rito del lavoro e nella materia della previdenza e assistenza, nel senso che, allorchè le risultanze di causa offrono significativi dati di indagine, occorre che il giudice, ove reputi insufficienti le prove già acquisite, eserciti il potere-dovere di provvedere di ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale probatorio e idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati nell’atto introduttivo, senza che a ciò sia di ostacolo il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno dello parti interessate;

c) il potere d’ufficio è diretto a vincere, in relazione alla verifica dei fatti costitutivi del diritto fatto valere, i dubbi residuati dalle risultanze istruttorie, intese come complessivo materiale probatorio (anche documentale) correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado, e non può invece supplire ad una totale carenza di elementi di prova, con la conseguenza che, ove tali elementi siano invece presenti, non si pone, propriamente, alcuna questione di preclusione o decadenza processuale a carico della parte, dato che la prova nuova, disposta d’ufficio, altro non è se non l’approfondimento, ritenuto indispensabile, di elementi probatori che siano già ritualmente acquisiti, e quindi obiettivamente presenti nella realtà del processo.

3.3.- Sulla scorta di tali tendenze, nell’ambito della descritta evoluzione giurisprudenziale, sono intervenute le Sezioni unite con la sentenza n. 8202 del 2005: premessa un’ampia ricostruzione dei variegati orientamenti della giurisprudenza e della dottrina, la sentenza si ricollega alle esigenze da ultimo sottolineate, quanto alla necessità di rendere compatibili tutela sostanziale e coerenza del sistema processuale. In particolare, la ratio decidendi è fondata essenzialmente sulla circolarltà esistente fra gli oneri di prova e l’onere di allegazione e contestazione, siccome delineato, quest’ultimo, dalla nota sentenza delle Sezioni unite n. 761 del 2002 e divenuto ormai cardine del sistema processuale, e cioè, da un lato, riferito sia all’attore che al convenuto e, dall’altro, caratterizzato da una tendenziale irreversibilità (dovendosi fare salvi i casi di contestazione di atti successivi a quelli introducivi) "in piena coerenza con la struttura del processo che, nel rito del lavoro, è finalizzata a far sì che all’udienza di discussione la causa giunga delineata in modo compiuto, quanto ad oggetto e ad esigenze istruttorie": circolarltà che – nell’ambito di una esigenza di concentrazione e celerità che è espressione della garanzia della ragionevole durata del processo – significa reciproco condizionamento e necessaria correlazione che lega l’attività di deduzione delle prove (attività istruttoria) e quella di introduzione dei relativi fatti da provare (attività assertiva). Con queste premesse sistematiche, la sentenza esclude, coerentemente, un regime diversificato fra prove costituite e prove costituende, considerato peraltro ingiustificato alla stregua della lettera della norma e dello stesso sistema codicistico (che invece configura, secondo le Sezioni unite, un rapporto – fra documenti e mezzi di prova – di species a genus), tanto più in considerazione del fatto che la produzione tardiva di documenti può determinare la protrazione del processo in dipendenza della proposizione di querele di falso e istanze di verificazione e della deduzione di mezzi di prova ulteriori connessi alla documentazione prodotta ex novo. In conclusione, secondo la pronuncia delle Sezioni unite, l’omessa indicazione nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado dei documenti e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al incorso ed alla memoria di costituzione. E ciò vale anche per la successiva fase di giudizio, posto che l’inosservanza degli oneri correlati al rispetto di termini perentori comporta una preclusione definitiva e irreversibile. Nel contempo, il sistema così delineato non impedisce – per le Sezioni unite – la possibilità di un esercizio dei poteri officiosi del giudice del lavoro, anche d’appello, che funzioni da ammortizzatore per l’eventualità che la predetta verità materiale si allontani da quella emersa nel processo rebus sic stantibus, sempre che le nuove prove, ritenute indispensabili, attengano a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti. Per il perseguimento del quale risultato la sentenza si richiama alla soluzione adottata dalle pronunce aderenti alla teoria delle piste probatorie – "allorquando le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, il giudice, ove reputi insufficienti le prove già acquisite, non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova, ma ha il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti". La condizione, quindi, per la ammissibilità eccezionale, anche d’ufficio, di prove indispensabili per la dimostrazione (o la negazione) di fatti costitutivi allegati (o contestati) è pur sempre la preesistenza di altri mezzi istruttori, ritualmente dedotti e acquisiti, meritevoli di approfondimento.

3.4.- Alla stregua di tali principi, è di tutta evidenza, nella fattispecie in esame, che la produzione in appello dei documenti fiscali attestanti i redditi cumulati dell’attore e del coniuge era meramente integrativa di quelli già prodotti in primo grado, costituiti dalla certificazione di mancata presentazione della dichiarazione dei redditi da parte dell’attore, così come riferisce lo stesso Istituto, dovendone conseguire, perciò, l’ammissibilità della produzione.

4.- in conclusione il ricorso è respinto. Il ricorrente è tenuto, secondo soccombenza, al pagamento delle spese di giudizio, liquidate come da dispositivo, in favore della parte resistente, nulla dovendosi invece disporre nei confronti delle parti non costituite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 30,00 per esborsi e in Euro duemila per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge. Nulla per le spese nei confronti delle parti non costituite.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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