Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-09-2011) 02-11-2011, n. 39366

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

A.A., socio illimitatamente responsabile della FALP s.n.c., dichiarata fallita dal Tribunale di Patti il 16.10.95 e al quale si addebita condotta di fraudolenza patrimoniale per avere distratto, in concorso con altri soci, denaro pari al prezzo di beni eccedenti il valore degli stessi (cespiti che erano già stati in precedenza acquistati dalla società a soglia venale ben più modesta), nonchè responsabilità per fraudolenza documentale per l’omessa annotazione di operazioni decisive per la ricostruzione del movimento degli affari, è stato condannato per entrambe le ipotesi dal tribunale, ma la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della prima decisione, con sentenza 11.6.10 lo ha assolto dal reato di bancarotta fraudolenta documentale per non aver commesso il fatto.

Deduce il ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata sentenza, con il primo motivo violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per avere la Corte di merito disatteso il novellato art. 14 della legge fallimentare nella parte in cui – a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 319 del 2000, che ha risolto il problema della fallibilità o meno dei soci a responsabilità illimitata, dopo il decorso di un anno dal momento in cui essi abbiano perso la responsabilità illimitata – ne è stata dichiarata l’illegittimità con riferimento alla previsione che il fallimento dei soci a responsabilità illimitata di società fallita possa essere dichiarato dopo il decorso di un anno dal momento in cui essi abbiano perso, per qualsiasi causa, la responsabilità illimitata.

Nella specie, evidenzia la difesa, era rimasto accertato che l’imputato non faceva più parte della società dal 3.2.92 di diritto e dal 1989 di fatto, tanto che il giudice di secondo grado aveva assolto l’ A. dal reato di bancarotta fraudolenta documentale per non aver commesso il fatto, ma aveva disapplicato tale norma con riferimento al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge per avere i giudici trascurato la dimensione economica della società che era priva dei requisiti di fallibilità a mente dell’arti del D.Lgs. n. 169 del 2007 (c.d. decreto correttivo), così omettendo di valutare la successione delle norme penali che in forza dell’art. 2 c.p. imponeva la retroattiva applicazione della disciplina più favorevole all’imputato.

Con il terzo motivo si deduce la mancata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, e, con il quarto, ancora violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per l’errata applicazione degli artt. 132 e 133 c.p., avendo i giudici omesso di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Osserva la Corte che il primo motivo di ricorso è fondato, con efficacia assorbente.

La motivazione della impugnata sentenza si presenta infatti come contraddittoria nella parte in cui, ritenute dalla Corte territoriale fondate le doglianze con riferimento alla bancarotta fraudolenta documentale contestata al capo B della rubrica, non ne ha tratto le dovute conseguenze anche con riferimento al capo A, relativo alla bancarotta patrimoniale.

Dagli atti è infatti emerso – ha evidenziato la Corte messinese – che, per ragioni legate alla gestione dell’impresa, quanto meno dal 1992 A.A. aveva abbandonato la gestione delle attività della stessa, per cui "non può quindi ritenersi sufficientemente provato che le condotte contestate (riguardanti anche periodi contestualizzati documentalmente in epoca di sicuro allontanamento dall’impresa, quale l’anno 1994) siano direttamente ascrivibili all’attività dell’appellante e non anche a quella esclusiva degli altri imputati, per i quali si è proceduto separatamente".

Orbene, tali risultanze non possono non essere valutate anche con riferimento all’ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale, atteso che oggetto di contestazione sono le due fatture indicate al capo A con le quali la fallita risulta aver venduto all’odierno ricorrente – quale ditta individuale – prodotti per l’edilizia poi da A.A. rivenduti alla stessa società a prezzi maggiori, e poichè dette fatture sono entrambe del 1991, ma fanno riferimento – ai fini che qui interessano – a comportamento distrattivo che l’imputato avrebbe tenuto dopo il 1992, allorchè egli aveva – per quanto sopra detto – abbandonato la gestione dell’impresa, non poteva egli essere chiamato a rispondere di un reato fallimentare quale socio illimitatamente responsabile essendo decorso oltre un anno dalla perdita di tale illimitata responsabilità.

L’impugnata sentenza deve pertanto essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Messina per nuovo giudizio.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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