Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-09-2011) 02-11-2011, n. 39374

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

A R.C., dirigente medico presso l’ospedale di Teramo e assessore presso il comune di tale Città, veniva applicata dal GIP , con provvedimento del 6 aprile 2011, la misura cautelare interdittiva di cui all’art. 290 cod. proc. pen. per avere predisposto e consegnato all’ASL false certificazioni per fare risultare la corretta fruizione da parte sua dei permessi retribuiti, per avere sottoposto a cinque visite D.B.G. anche all’interno di ambulatorio di ospedale percependo somme di danaro senza rilasciare ricevuta e senza versare parte della somma all’ASL, e per avere falsamente annotato sulla cartella clinica del ricoverato S. A. una terapia diversa da quella in concreto praticata.

Il tribunale di Teramo, con provvedimento del 28 aprile 2011, rigettava l’istanza di riesame del R..

Gli elementi indiziari erano tratti dagli esiti di intercettazioni telefoniche, da pedinamenti ed indagini della polizia giudiziaria, dalle dichiarazioni del D.B. e dalle acquisizioni documentali.

Le esigenze cautelari erano ravvisate nelle modalità seriali ed abitudinarie di realizzazione delle condotte contestate che inducono a formulare una prognosi negativa in ordine al pericolo di recidiva.

Con il ricorso per cassazione R.C., dopo avere ricostruito la vicenda ed avere sottolineato che il ricorrente era stato sottoposto a pedinamenti, ad intercettazioni telefoniche ed a videoregistrazione nel suo ufficio ospedaliero ed avere ricordato che con l’istanza di riesame aveva eccepito la illegittimità del provvedimento autorizzatorio delle intercettazioni telefoniche per violazione dell’art. 267 cod. proc. pen., deduceva la omessa motivazione in ordine alla dedotta illegittimità delle intercettazioni con particolare riferimento alla imputazione di cui al capo G), ovvero alla accusa di peculato. Rilevava che mancava il requisito della assoluta indispensabilità di procedere ad intercettazioni telefoniche e che la motivazione sul punto appariva del tutto generica.

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da R.C. non sono fondati, cosicchè il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.

In effetti l’unico motivo di doglianza è costituito dalla pretesa illegittimità delle intercettazioni telefoniche, non essendovi alcuna censura in ordine alla ritenuta gravità indiziaria ed alle esigenze cautelari.

Orbene, come si è già posto in evidenza, gli indizi a carico del R. sono desunti dall’esito di pedinamenti effettuati dai Carabinieri, dai quali è emerso che nel tempo indicato nelle certificazioni dirette all’ASL per i permessi retribuiti il ricorrente non svolgeva attività assessoriali, o comunque politiche legate all’amministrazione, ma svolgeva attività di natura privata, dalle dichiarazioni del D.B., che ha riferito di avere pagato per le prestazioni mediche offerte dal R., senza che la parte di danaro dovuta venisse corrisposta all’ASL, dall’esame della cartella clinica del S. e dalla intercettazione della telefonata del ricorrente con una infermiera.

Da quanto detto emerge con chiarezza che gli indizi a carico del ricorrente appaiono di sicura gravita anche prescindendo dall’esito delle intercettazioni telefoniche.

In ogni caso, come è ben spiegato nella ordinanza impugnata, oltre che nel ricorso, il pubblico ministero ed il giudice ritennero di procedere con le intercettazioni delle utenze telefoniche dopo avere accertato che il R. si trovava sulle rive dell’Adriatico durante il tempo indicato nella certificazione diretta all’ASL per ottenere i permessi retribuiti per l’espletamento della sua attività di assessore.

Quindi la gravita indiziaria era certamente ravvisabile, come anche la necessità di utilizzare lo strumento delle intercettazioni per accertare con precisione le condotte criminose poste in essere dal ricorrente ed individuare i suoi complici.

Tanto emerge dal complesso della motivazione dell’ordinanza impugnata, non potendosi, quindi, parlare di omessa motivazione, e tanto è sufficiente a legittimare l’autorizzazione allo utilizzo dello strumento captativo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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