Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-09-2011) 02-11-2011, n. 39541 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 26 ottobre 2010, la Corte d’Appello di Bari ha respinto l’istanza, avanzata da Z.M., di riparazione del danno derivante dall’ingiusta detenzione in carcere dalla stessa sofferta in conseguenza di ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Bari nell’ambito di procedimento penale che l’ha vista imputata ex art. 416 bis c.p.; provvedimento successivamente revocato e seguito da sentenza assolutoria.

La Corte territoriale ha respinto detta istanza, avendo ritenuto che la richiedente avesse concorso a dar causa alla misura custodiale adottata a suo carico con una condotta equivoca e gravemente colposa – ostativa, quindi, ex art. 314 c.p.p., al riconoscimento del diritto alla riparazione – ravvisata nella piena consapevolezza, da parte della stessa, della condotta delittuosa del marito, coimputato e latitante, e nell’atteggiamento di solidale connivenza tenuto nei confronti dei traffici illeciti dello stesso.

Avverso detto provvedimento, propone ricorso per Cassazione, per il tramite del difensore, la Z., che deduce violazione di legge e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, con riguardo alla individuazione, in capo alla stessa, di comportamenti ostativi all’accoglimento dell’istanza di riparazione.

Ritualmente costituitasi nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Avvocatura Generale dello Stato ha chiesto dichiararsi inammissibile, ovvero rigettarsi il ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Secondo l’insegnamento di questa Corte, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avena il richiedente dato, o concorso a dar causa, per dolo o colpa grave, deve manifestarsi attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine di stabilire, con valutazione "ex ante", se essi si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione del provvedimento di custodia cautelare. Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extra processuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (auto incolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione. La stessa Corte ha ancora affermato che la valutazione di tali condotte deve essere eseguita non rapportandosi ai canoni di giudizio propri del processo penale, che è diretto ad accertare se la condotta dell’imputato costituisca reato, bensì a quelli propri del procedimento di equa riparazione, che è diretto ad accertare se taluni comportamenti del soggetto ingiustamente accusato abbiano quantomeno concorso a determinare l’adozione del provvedimento restrittivo.

Orbene, nel caso di specie la Corte distrettuale si è attenuta a tali principi, avendo ritenuto, con motivazione adeguata e coerente sotto il profilo logico, sulla base di quanto emerso in sede processuale, che la condotta della ricorrente – moglie di un latitante, da tempo inserito in sodalizi criminali con ruolo apicale, coinvolta in conversazioni dal contenuto quantomeno ambiguo – legittimasse ampiamente il sospetto di un diretto coinvolgimento della stessa nei traffici del marito e fosse, quindi, ostativa al riconoscimento del diritto al richiesto indennizzo.

In particolare, i giudici della riparazione hanno richiamato i contenuti di talune conversazioni, captate sull’utenza cellulare in uso alla Z., intercorse tra la stessa ed il marito. In una di tali conversazioni, i due commentavano la spartizione della somma di trenta milioni di lire spedita dall’uomo; somma che l’odierna ricorrente aveva diviso ed in relazione alla quale il marito chiedeva se ne avesse destinato una parte a tali "(OMISSIS) e (OMISSIS)", identificati in S. e D.B., detenuti nell’ambito dello stesso procedimento penale. In altre conversazioni, la Z. riferiva al marito di essere stata contattata dalle mogli di taluni detenuti che le avevano chiesto del denaro, che le avevano fatto sapere che l’organizzazione aveva urgente bisogno di sostentamento e che, in assenza di appropriati interventi, avrebbero affidato i suoi scafi al nipote, poichè era tempo che il marito si facesse da parte per far gestire ad altri la sua attività illecita.

Conversazioni nelle quali la donna, non solo mostrava di essere ben al corrente dei traffici del marito e dell’inserimento dello stesso, con ruolo apicale, in una organizzazione criminale dedita a tali traffici, ma lasciava intendere di svolgere un ruolo di collegamento tra il marito latitante ed i sodali detenuti, nonchè tra lo stesso ed i familiari degli altri associati detenuti, fino a provvedere alla spartizione tra di essi degli utili dell’organizzazione.

Una condotta, quindi, legittimamente ritenuta fortemente equivoca e comunque gravemente imprudente, che aveva quantomeno contribuito alla formazione del quadro indiziario che ha determinato l’adozione del provvedimento restrittivo.

Il sindacato del giudice di legittimità sul provvedimento che rigetta o accoglie la richiesta di riparazione è, d’altra parte, limitato alla correttezza del procedimento logico-giuridico attraverso cui il giudice di merito è pervenuto alla decisione;

mentre resta di esclusiva pertinenza di quest’ultimo la valutazione dell’esistenza e dell’incidenza della colpa o dell’esistenza del dolo. Anche in ragione di ciò, l’ordinanza in esame non merita di essere censurata, essendo la decisione impugnata del tutto coerente rispetto alle circostanze emerse in sede processuale, correttamente valutate dalla Corte territoriale e perfettamente in linea con i principi di diritto affermati da questa Corte in tema di riparazione.

Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione, in favore del ministero resistente, delle spese del presente giudizio che si liquidano in complessivi Euro 750,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese in favore del ministero resistente che liquida in complessivi Euro 750,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *