Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-09-2011) 02-11-2011, n. 39533

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

D.C.E.S. ricorre avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro, dell’11 novembre 2010, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Cosenza, del 15 gennaio 2008, che lo ha ritenuto colpevole del delitto di furto di energia elettrica, eseguito attraverso un allaccio abusivo alla rete, e lo ha condannato alla pena di mesi sette di reclusione ed Euro 200,00 di multa.

Deduce il ricorrente violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata in punto di affermazione della responsabilità.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e generico e deve essere, quindi, dichiarato inammissibile. a) In punto di responsabilità, i giudici del gravame, anche attraverso il richiamo della sentenza di primo grado, hanno rilevato che il personale di PG intervenuto aveva notato che il cavo di alimentazione dell’appartamento dell’imputato era allacciato ad una cassetta Enel di derivazione esterna mediante un cavo lungo circa 12 metri che, esterno al contatore, entrava all’interno dell’abitazione attraverso una finestra. All’atto dell’intervento dei militari, l’appartamento, presente l’imputato, fruiva dell’energia elettrica poichè il televisore era acceso.

Tanto accertato, del tutto legittimamente i giudici del merito hanno ritenuto il D.C., sorpreso nel flagrante illecito consumo dell’energia elettrica, responsabile del delitto di furto aggravato.

Mentre i generici riferimenti, nel ricorso, ad altre persone, non meglio indicate, che abitavano nello stesso appartamento, nulla rileva ai fini della responsabilità dell’imputato, titolare dell’abitazione e flagrante fruitore dell’energia elettrica.

Poco comprensibile è la censura relativa alla formulazione del capo d’imputazione, che descrive chiaramente le modalità dell’illecito allaccio alla rete elettrica, negli stessi termini poi ritenuti dai giudici del merito. Per nulla chiaro è anche il riferimento ad una "mancanza di correlazione tra il capo d’imputazione ed il fatto storico risultante dagli atti del processo", laddove la correlazione che ha rilievo in questa sede è quella tra il fatto contestato e quello ritenuto dal giudice del merito. Correlazione certamente sussistente nel caso di specie, come emerge dalla semplice lettura dell’imputazione.

Nulla rileva, poi, ai fini della sussistenza del reato, conoscere da quanto tempo l’imputato fruiva dell’illecito allaccio; mentre, ai fini sanzionatori, nessuna incidenza ha avuto il mancato accertamento di detta circostanza. In ogni caso, il giudice del gravame ha legittimamente osservato come la reiterata, specifica ed infraquinquennale recidiva contestata non consentisse, unitamente alle aggravanti contestate, di andare oltre il giudizio di equivalenza delle stesse rispetto alle già riconosciute attenuanti generiche.

Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, che si reputa equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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