Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 14-07-2011) 02-11-2011, n. 39357

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione M.G. avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno in data 21 dicembre 2010 con la quale è stata confermata quella di primo grado di condanna in ordine al reato di percosse in danno della moglie F.L., fatto del 21 gennaio 2003.

Con la sentenza di primo grado il prevenuto era stato assolto dal reato di maltrattamenti in famiglia, perchè il fatto non sussiste.

Deduce:

1) La assenza di valida querela;

2) L’intervenuto assorbimento del reato di percosse in quello di maltrattamenti per il quale era stata già pronunciata assoluzione definitiva.

Il ricorso è inammissibile.

Come sottolineato più volte dalla giurisprudenza di questa Corte, la manifestazione della volontà di perseguire il colpevole, atta a rimuovere l’ostacolo alla procedibilità nei casi in cui la legge prevede la necessità della querela, non è vincolata a particolari formalità, ne1 deve estrinsecarsi in espressioni sacramentali. E’ sufficiente infatti che essa risulti inequivocamente nel suo contenuto sostanziale ed, a tal fine, ben può prendersi in esame, quale elemento di giudizio per la esatta interpretazione della dichiarazione, il complessivo comportamento, anche successivo alla dichiarazione stessa, della persona offesa (Rv. 218329).

Nella specie è lo stesso ricorrente a riferire che la persona offesa aveva dichiarato di volere "sporgere formale" querela (tale ultima parola soltanto risulterebbe omessa nel contesto, però della inequivoca frase riportata), nè è in grado di indicare comportamenti incompatibili con tale espressa volontà.

Il secondo motivo è pure manifestamente infondato.

Se è vero che in linea di principio il reato di maltrattamenti assorbe quello di percosse quando queste siano finalizzate ai maltrattamenti (vedi Rv. 234047), è del pari pacifico che la assenza dei presupposti di legge per la condanna in ordine al primo reato non preclude la possibilità di ritenere sussistente la residua fattispecie di percosse. Questa infatti ben può rimanere integrata pure in assenza del paradigma normativo previsto per il reato di maltrattamenti, paradigma che, tra l’altro, prevede la abitualità della condotta vessatrice e non si esaurisce nella perpetrazione di una fattispecie rilevante ai sensi dell’art. 581 c.p..

Invero la disciplina del reato complesso ( art. 84 c.p.), quale deve ritenersi quello di maltrattamenti, si pone in deroga ai principi sul concorso dei reati in attuazione del principio di specialità o, secondo altra dottrina, di quello del ne bis in idem.

Ma quando la figura del reato complesso non ricorre, le singole componenti di esso, ove contestate all’interno del medesimo processo come reati concorrenti, non possono che riprendere autonomia ed andare soggette al giudizio sulla rilevanza penale senza rimanere, tale giudizio, precluso dalla assoluzione dalla figura primigenia.

Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro 500.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e a versare alla cassa delle ammende la somma di Euro 500.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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