Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 13-07-2011) 02-11-2011, n. 39342

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione C.R. avverso la sentenza del Tribunale di Torino in data 12 maggio 2010 con la quale è stata – per quanto qui di interesse-confermata quella di primo grado, di condanna in ordine ai reati di ingiurie e minacce – in concorso con N.G. – in danno di P.R., fatti commessi il primo maggio 2005.

E’ stata pronunciata anche condanna al risarcimento del danno morale cagionato, danno liquidato in 500 Euro, e al pagamento delle spese della parte civile.

I fatti avevano avuto luogo quando la imputata e la persona offesa, rispettivamente proprietari di aree confinanti, avevano avuto un diverbio nato dalla circostanza che il P., con alcuni amici, si trovava nel giardino intento ad opere di manutenzione e che la vicina contestava tali iniziative con le frasi di cui alla imputazione.

Deduce:

1) la inosservanza degli artt. 24 e 111 Cost., nonchè artt. 208, 209, 495 496 e 503 c.p.p., per avere il giudice di pace violato i diritti difensivi non espletando l’esame degli imputati che pure era stato richiesto ed ammesso per l’udienza del 13 maggio 2009: e ciò in assenza di rituale revoca della ammissione del mezzo;

2) la erronea applicazione dell’art. 533 c.p.p..

La condotta penalmente rilevante era stata attribuita alla imputata senza che fosse rispettato il canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio. Infatti erano state valorizzate la dichiarazioni di testi della accusa ma non si era tenuto conto della deposizione della teste della difesa, C., la quale aveva affermato e documentato con la esibizione di una agenda che il giorno dei fatti, all’ora indicata dai testi, in realtà l’imputata si trovava altrove e precisamente ad A. ove aveva fissato un appuntamento di lavoro con la detta C.;

3) la condanna generica al risarcimento del danno morale era stata inflitta senza che l’interessato avesse fornito prove sulla esistenza del danno e sulla sua entità;

4) erroneamente era stata negata la esimente della provocazione pur essendosi dato atto che il diverbio doveva essere calato in un contesto di rapporti astiosi;

5) la mancata assunzione di una prova decisiva.

Era stata attestata la inattendibilità della teste C. nonostante che la stessa avesse indicato, a conforto della propria versione dei fatti, una agenda, mai però acquisita;

6) il vizio di motivazione anche nella forma del travisamento della prova. Difettava invero la dimostrazione precisa della colpevolezza della C..

In primo luogo le accuse del P. erano esse, si, inattendibili non coincidendo la versione contenuta nella querela con quella rappresentata oralmente in dibattimento; nella querela si era infatti sostenuto che la imputata si era affacciata alla finestra al primo piano della sua casa mentre in dibattimento lo stesso P. aveva dichiarato che la prevenuta si era presentata in giardino.

Inoltre le varie ricostruzioni dei testi della accusa erano tutt’altro che coincidenti e univoche soprattutto sul punto della riferibilità della condotta alla C.;

7) lo stesso vizio di motivazione con riferimento alla agenda esibita dalla teste C..

Il giudice dell’appello aveva affermato che la teste aveva reso dichiarazioni non credibili anche perchè basate su un documento non prodotto: era vero invece che le pagine dell’agenda erano allegate all’atto di appello;

Ai sensi dell’art. 612 c.p.p., infine la imputata chiedeva la sospensione della esecuzione delle statuizioni civili.

Il ricorso è inammissibile perchè con esso sono rappresentati motivi manifestamente infondati o diversi da quelli che possono essere sottoposti alla Corte di legittimità.

Il primo motivo costituisce la riedizione di analoga doglianza già sottoposta al giudice dell’appello che l’ha motivatamente disattesa.

La parte, in replica, rappresenta di essere stata presente alla udienza di ammissione del mezzo di prova ma nulla allega contro il rilievo dei giudici circa l’essere rimasta assente quando l’esame richiesto avrebbe dovuto essere espletato.

In effetti risulta dagli atti che alla udienza del 13 maggio 2009, fissata per l’esame, la C. era assente così dimostrando implicitamente di non volere coltivare la propria già dichiarata strategia processuale.

I motivi sub 2) e 6) contengono una sostanziale richiesta, rivolta del tutto impropriamente al giudice della legittimità, di valutare nuovamente ed autonomamente i risultati di prova.

Ha però posto in evidenza più volte questa Corte che in tema di vizi della motivazione, il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (rv 215745).

Alla Cassazione è dunque inibito procedere alla analisi delle dichiarazioni dei testi che, inammissibilmente, la parte ha riprodotto nel ricorso per richiedere la verifica dei limiti della loro coincidenza.

Un simile giudizio è stato già espresso positivamente dal giudice del merito il quale ha evidenziato la detta coincidenza riguardo al nucleo centrale delle dichiarazioni accusatorie, senza giustamente valorizzare eventuali difformità su particolari marginali o comunque difformità nelle versioni che erano superabili col criterio della loro "compatibilita".

Anche la presunta inattendibilità delle affermazioni della persona offesa viene inammissibilmente segnalata dalla ricorrente sulla base di divergenze tra il contenuto della querela e le dichiarazioni rese a dibattimento, dimenticando che l’atto di querela non può costituire elemento di prova ma viene acquisito soltanto ai fini della valutazione della procedibilità ( art. 511 c.p.p., comma 4).

I motivi riguardanti la valutazione della deposizione della teste C. (2, 5, 7) d’altra parte sono pure manifestamente infondati.

I giudici non hanno affatto ignorato ma, piuttosto, hanno valutato le dichiarazioni di tale teste indotta dalla difesa e hanno motivatamente argomentato il loro convincimento riguardo la sua inattendibilità.

Hanno infatti ritenuto maggiormente probanti le affermazioni di ben sei testi i quali hanno affermato che la imputata, il primo maggio del 2005 alle ore 16 si trovava esattamente nel luogo in cui ebbe a commettere i reati a lei ascritti, con la conseguenza che il ricordo della C. non può che risultare, in base alle regole della logica, frutto quantomeno di errore.

E tale presumibile errore non può certo dirsi escluso da una annotazione su una agenda (peraltro mancante di fogli) posto che anche una simile annotazione ben può essere stata superata da eventi svoltisi in concreto diversamente:

considerazione che rende del tutto irrilevante il fatto della acquisizione o meno della agenda – prova non decisiva – agli atti del processo.

Siffatto ragionamento, come detto, rispondendo a razionalità e completezza, non può essere ulteriormente sindacato da questa Corte neppure nel caso in cui possa rappresentarsi una ipotetica ricostruzione alternativa dei fatti, auspicata dalla difesa.

Infatti, come più volte ribadito, la Cassazione non è il giudice del fatto ma valuta la logicità del ragionamento seguito dal giudice del merito.

Il motivo sub 3) contrasta con la costante giurisprudenza e deve pertanto essere ugualmente qualificato come manifestamente infondato.

Trattandosi di liquidazione del danno morale che, in base alle evidenti risultanze probatorie, è derivato in via diretta alla vittima delle ingiurie e delle minacce proferite dalla imputata, il giudice non aveva bisogno di prove ulteriori per affermarlo e tantomeno per liquidarlo, oltretutto nella misura minima considerata di 500 Euro. In materia di liquidazione del danno morale, d’altra parte, si è osservato che la valutazione equitativa dei danni non patrimoniali è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, se ha soddisfatto la esigenza di ragionevole correlazione tra gravità effettiva del danno ed ammontare dell’indennizzo, correlazione motivata attraverso i concreti elementi che possono concorrere al processo di formazione del libero convincimento (Rv. 215189).

Nella specie la parte contesta oltretutto genericamente che 500 Euro possano costituire una adeguata remunerazione del danno morale subito dalla persona offesa, ma non articola alcuna considerazione valida in punto di fatto.

La esimente dell’art. 599 c.p., viene sollecitata (sub 4) senza addurre argomenti in punto di fatto come invece l’art. 581 c.p.p. pretende.

E’ appena il caso di ricordare che la esistenza di pregressi rapporti di astio tra le parti non rappresenta certo il paradigma tipico di esistenza della causa di non punibilità della provocazione: infatti i rapporti tesi sono in genere, semmai, la prova che la condotta ingiuriosa è scaturita non come reazione ad un preciso fatto ingiusto altrui (nella specie rimasto assolutamente indimostrato) ma come sintomo di collera covata lungamente e quindi di un titolo remunerativo che è del tutto diverso dallo stato di reazione incontrollata tutelato dall’art. 599 c.p.p..

Inammissibile infine è la richiesta di sospensione della esecuzione delle statuizioni civili atteso che tale misura, oltre ad essere stata richiesta senza alcuna giustificazione a supporto, non può comunque essere valutata quando sul ricorso, come nella specie, intervenga pronuncia definitiva.

Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro 500.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e a versare alla cassa delle ammende la somma di Euro 500.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *