Cass. civ. Sez. II, Sent., 08-05-2012, n. 7013 Azioni a difesa della proprietà rivendicazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 7-1-1993 R.B. conveniva dinanzi al Tribunale di Palermo L.C.O. (nato il (OMISSIS)), esponendo che con atto pubblico del 16-1-1985, trascritto il 15-2-1985, aveva ricevuto in donazione dalla madre B.M. la nuda proprietà dell’immobile sito in (OMISSIS), in catasto f. 15, particelle 1304U, 1304/2, 1304/3; che con atto notarile del 9-1-1987, trascritto il 9-2-1987, il convenuto aveva acquistato dallo zio Lo.Cr.Ot. (nato il (OMISSIS)) un immobile sito in (OMISSIS), comprendente la particella 1304/3 del f.

15, che era stata oggetto della suddetta donazione; che il convenuto, approfittando della temporanea assenza dell’attore, aveva chiuso delle porte interne che rendevano comunicanti gli immobili oggetto della donazione e della vendita, appropriandosi della parte da lui acquistata. Tanto premesso, il R. chiedeva che venisse dichiarato che egli era proprietario assoluto dell’immobile donatogli dalla madre, con conseguente dichiarazione di inefficacia nei suoi confronti dell’atto di vendita stipulato dal convenuto e condanna di quest’ultimo all’immediato rilascio dell’immobile illegittimamente detenuto.

Nel costituirsi, il L.C. sosteneva di avere usucapito l’intero immobile donato all’attore e chiedeva, a sua volta, che venisse dichiarata l’inefficacia dell’atto di donazione in favore del R., non essendo la madre di quest’ultimo legittimata al trasferimento di tale bene.

Con sentenza del 23-1-2001 il GOA dichiarava che il R. era proprietario della casa sita in (OMISSIS) con ingresso dalla (OMISSIS), in catasto f. 15 particelìa 1304/3, per averla ricevuta in donazione dalla madre B.M., la quale ne era divenuta proprietaria per usucapione, avendone avuto il possesso sin dal 1963 almeno fino all’occupazione dell’immobile da parte del convenuto, avvenuta intorno al 1989; dichiarava inefficace nei confronti dell’attore l’atto di compravendita stipulato il 9-1-1987 dal L.C. e condannava quest’ultimo al rilascio dell’immobile anzidetto ed al pagamento della somma mensile di L. 90.000 dalla data della domanda al rilascio; rigettava per carenza di prova la domanda del convenuto tendente alla dichiarazione di usucapione delle altre particelle; condannava il L.C. al pagamento delle spese processuali.

Con sentenza depositata il 19-12-2005 la Corte di Appello di Palermo rigettava l’appello proposto avverso la predetta decisione dal convenuto, che condannava al pagamento delle spese del grado.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il L.C., sulla base di sei motivi.

Il R. resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo il ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e della prova testimoniale assunta nel giudizio di primo grado. Sostiene, in particolare, che la Corte di Appello ha erroneamente ritenuto non attendibile la teste P. ed ha illogicamente ritenuto che l’immobile abitato dai L.C., di cui all’atto di compravendita del 9-1-1987, fosse lo stesso o facesse parte di quello oggetto dell’atto di donazione del 16-1-1985, pur essendo emerso dalle risultanze processuali che tali beni erano diversi, anche se contigui.

Il motivo non è meritevole di accoglimento.

La Corte di Appello ha ampiamente illustrato gli elementi probatori sui quali ha fondato il proprio convincimento circa l’intervenuta usucapione dell’immobile in contestazione da parte della dante causa dell’attore, dando altresì adeguato conto delle ragioni della ritenuta inattendibilità della teste P..

Ciò posto, si osserva che, attraverso la formale prospettazione di vizi di motivazione, il ricorrente propone, in buona sostanza, mere censure di merito, con le quali tende ad ottenere una nuova e più favorevole valutazione delle emergenze processuali, di cui propone una lettura alternativa rispetto a quella, coerente e logica e come tale non sindacabile in questa sede, offerta dal giudice del gravame.

E’ appena il caso di ricordare che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire la identificazione dei procedimento logico giuridico posto a base della decisione. Detti vizi non possono, peraltro, consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, perchè spetta solo a quel giudice individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (Cass. Sez. 2, 14-10-2010 n. 21224; 5-3-2007 n. 5066; Cass. 21 aprile 2006, n. 9368; Cass., 20 aprile 2006, n. 9234; Cass., 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass., 20 ottobre 2005, n. 20322).

2) Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omessa motivazione e la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., per non essersi la Corte di Appello pronunciata sull’ammissibilità e valenza probatoria del documento (ordinanza emessa dal Sindaco del Comune di Cinisi nei confronti di Lo.Cr.Ot., zio e dante causa del convenuto, e di R.A., padre dell’attore, dal quale si evinceva che notoriamente il predetto L.C.O. veniva considerato proprietario dell’immobile in questione insieme a R.A.) rinvenuto dall’appellante dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni di appello e che il medesimo aveva chiesto di produrre all’udienza collegiale del 25-11-2005.

Il motivo è inammissibile per carenza di interesse, in quanto la Corte di Appello, ove avesse esaminato l’istanza di produzione documentale avanzata all’udienza collegiale dall’appellante, avrebbe dovuto rilevarne la tardività e inammissibilità, espressamente eccepita dell’appellato. Nell’udienza collegiale in appello, infatti, non è ammissibile la produzione di nuovi documenti, giacchè l’udienza collegiale, essendo destinata alla relazione del giudice istruttore e alla discussione delle parti che l’abbiano chiesta, non consente alla controparte l’esame del documento prodotto e l’eventuale replica sulla sua efficacia nel processo (Cass. 4-6-2001 n. 7511).

3) Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 948, 1140, 1158, 2697 c.c.. Sostiene che la Corte di Appello ha erroneamente ritenuto assolto dall’attore il rigoroso onere probatorio richiesto in materia di azione di rivendicazione, in quanto non vi è prova che l’attore o la madre abbiano posseduto pacificamente, pubblicamente ed ininterrottamente per oltre venti anni l’immobile ubicato al piano terra del civico (OMISSIS) della via (OMISSIS), il cui possesso è stato invece esercitato dal convenuto e, prima di lui, dai suo dante causa.

Il motivo è privo di fondamento.

Come è noto, chi agisce in rivendicazione è tenuto a provare la sussistenza dell’asserito diritto di proprietà sul bene risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino ad un acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando l’avvenuto compimento dell’usucapione in suo favore (v. Cass. 1-3-1995 n. 2334; Cass. 22-12-1999 n. 14444).

Nella specie, la Corte di Appello, all’esito di un’attenta disamina del materiale probatorio, ha ritenuto raggiunta la prova dell’acquisto per usucapione dell’immobile in contestazione da parte della dante causa del R. ed ha, conseguentemente, ritenuto assolto dall’attore l’onere probatorio sul medesimo gravante.

Non sussistono, pertanto, le dedotte violazioni di legge, avendo il giudice del gravame fatto corretta applicazione della regola della c.d. "probatio diabolica" richiesta in tema di azione di rivendicazione. E’ evidente, al contrario, che il ricorrente, con le censure mosse, deduce sostanzialmente una erronea valutazione delle emergenze processuali dalle quali la Corte di Appello ha desunto la prova dell’intervenuta usucapione da parte della dante causa dell’attore. In tal modo, peraltro, esso sollecita a questa Corte l’esercizio di poteri di cognizione esulanti dal sindacato di legittimità ad essa riservato.

4) Con il quarto motivo il ricorrente deduce che la Corte di Appello ha omesso di motivare sulle censure mosse con l’atto di appello in ordine al rigetto della domanda formulata dal convenuto, di inefficacia dell’atto di donazione stipulato il 16-1-1985 tra B.M. e R.B., nella parte in cui ha disposto del civico (OMISSIS), del quale la donante non aveva il possesso.

Il motivo è manifestamente infondato, avendo la Corte di Appello dato atto, con motivazione adeguata e congrua, dell’intervenuto acquisto per usucapione dell’immobile in contestazione da parte della B. e della conseguente legittimità dell’atto di donazione dalla medesima posto in essere in favore del figlio.

5) Con il quinto motivo il ricorrente si duole dell’omessa e insufficiente motivazione e della violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c., in relazione alla condanna al pagamento della somma mensile di L. 90.000, pronunciata nei suoi confronti. Sostiene che la Corte di Appello ha omesso di rilevare che il convenuto non ha occupato il bene di proprietà dell’attore, ma ha avuto il possesso di un immobile diverso rispetto a quello donato a quest’ultimo dalla B. e che, pertanto, il R. non aveva diritto ad alcun indennizzo ex art. 2041 c.c..

Il motivo deve essere disatteso.

Le censure mosse si sostanziano, ancora una volta, nella richiesta di una valutazione alternativa delle risultanze processuali rispetto a quella compiuta dalla Corte di Appello, la quale, con motivazione esente da vizi logici e come tale non sindacabile in questa sede, ha accertato, in punto di fatto, che il convenuto ha arbitrariamente occupato l’immobile di proprietà del R., da ciò facendo correttamente conseguire il diritto dell’attore ad un indennizzo, ragguagliato al valore locativo del bene.

Il tutto in linea con il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui, in caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno per il proprietario usurpato è "in re ipsa", ricollegandosi al semplice fatto della perdita della disponibilità del bene da parte del "dominus" ed all’impossibilità per costui di conseguire l’utilità normalmente ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso. La determinazione del risarcimento del danno ben può essere, in tali ipotesi, operata, dal giudice, facendo riferimento al cosiddetto danno "figurativo", e, quindi, al valore locativo del cespite usurpato (Cass. 18-1-2006 n. 827; Cass. 5-11-2001 n. 13630; Cass. 7/6/2001 n. 7692; Cass. 21-1-2000 n. 649).

6) Con il sesto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione alla pronuncia di condanna alle spese processuali.

Anche tale motivo è infondato, in quanto la Corte di Appello, avendo rigettato il gravame proposto dall’appellante, ha legittimamente posto le spese del grado a carico di quest’ultimo, in applicazione del principio della soccombenza.

7) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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