Cass. civ. Sez. II, Sent., 08-05-2012, n. 7004 Spese Vendita di immobili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’imprenditore P.G., con atto di citazione del 6.12.03 convenne al giudizio del Giudice di Pace di Rimini C.T., cui aveva venduto un immobile sito in (OMISSIS) con atto pubblico del 27.5.98, chiedendone la condanna al rimborso della somma di Euro 2.582,28, per spese di allacciamento alle reti di erogazione pubblica, per accatastamento, suddivisione millesimale, nonchè per oneri ed interessi corrisposti per mutui e polizze assicurative, nell’ambito dell’intervento in regime di edilizia convenzionata La domanda, cui la convenuta aveva resistito, essenzialmente negando di essersi impegnata a tali rimborsi e sostenendo che, peraltro, a taluni degli stessi aveva comunque provveduto, fu respinta dal giudice adito con sentenza n. 928 del 2005.

A seguito dell’appello del soccombente, nella resistenza dell’appellataci Tribunale di Rimini, con sentenza monocratica pubblicata il 12.9.2009 respinse il gravame, condannando l’appellante alle spese, sulla base delle seguenti essenziali considerazioni:

a) il prezzo della compravendita, inizialmente previsto in L. 140.000.000 nel contratto preliminare, era stato rideterminato in L. 120.000.000 nel sopra citato contratto definitivo;

b) la definitività del prezzo come sopra determinato ed il richiamo nel sopra citato atto di compravendita alla convenzione del 21.11.97 stipulata tra il costruttore – venditore ed il Comune di San Giovanni in Marignano, che tra l’altro prevedeva che il prezzo di cessione non comprendesse una serie di spese, tra cui quelle pretese dall’appellante attore, non consentivano di ritenere che nel complessivo assetto contrattuale le parti avessero inteso porre detti oneri a carico dell’acquirente;

c) sotto diverso profilo tali spese, ove anticipate dal costruttore, avrebbero potuto formare oggetto di una distinta azione ex art. 2041 c.c.;

d) peraltro per alcune delle stesse (allacciamenti alle pubbliche utenze) la convenuta aveva provato di averle direttamente sostenute, mentre altre (quelle per interessi bancari), come evidenziato dal c.t.u., erano riferibili alla complessiva attività d’impresa e non anche a specifico e singolo mutuo stipulato dalla acquirente.

Avverso tale sentenza il P. proponeva ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Resisteva la C. con controricorso.

Con relazione ex art. 380 bis c.p.c., il Consigliere designato per l’esame preliminare proponeva il rigetto del ricorso, ma all’esito della trattazione in camera di consiglio, in vista della quale le parti avevano depositato rispettive memorie illustrative, il collegio, con ordinanza del 14.10-9.11.2011, rimetteva il giudizio alla pubblica udienza.

Sono state infine depositate memoria illustrative da ambo le parti.

Motivi della decisione

Con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente deduce "violazione e falsa applicazione nonchè erronea valutazione della disciplina relativa al contratto definitivo ed alle pattuizioni ivi inserite", essenzialmente censurando la sentenza impugnata per aver affermato che il contratto definitivo fosse l’unico elemento atto a determinare le pattuizioni contrattuali, richiamanti la convenzione, e, nel contempo contraddittoriamente, affermato che l’obbligo del rimborso delle spese non comprese nel prezzo necessitasse di una espressa pattuizione.

Con il secondo viene attaccata, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c, l’argomentazione in narrativa riportata sub c).

Con il terzo si censura la decisione per "violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 1363, 1366 e 1475 c.c., nella valutazione delle intenzioni e volontà inter partes, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3".

Con il quarto si deduce, sotto un primo profilo, "violazione e falsa applicazione delle disposizioni previste in convenzione, nella valutazione delle spese non comprese nel prezzo di cessione" e sotto un secondo, "erronea valutazione da parte del giudice di appello degli elementi probatori acquisiti e delle conclusioni del c.t.u.".

La stretta connessione delle censure contenute nel primo e terzo motivo, nonchè nel primo profilo del quarto, ne comporta l’opportuno esame congiunto.

Il ricorrente lamenta, con tali mezzi d’impugnazione, la non rispondenza della lettura, proposta dal giudice di merito, del contratto stipulato tra le parti, costituito dall’atto pubblico così come integrato dalla richiamata convenzione, operazione che sarebbe stata illogica e non rispettosa dei canoni ermeneutici dell’interpretazione complessiva e della buona fede, non avendo tenuto conto che le spese e gli oneri sostenuti dal costruttore- venditore, ai sensi dell’art. 10 della convenzione, pur non essendo ricompresi nel prezzo di vendita, ben avrebbero potuto essere aggiunte dai privati contraenti, senza che ciò comportasse il superamento del tetto massimo stabilito per la cessione degli alloggi.

Le censure sono fondate soltanto nella parte riferibile al mancato rimborso delle spese di accatastamento dell’immobile, alla luce di una pronunzia di questa Corte, che ancorchè risalente (ma non superata da altre di segno diverso) il collegio condivide, ritenendo di darle continuità, secondo cui "Per spese del contratto di compravendita, che l’art. 1475 cod. civ., pone in via generale a carico del compratore, devono intendersi tutte quelle che siano necessarie per la conclusione del contratto e siano, perciò, in stretto rapporto di causalità, efficienza e sirumentalità, con la conseguenza che vanno escluse solo quelle spese per cui risulta mancante un rapporto causale – anche sotto il profilo della inutilità evidente e della esorbitanza delle stesse – ovvero l’eventuale contrario accordo delle parti. Costituiscono pertanto spese della compravendita, a carico anche del compratore, ai sensi dell’art. 1475 citato – in quanto strumentalmente compiute per rendere possibile il negozio – gli onorari spettanti ad un professionista per la redazione di una relazione tecnica per il frazionamento e di una planimetria che, costituenti parte integrante dell’atto pubblico di vendita, siano state effettuate su solo incarico del venditore" (Cass. 2^ n. 8327 del 13.8.1990).

Sotto tale limitato profilo il ricorso risulta fondato, poichè il rimborso de quo, pux non essendo, a termini della convenzione integrativa del contratto, compreso nel prezzo e nonostante la mancanza di una espressa pattuizione ad hoc delle parti, in quanto attinente ad un adempimento notoriamente necessario per la stipula degli atti pubblici di compravendita, aventi ad oggetto immobili di nuova costruzione o provenienti dal frazionamento di preesistenti di maggiore consistenza, deve ritenersi, in mancanza di eventuale patto contrario, ex lege a carico del compratore, in virtù della citata disposizione civilistica.

Le censure vanno nel resto respinte, poichè, non essendo le altre pretese, nella specie avanzate del costruttore, sorrette da alcun titolo convenzionale o le gai e, correttamente il giudice di appello le ha disattese, sulla base di interpretazione del contratto, così come integrato dalla citata convenzione, da ritenersi indenne da vizi logici o violazione delle citate disposizioni di ermeneutica negoziale, per la conformità ad un chiaro e lineare dato letterale più che sufficiente ad evidenziare le intenzioni dei contraenti, con la conseguente inapplicabilità delle regole sussidiarie, contenute negli articoli successivi all’art. 1362 c.c., invocate dal ricorrente.

In altri termini, una volta esclusa l’esigibilità ex contractu delle spese in questione, per non essere le stesse previste quali componenti del prezzo ed in assenza di alcuna previsione, contenuta nell’atto di compravendita (nella sua composita formulazione menzionata), o di altre distinte pattuizioni, eventualmente e collateralmente stipulate inter partes, che ne prevedessero l’anticipazione a carico dell’attore ed il successivo rimborso da parte del convenutoci costruttore – venditore che se ne fosse, comunque e pur non essendovi, convenzionalmente e legalmente tenuto, fatto carico, avrebbe dovuto, provando i relativi esborsi, agire ad altro titolo per il relativo recupero. In tale ottica si inserisce l’osservazione del giudice di merito, secondo cui l’attore avrebbe, se del caso, potuto esperire l’azione di indebito arricchimento ex art. 2041.c.c. (o meglio – aggiungasi – eventualmente ed in presenza delle relative condizioni, quella ex art. 2031 c.c., spettante al negotiorum gestor).

Tale considerazione, peraltro, in quanto non costituente una rado deciderteli direttamente funzionale alla reiezione della domanda, non giustificava la formulazione del secondo motivo di ricorsola ritenersi pertanto ritenuto inammissibile, per difetto d’interesse.

Altrettanto inammissibili per irrilevanza, infine, ancor prima che per la palese attinenza ad accertamenti in fatto, risultano i residui profili di censura contenuti nel quarto motivo, con i quali si attaccano, per aver recepito valutazioni peritali che si assumono erronee, le argomentazioni riportate sub d) in narrativa, trattandosi anche in questo caso di argomentazioni esposte ad abundantiam, non necessariamente funzionali alla decisione, sufficientemente sorretta dalla ratio deciderteli derivante dall’interpretazione del contratto e dall’assenza di altre fonti delle obbligazioni dedotte in giudizio.

Conclusivamente, accolto per quanto di ragione il terzo motivo, respinti i rimanenti, la sentenza impugnata va parzialmente cassata, con rinvio ad altro giudice del Tribunale di Rimini, cui si demanda anche il regolamento delle spese del grado di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie parzialmente, nei limiti di cui in motivazione, il terzo motivo del ricorso, che rigetta nel resto, cassa la sentenza impugnata, relativamente alla censura accolta, e rinvia, anche per le spese del presente giudiziosi Tribunale di Rimini, in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2012

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