Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 23.3.2004 O.S. conveniva, dinanzi al Giudice del Lavoro di Ascoli Piceno, la ASUR – Zona Territoriale n. (OMISSIS) di San Benedetto dei Tronto, esponendo di essere stato nominato direttore amministrativo della Ausl n. (OMISSIS) di San Benedetto del Tronto in data 31.7.2001 e che il contratto stipulato in pari data aveva prefissato la durata del rapporto fino alla scadenza dell’incarico del Direttore Generale dell’azienda USL n. (OMISSIS). Aggiungeva che l’1.6.2002 il Direttore Generale era cessato dall’incarico, ma che in data 20.6.2002 il commissario straordinario aveva prorogato, in via provvisoria, la validità del contratto con esso O. fino al 31.7.2002, con susseguente cessazione del rapporto.
Deduceva che la clausola di durata prevista dell’art. 6 del contratto era nulla perchè contraria al disposto del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 502, art. 3 come modificato ed integrato dal D.lgs. 16 giugno 1999, n. 229, prevedente la durata minima triennale del rapporto, e che, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 c.c., la clausola nulla avrebbe dovuto essere sostituita dalla previsione imperativa di legge, con la conseguenza che la ASL n. (OMISSIS) doveva ritenersi illegittimamente receduta dal contratto prima della scadenza.
Tutto ciò premesso, chiedeva la condanna dell’Azienda convenuta al risarcimento del danno, da quantificare nei compensi non percepiti a causa dell’anticipata cessazione del rapporto, per l’importo di Euro 153.000,00.
Si costituiva l’Azienda convenuta e chiedeva il rigetto dello domanda; eccepiva preliminarmente la carenza di giurisdizione del giudice ordinario e l’inapplicabilità del rito del lavoro; deduceva, nel merito, che il contratto era stato stipulato fino alla scadenza dell’incarico del Direttore Generate, e non per tre anni, perchè, al momento dell’incarico al Direttore Amministrativo, il Direttore Generale non aveva più davanti a sè un periodo triennale di durata;
ricordava che la ratio della legge era di far coincidere la durata dei rapporti di direttore generale e direttore amministrativo, in ragione del rapporto fiduciario fra il primo ed il secondo;
evidenziava che l’attore aveva tenuto una condotta contraria a buona fede, poichè solo una volta cessato il rapporto aveva manifestato le sue riserve sulla nullità del termine; eccepiva, in subordine, che la somma richiesta a titolo risarcitorio, era eccessiva.
Con sentenza del 16/12/2005 il Tribunale, affermata la giurisdizione del Giudice Ordinario e l’applicabilità alla controversia del rito del lavoro, rigettava il ricorso, ritenendo, indipendentemente dalla fondatezza eventuale della eccezione di nullità della clausola di durata prevista dall’ari. 6 del contratto di incarico dirigenziale, che, una volta cessato il rapporto in esecuzione di quella clausola – come in effetti era avvenuto, senza che fossa ipotizzabile un recesso dell’Azienda- il ricorrente non avesse formulato alcuna offerta della prestazione lavorativa, cosicchè non sussisteva il diritto ad alcun risarcimento.
Avverso tale decisione proponeva appello l’ O., cui resisteva l’Azienda. Con la sentenza dell’11 dicembre 2009-14 gennaio 2010, l’adita Corte d’appello di Ancona accoglieva il gravame, dichiarando la nullità della clausola di durata apposta al contratto di lavoro, siccome inferiore a tre anni, e conseguentemente che esso aveva conservato vigore fino al 31.12.2003; condannava, quindi, l’ASUR Marche al pagamento in favore dell’ O. di una somma corrispondente ai compensi che avrebbe maturato dalla data dell’offerta della prestazione (richiesta di conciliazione del 23/9/2002, pervenuta alla ASUR il 27 settembre successivo), fino al 31/12/2003, sulla base del compenso mensile previsto dal contratto e dalle successive integrazioni (Delib. Giunta Reg. n. 994 del 2002 e delibera AUSL (OMISSIS) di San Benedetto del Tronto 10/6/2002 n. 80), a titolo di risarcimento del danno, oltre accessori. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre l’Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche con tre motivi.
Resiste il dott. O.S. con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3-bis, comma 8, nonchè del D.P.C.M. n. 502 del 1995 – anche in relazione agli artt. 2227 e 2237 c.c. (Recesso) e all’art. 1362 c.c. e segg. (Dell’interpretazione del contratto) – e del combinato disposto degli artt. 1339 e 1419 c.c. Più in dettaglio, la ricorrente osserva che la normativa di settore sopra richiamata ed in particolare il D.Lgs. n. 502 del 192 e s.m.i al suo art. 3-bis, comma 8, stabilisce una durata almeno triennale del contratto di lavoro del Direttore Generale, Amministrativo e Sanitario ma non prevede espressamente alcuna nullità del termine di durata minima inferiore inserito nel contratto di lavoro – come invece affermato nella impugnata sentenza – proprio perchè detto negozio, secondo il tenore letterale della citata norma, viene stipulato in osservanza delle norme del titolo 3^ dei libro 5 c.c..
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in particolare degli artt. 1206 e 1217 c.c., in relazione agli artt. 2227 e 2237 c.c. (Recesso), in quanto richiamati dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3-bis, comma 8, ("contratto stipulato in osservanza delle norme dei titolo 3^ del libro 5^ c.c.").
Lamenta il ricorrente che il Giudice d’appello, per ritenere fondata la richiesta risarcitoria della controparte, avrebbe erroneamente sussunto la fattispecie concreta, indubitabilmente regolata dalle norme codicistiche sul lavoro autonomo, in quella del lavoro subordinato a termine, prendendone in prestito la giurisprudenza formatasi in ordine all’ipotesi di invalida apposizione di termine finale ed incentrando l’accoglimento dell’impugnazione e della domanda risarcitoria sull’inadempimento del "datore di lavoro" all’obbligo contrattuale di ricevere la prestazione lavorativa offertagli anche dopo la scadenza di quel termine finale invalidato e sostituito di diritto dalla durata minima triennale prevista dalla legge….
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la situazione in cui il Direttore Generale era addivenuto il 31 luglio 2001 alla stipula del contratto in questione e cioè a meno di un anno dalla scadenza del suo quinquennio (11.6.2002).
Il ricorso, pur valutato nelle sue diverse articolazioni, è privo di fondamento alla luce della normativa di riferimento.
Il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 1) nell’art. 3, comma 1 quater definisce il Direttore Generale organo dell’azienda unità sanitaria locale attribuendogli la responsabilità della gestione complessiva e la nomina dei responsabili delle strutture e disponendo che esso venga "coadiuvato nell’esercizio delle proprie funzioni dal direttore amministrativo e dal direttore sanitario". Il successivo comma 1 quinquies stabilisce che "il direttore amministrativo ed il direttore sanitario sono nominati dal direttore generale" e che "essi partecipano unitamente al direttore generale, che ne ha la responsabilità, alla direzione dell’azienda, assumono diretta responsabilità delle funzioni attribuite alla loro competenza e concorrono, con la formulazione di proposte di pareri, alla formazione delle decisioni della direzione generale".
Il D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3-bis stesso, inserito dal D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, art. 3 dispone al comma 8, che "Il rapporto di lavoro del direttore generale, del direttore amministrativo e del direttore sanitario è esclusivo ed è regolato da contratto di diritto privato, di durata non inferiore a tre e non superiore a cinque anni, rinnovabile, stipulato in osservanza delle norme del titolo terzo del libro quinto del codice civile. La Regione disciplina le cause di risoluzione del rapporto con i direttore amministrativo e il direttore sanitario". Il D.P.C.M. 19 luglio 1995, n. 502 ( Regolamento recante norme sul contratto del direttore generale, del direttore amministrativo e del direttore sanitario delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere) all’art. 2 comma 6 (modificato dal D.P.C.M. 31 maggio 2001, n. 319, art. 2, comma e 1, lett. f), nel disciplinare il "Contratto dei direttori amministrativo e sanitario", dispone che "La regione disciplina le cause di risoluzione del rapporto di lavoro con il direttore amministrativo e il direttore sanitario, anche con riferimento alla cessazione dall’incarico del direttore generale", aggiungendo che "Nulla è dovuto, a titolo di indennità di recesso, ai direttori amministrativo e sanitario in caso di cessazione dall’incarico".
La norma appena ricordata attribuisce, dunque, alla Regione il potere di dettare la disciplina delle cause di risoluzione del rapporto con il direttore amministrativo e il direttore sanitario, con riferimento – o, almeno, senza espressa esclusione – anche a cause di cessazione automatica del rapporto stesso, quali possono essere quelle collegate alla cessazione dalla carica del Direttore Generale, in ragione del rapporto fiduciario ed ausiliario del Direttore Amministrativo con il Direttore Generale.
Nel caso della Regione Marche – che qui viene in rilevo -, la L.R. n. 26 del 1996 dispone all’art. 16, a proposito del Direttore Amministrativo, che "1. Il direttore amministrativo e il direttore sanitario delle aziende sono nominati dal direttore generale con provvedimento motivato, nel rispetto dei requisiti previsti dalla legge. Essi svolgono le funzioni stabilite dal decreto legislativo di riordino. 2. Il direttore generale con provvedimento motivato può sospendere o dichiarare decaduti per gravi motivi il direttore amministrativo e il direttore sanitario dell’azienda".
A differenza che in altre Regioni, dunque, le Marche non hanno stabilito in via legislativa un collegamento automatico fra la cessazione dalla carica del Direttore Generale e la risoluzione del rapporto con il Direttore Amministrativo; non hanno, cioè, adottato la disciplina legislativa specifica sulle cause di risoluzione del rapporto con il Direttore Amministrativo prevista dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3 bis, comma 8 e del D.P.C.M. n. 502 del 1995.
La disciplina della durata del contratto di lavoro dell’ O. va, dunque, individuata nelle sopra riportate norme del D.Lgs. n. 502 del 1992 e D.P.C.M. n. 502 del 1995, che hanno carattere vincolante ed imperativo, non derogabile dalla volontà negoziale delle parti (non ha dunque rilievo la dedotta accettazione della durata da parte dell’ O.) e che indicano la durata minima del contratto stesso in tre anni, senza previsione di risoluzione automatica collegata alla cessazione dell’incarico del Direttore Generale (nonostante il sicuro rapporto fiduciario ed ausiliario intercorrente fra il Direttore Generale ed il Direttore Amministrativo). Ne discende la correttezza della decisione impugnata che ha ritenuto fondata l’eccezione di nullità della clausola contrattuale n. 6 del contratto di lavoro del Direttore Amministrativo del 31-7-2001, intercorso fra l’ O. e ed il Direttore Generale dell’ASUR convenuta, e la permanente vigenza del rapporto di lavoro in questione fino alla scadenza dei tre anni dalla nomina (luglio 2004), sostituendosi la previsione imperativa della legge alla clausola nulla, a norma dell’art. 1419 c.c., comma 2.
A maggior sostegno della correttezza della decisione adottata nella contestata sentenza, vanno richiamati recenti pronunce del Giudice costituzionale riguardanti quelle norme regionali che prevedono la decadenza automatica del direttore sanitario ed amministrativo alla cessazione del direttore generale che ne ha effettuato la nomina, nel solco di quel consolidato indirizzo affatto sfavorevole a forme di spoils System della dirigenza non direttamente chiamata ad attuare l’indirizzo politico – amministrativo degli organi di governo (con specifico riferimento alla dirigenza delle Aziende sanitarie, cfr.
Corte Costituzione 24.6.2010 n. 224 e Corte Costituzionale 22.7.2002). In tali pronunce, il Giudice delle leggi ha, infatti, senz’altro escluso la sussistenza di un rapporto di stretta simmetria tra le modalità di conferimento dell’incarico dirigenziale e le cause della sua cessazione. La scelta fiduciaria del direttore amministrativo o sanitario, effettuata con provvedimento ampiamente discrezionale del direttore generale, non implica che l’interruzione del correlato rapporto di lavoro possa avvenire con il medesimo margine di apprezzamento discrezionale, poichè, una volta instaurato detto rapporto, vengono in rilievo altri profili, connessi sia all’interesse dell’amministrazione alla continuità delle funzioni espletate dal dirigente, che alla tutela giudiziaria, costituzionalmente protetta, delle sue situazioni soggettive. In relazione a tali esigenze, la previsione sulla decadenza automatica è stata ritenuta contrastante con il principio costituzionale di buon andamento, in quanto essa non ancora l’interruzione del rapporto d’ufficio in corso a ragioni interne a tale rapporto, legate alle concrete modalità di svolgimento delle funzioni dirigenziali.
In ordine alla determinazione del quantum la Corte territoriale ha, poi, correttamente affermato che la costituzione in mora dei creditore della prestazione comporta il diritto del lavoratore al risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, per mancata accettazione della sua prestazione lavorativa; aggiungendo, altrettanto correttamente, che il pregiudizio patrimoniale della parte che ha subito l’inadempimento corrisponde all’ammontare dei compensi che egli avrebbe ricevuto se l’altra parte avesse accettato, come era tenuta a fare, la prestazione offerta. Nel caso in questione, -prosegue la Corte di merito – ove il rapporto fosse proseguito per la durata minima stabilita dallo legge (tre anni), l’ O. avrebbe continuato a percepire il compenso indicato nel contratto stesso, nonchè il successivo aumento previsto dalla Delib.
Giunta Regionale n. 994 del 2002 (con la decorrenza ivi indicata), fino alla scadenza di legge; tuttavia, nella fattispecie, avendo il ricorrente limitato la sua domanda risarcitoria ai compensi che avrebbe percepito fino al 31-12-2003 (data precedente alla citata scadenza triennale), in tal senso la domanda doveva essere accolta.
Così argomentando, l’impugnata sentenza si è adeguata all’orientamento di questa Corte secondo cui la predeterminazione di un termine di durata del contratto d’opera voluta dalle parti (nel caso in esame tale durata è addirittura imposta dalla legge) comporta, di per sè, l’assoggettamento del rapporto alle regole del diritto comune proprie del recesso per giusta causa derivante da inadempimento, con la conseguenza della risarcibilità integrale del danno di cui all’art. 1223 c.c. e segg. e non semplicemente del rimborso delle spese sostenute e del compenso dell’opera fin a quel momento svolta come previsto dall’art. 2237 c.c. (v., in motivazione, Cass. n. 24367/2008).
Nella contestazione della quantificazione del risarcimento, l’Azienda deduce fra l’altro che il danneggiato avrebbe concorso nella determinazione del danno (art. 1227 c.c., comma 1), sottoscrivendo un contratto di lavoro contenente una clausola di durata che egli sapeva contraria alle legge.
Sul punto, la Corte di merito ha correttamente osservato che il danno subito dal dirigente era derivato non dalla nullità della clausola di durata, ma dall’inadempimento del datore all’obbligo contrattuale di ricevere la prestazione lavorativa offertagli anche dopo la scadenza di quel termine finale invalido – e sostituito di diritto dalla durata minima triennale previsto dalla legge – ; cosicchè non era ravvisabile alcun comportamento colposo del lavoratore che avrebbe concorso a produrre lo perdita dei compensi previsti dal contratto.
Quanto ai danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza (art. 1227 c.c., comma 2), gli stessi avrebbero dovuto essere dedotti e provati dal danneggiale (ex multis, Cass. 20324/2004; 6748/2005; 14853/2007):
nessuna indicazione era stata invece formulata in tal senso dalla Azienda datrice di lavoro.
Non ravvisandosi nell’iter motivazionale della Corte di merito i vizi e le violazioni denunciate dalla ricorrente, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 90,00 oltre 5.000,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 28 marzo 2012.
Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2012
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