Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-09-2011) 03-11-2011, n. 39707

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza in data 15.7.2010 la Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bassano del Grappa del 17.9.2008, con la quale O.F., riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 9 c.p. dichiarata equivalente alla contestata aggravante, era stato condannato alla pena di anni dieci e mesi quattro di reclusione per i reati di cui all’art. 81, comma 2 e art. 609 quater c.p., comma 1, n. 1) e comma 4 (capo 1), all’art. 81, comma 2 e art. 609 quater c.p., comma 1 n. 1) (capo 2), all’art. 609 quater c.p., comma 1, n. 2 (capo 3), in danno della figlia I., nata l'(OMISSIS), riduceva la pena inflitta in primo grado ad anni otto e mesi sei di reclusione, confermando nel resto.

Richiamava la Corte territoriale la ricostruzione della vicenda operata dalla sentenza di primo grado: i figli ( L. ed I.) dell’imputato, separato dalla moglie dal gennaio 1996, trascorrevano il fine-settimana con il padre; nell'(OMISSIS) I. aveva rivelato alla psicologa dr.sa C., alla quale la madre si era rivolta già da tempo per i disturbi della bambina, di aver avuto un rapporto sessuale con il padre. Avendo preso avvio il procedimento penale a seguito di denuncia della dr.ssa C., nel corso dell’audizione protetta I. aveva riferito degli abusi sessuali subiti anche prima della congiunzione carnale verificatasi nell’aprile 2005 e consistiti in toccamenti delle parti intime e tentativi di congiunzione.

Tanto premesso riteneva la Corte territoriale destituiti di fondamento i motivi di appello. Rilevava che l’imputato non aveva contestato i fatti, essendosi limitato a sostenere che essi erano stati commessi in stato di incapacità di intendere e di volere.

Anche per i capi 1 e 2 non potevano, comunque, esservi dubbi sulla riferibilità degli stessi all’imputato, come emergeva dalle dichiarazioni della parte offesa e dalle stesse ammissioni dell’imputato nell’interrogatorio del 20.6.2005 al P.M., acquisito agli atti.

In ordine alla capacità di intendere e di volere ricordava la Corte che il perito d’ufficio, prof. G., all’esame dibattimentale del 17.9.2008, aveva escluso la diagnosi di schizofrenia (assente da tutta la documentazione pregressa), evidenziando invece un persistente stato depressivo accompagnato da povertà intellettiva e da aspetti di devianza sessuale.

In relazione alle attenuanti generiche, rilevava la Corte che non erano state addotte specifiche circostanze a sostegno della richiesta e comunque che esse non erano concedibili per la estrema gravità dei fatti.

Andava, infine, condiviso il giudizio di equivalenza, formulato dal Tribunale, tra attenuante ex art. 89 c.p. ed aggravante contestata.

2) Ricorre per cassazione O.F., denunciando, con il primo motivo, l’erronea applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione in ordine alla mancata valutazione delle prove ed all’omesso riconoscimento del vizio totale di mente.

La Corte territoriale ha sostanzialmente riportato e fatte proprie le conclusioni del perito senza tener conto delle altre risultanze processuali.

Già prima delle indagini preliminari l’imputato era stato più volte ricoverato in centri di salute mentale ed assumeva potenti farmaci antidepressivi (all’età di 4 anni aveva subito, a seguito di incidente stradale, un grave trauma) ed era stata accertata l’esistenza di una sindrome ansioso-depressiva, caratterizzata da disturbi psicosomatici ed astenia, fin dal 2002-2003. Dalle relazioni, in particolare del dr. B. (dell’1.12.2005) e del dr. A. (dell’1.4.2006) emerge una personalità con struttura psicotica di verosimile natura schizofrenica.

Lo stesso perito di ufficio, pur divergendo in ordine alla diagnosi sullo stato mentale dell’imputato, riconosce l’esistenza del deficit intellettivo e cognitivo eventualmente riconducibile al trauma cranio encefalico subito. Tali elementi, individuati dallo stesso perito, non sembrano collimare con le sue conclusioni.

Il Tribunale avevo chiesto al perito di accertare la capacità di intendere e di volere al momento dei fatti; la valutazione è invece avvenuta in relazione al momento successivo, facendosi riferimento, in perizia, esclusivamente alla fase processuale (ben 49 pagine riportano i testi degli interrogatori).

Il perito, inoltre, ha omesso di analizzare i rapporti interfamiliari pregressi. La perizia ha quindi esorbitato i limiti posti dal quesito.

Altri specialisti, sulla base dei medesimi presupposti, hanno ritenuto l’imputato incapace anche di intendere. Come sottolineato nell’atto di appello il concetto di infermità mentale non è coincidente con una patologia psichiatrica: tale aspetto è stato completamente disatteso.

E’ mancato, inoltre, un attento esame della condizione pregressa alla fase processuale. Le valutazioni degli altri specialisti, che si pongono in parziale contrasto con quelle del dr. G., possono ritenersi più attendibili proprio perchè effettuate al momento del compimento dei fatti.

Nè la Corte territoriale ha tenuto conto di testimonianze che depongono per uno spaccato ambientale ben diverso da quello ritenuto dal Tribunale in particolare in relazione al ruolo avuto dalla moglie dell’imputato, dei suoi metodi educativi, agli atteggiamenti equivoci della figlia con precocità sessuale anomala.

Con secondo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed al giudizio di mera equivalenza tra la circostanza del vizio parziale di mente e le aggravanti contestate.

3) Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

3.1) La Corte territoriale ha correttamente ed adeguatamente motivato in ordine alle ragioni che l’hanno indotta ad escludere che la patologia di cui è affetto l’imputato escluda totalmente la capacità di intendere e di volere Non si è, invero, limitata a recepire acriticamente le conclusioni del perito d’ufficio ed a disattendere immotivatamente quelle del consulente di parte, ma ha effettuato un’analisi puntuale ed approfondita delle due relazioni.

Dopo aver ricordato che, secondo il Perito, all’epoca dei fatti, l’imputato era affetto da "depressione maggiore", con conseguente "distorsione cognitiva" e "ottundimento della volontà" (la prima, che comporta conservazione parziale della capacità di intendere, risultava dal conflitto interiore che lo stesso aveva descritto come presente nella sua coscienza durante i fatti; la capacità di volere era compromessa non riuscendo l’imputato a resistere all’impulso sessuale..", pag. 12), ha evidenziato che il medesimo aveva decisamente escluso la diagnosi di schizofrenia, sia perchè assente da tutta la documentazione sanitaria pregressa, sia perchè tale patologia impedisce il senso di colpa (presente invece nel caso di specie).

Ha rilevato, in proposito, la Corte che il Perito aveva esaminato tutti i contributi forniti dai d.ri F., A., An. e B.. In particolare si era soffermato sulla diagnosi di "schizofrenia" formulata da quest’ultimo. In effetti nella sua relazione il Perito dr. G., dopo aver evidenziato che la diagnosi di schizofrenia compariva solo in epoca successiva ai fatti, sottolineava, comunque, che essa non trovava riscontro nelle stesse valutazioni del dott. B. ("Mancano tutti gli elementi che costituiscono i criteri diagnostici fondamentali di questa malattia, peraltro abbastanza rara …". "Secondo il DSM 4 TR, ultima edizione 2000, cui si rifà la diagnostica psichiatrica ufficiale, almeno due dei seguenti sintomi devono essere presenti per almeno un mese: deliri, allucinazioni, linguaggio disorganizzato, comportamento catatonico o grossolanamente disorganizzato, sintomi negativi (appiattimento affettivo, alogia, abulia etc). Niente di tutto questo si è mai evidenziato in tutti questi anni di malattia").

Non c’è dubbio che "anche i disturbi della personalità, che non sempre sono inquadragli nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di infermità" purchè, però, "siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale" (cfr.

Cass. sezioni unite n. 9163 del 25.1.2005-Raso).

Il perito d’ufficio, pur escludendo l’esistenza di una patologia di natura schizofrenica, ha valutato pienamente i disturbi emotivi e comportamentali, ritenendo però, con adeguate ed esaurienti argomentazioni, che essi non escludessero totalmente la capacità di intendere o di volere, ma rendessero grandemente scemata la capacità di volere.

La Corte territoriale ha poi esaminato le vantazioni del consulente di parte, argomentando in modo puntuale in ordine alle ragioni per cui erano da disattendere le sue conclusioni. Tra l’altro la consulenza del dottor A., precedente alla perizia, pur affermando che l’imputato era affetto da psicosi con incidenza sulla capacità di intendere e di volere, si era limitata ad evidenziare, per quanto riguarda gli aspetti quantitativi di tale compromissione, che essa "non fosse minimale, osservando che sul punto era necessario un approfondimento con perizia" (pag. 11 sent.). Il medesimo consulente poi, pur partecipando all’espletamento della perizia, non aveva formulato osservazioni alle conclusioni del perito.

Non era, inoltre, esatto che non si fosse tenuto conto della fase precedente a quella processuale o che i contesti familiari non fossero stati considerati, avendo il perito raccolto una dettagliata anamnesi e quindi conosciuto la storia personale e familiare dell’imputato con riferimento proprio all’epoca dei fatti (cfr. pag.

13-16 sent.).

3.2) In ordine alle circostanze attenuanti generiche la Corte territoriale ha ritenuto che esse non potessero essere riconosciute "in considerazione della gravità dei fatti, desumibile dal tempo durante il quale si sono ripetuti e della giovanissima età della persona offesa, motivo di gravi danni a livello psicologico e dell’equilibrio di crescita personale".

Tale motivazione non è certo censurabile per non essersi tenuto conto dei motivi che hanno indotto l’imputato a commettere i fatti "frutto non di una scelta premeditata e consapevole ma viceversa di uno stato di grave deficit patologico.." (pag. 15 ricorso).

E’ pacifico, invero, che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non è necessaria una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente la indicazione degli elementi ritenuti decisivi e rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri. Non è necessario, quindi, scendere alla valutazione di ogni singola deduzione difensiva, dovendosi, invece, ritenere sufficiente che il giudice indichi, nell’ambito del potere discrezionale riconosciutogli dalla legge, gli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti. Il preminente e decisivo rilievo accordato all’elemento considerato implica infatti il superamento di eventuali altri elementi, suscettibili di opposta e diversa significazione, i quali restano implicitamente disattesi e superati.

Sicchè anche in sede di impugnazione il giudice di secondo grado può trascurare le deduzioni specificamente esposte nei motivi di gravame quando abbia individuato, tra gli elementi di cui all’art. 133 c.p., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell’imputato e le deduzioni dell’appellante siano palesemente estranee o destituite di fondamento (cfr. Cass. pen. sez. 1 n. 6200 del 3.3.1992; Cass. sez. 6 n. 34364 del 16.6.2010). L’obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purchè congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 7707 del 4.12.2003).

Peraltro, l’assunto del ricorrente porterebbe ad una sorta di riconoscimento, per così dire, automatico delle circostanze attenuanti generiche in presenza del vizio parziale di mente. Ma è assolutamente pacifico che sussista piena autonomia concettuale tra la diminuente, che attiene alla sfera psichica del soggetto al momento della formazione della volontà, e l’intensità del dolo, che riguarda il momento nel quale la volontà si manifesta e persegue l’obiettivo considerato" (cfr. Cass. pen. sez. 1^ (?) 18.1.1995 n. 3633, Mazzoni; Cass. pen. sez. 5, 27.10.1999 n. 14107). Sicchè la diminuente del vizio parziale di mente è pienamente compatibile con una maggiore intensità del dolo, che può giustificare il diniego delle attenuanti generiche. La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che "se è vero che la diminuente di cui all’art. 89 cod. pen. ben può coesistere con le attenuanti generiche (sez. 5 n. 7350 del 26.5.1992 Rv.190999), è tuttavia da escludere che la seminfermità mentale possa essere presa in considerazione come attenuante specifica e come attenuante generica; allo stesso tempo valutata, cioè, a favore dell’imputato due volte e in due diverse direzioni (sez. 6 n. 9509 del 13.5.1983 Rv. 161141; sez. 2 n. 1722 del 30.11-1966 Rv.104078). Inoltre….deve essere esclusa l’incompatibilità della maggiore intensità del dolo con la concessa diminuente del vizio parziale di mente, in quanto anche in tal caso, sussistendo la capacità di intendere e di volere, la condotta criminosa dell’imputato può manifestarsi con dolo molto intenso, desumibile anche dalle gravi modalità del fatto; sez. 1 n. 2159 del 6-12.1993 Rv.197476; sez. 2 n. 4739 del 18.11.1982 Rv.159165" (cfr.

Cass. pen. sez. 3 n. 19248 del 7.4.2005).

Immune da vizi e quindi non censurabile in sede di legittimità è anche la formulazione, in termini di equivalenza, del giudizio di comparazione tra circostanza aggravante e vizio parziale di mente, avendo la Corte territoriale evidenziato, da un lato, che era solo la capacità di volere ad essere grandemente scemata e, dall’altro, che la persona offesa aveva iniziato a subire gli abusi all’età di sei anni. Per di più il motivo di appello sul punto era assolutamente generico, essendosi l’appellante limitato a richiedere "la prevalenza di queste attenuanti illustrate e delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti, tenuto conto del complesso delle vicende.." (pag. 14 app).

3.3) Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute in questa fase dalla costituita parte civile e che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate in Euro 2.000,00 oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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