Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-05-2012, n. 6936 Assegni di accompagnamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 4/3 – 18/3/2010 la Corte d’appello di Catanzaro – sezione lavoro ha rigettato l’impugnazione proposta da D.L. F. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Vibo Valentia, con la quale gli era stata respinta la domanda diretta al conseguimento dei benefici della pensione di invalidità e dell’indennità di accompagnamento, avendo accertato, tramite consulenza d’ufficio, che in merito alla seconda prestazione, unica ancora esaminabile per essere l’assistito divenuto totalmente invalido dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di età, non ricorrevano i presupposti sanitari per il suo riconoscimento.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il D.L., il quale affida l’impugnazione a due motivi di censura.

Resistono con controricorso il Ministero dell’interno e quello dell’Economia e delle Finanze. Il ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa erariale in ordine alla dedotta tardività della notifica di tale atto, avvenuta oltre il termine breve di sessanta giorni dalla notifica della sentenza impugnata di cui al combinato disposto dell’art. 325 c.p.c., comma 2, e art. 326.

Invero, come esattamente rilevato dalla difesa del ricorrente, la notifica della sentenza non è avvenuta nei confronti del procuratore regolarmente costituito in giudizio, come previsto dall’art. 170 c.p.c., comma 1, bensì della parte personalmente nel domicilio legale presso la cancelleria della Corte d’appello, per cui essendo la stessa affetta da nullità è inidonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, con la conseguenza che questa poteva essere svolta entro il più lungo termine, di cui all’art. 327 c.p.c., decorrente dalla pubblicazione della sentenza.

Si è, infatti, statuito (Cass. Sez. 1, n. 16578 del 18/06/2008) che "nel caso in cui il ricorso per cassazione sia notificato non al procuratore costituito nel giudizio di merito ma alla parte presso il domicilio eletto dal procuratore medesimo, la notifica non può ritenersi effettuata presso persona e in luogo non aventi alcun riferimento con il destinatario dell’atto e, pertanto, non è inesistente ma solo nulla per inesatta individuazione della persona del destinatario; ne consegue che la predetta nullità è sanata ove l’intimato abbia svolto la propria attività difensiva, come nella specie, con la notifica del controricorso." (conf. a Cass. Sez. L, n. 8166 del 16/06/2001) Col primo motivo il ricorrente censura la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione della L. n. 8 del 1980, art. 1 e della L. n. 509 del 1988, art. 1 dolendosi del fatto che il giudice d’appello, nel rigettare la domanda diretta al conseguimento dell’indennità di accompagnamento, ha trascurato il dato letterale della norma applicata e la "ratio" ad essa sottesa, vale a dire l’esigenza di sostenere il nucleo familiare onde agevolare la permanenza in esso di soggetti abbisognevoli, per le loro gravi infermità, di un continuo controllo. A riguardo il ricorrente richiama l’attenzione sul fatto che il diritto all’indennità di accompagnamento è configurabile in relazione a tutte quelle malattie che, per il grado di gravità espresso, comportano una consistente degenerazione del sistema nervoso ed una limitazione delle facoltà cognitive, o impedimenti dell’apparato motorio, o che cagionano infermità mentali con limitazioni dell’intelligenza e che, nello stesso tempo, richiedono una giornaliera assistenza farmacologica al fine di evitare aggravamenti delle già precarie condizioni psico-fisiche, nonchè incombenti pericoli per sè e per altri.

Col secondo motivo è denunziata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in ordine alla condivisione, da parte del giudice d’appello, delle risultanze peritali. Queste ultime, secondo il ricorrente, non avevano preso in considerazione il fatto che il concetto di autonomia, sufficiente ad escludere l’accesso alla prestazione in esame, non può ritenersi costituito dalla mera capacità di esecuzione degli atti della vita quotidiana da parte dell’assistito, nella fattispecie persona epilettica con iniziale decadimento cerebrale e con necessità di continua assistenza farmacologica, bensì dalla capacità di autonoma comprensione del momento in cui i singoli atti devono compiersi, senza sollecitazioni esterne.

Osserva la Corte che entrambi i motivi possono essere trattati congiuntamente, essendo sostanzialmente unitaria la questione ad essi sottesa. Ebbene, il ricorso è infondato.

Occorre, anzitutto, partire dalla constatazione che la L. n. 18 del 1980, art. 1 prevede la concessione dell’indennità di accompagnamento ai mutilati ed invalidi civili totalmente inabili per affezioni fisiche e psichiche di cui alla L. n. 118 del 1971, artt. 2 e 12 della dei quali sia accertata la impossibilità di deambulazione senza l’ausilio permanente di un accompagnatore o la necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita. Ciò premesso, va chiarito che l’accertamento sanitario volto a stabilire la sussistenza o meno dell’incapacità a compiere gli atti quotidiani della vita, sia in sede amministrativa che giudiziaria, riguarda esclusivamente le comuni attività del vivere quotidiano, senza che sia possibile una interpretazione estensiva della natura assistenziale della prestazione in esame che viene concessa solo nei casi tassativamente indicati.

Si è così escluso che la semplice difficoltà di deambulazione o di compimento di atti della vita quotidiana con difficoltà possano integrare gli estremi per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento (Cass. sez. 6 – Lav. ord. n. 26092/10), ovvero che tale prestazione possa essere concessa nei casi in cui la necessità di assistenza sia determinata da patologie particolari e finalizzata al compimento di alcuni, specifici, atti della vita quotidiana (Cass. sez. lav. n. 7273/11), o che la possibilità di svolgere una vita di relazione e sociale possa entrare a far parte della valutazione giudiziale in ordine alla verifica dei presupposti per l’affermazione del diritto alla prestazione di cui trattasi (Cass. sez. lav. n. 14127/06).

Da ultimo, questa Corte ha avuto modo di precisare (Cass. Sez. Lav. n. 7273 del 30/3/2011) che "le condizioni previste dalla L. n. 18 del 1980, art. 1 per l’attribuzione dell’indennità di accompagnamento consistono, alternativamente, nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure nell’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita senza continua assistenza; ai fini della valutazione di dette situazioni non rilevano episodici contesti, ma è richiesta la verifica della loro inerenza costante al soggetto, non in rapporto ad una soltanto delle possibili esplicazioni del vivere quotidiano (quale per esempio il portarsi fuori dalla propria abitazione), ovvero alla necessità di assistenza determinata da patologie particolari e finalizzata al compimento di alcuni, specifici, atti della vita quotidiana. (Fattispecie relativa a pazienti affetti da malattie oncologiche richiedenti l’indennità per i soli periodi dei cicli di chemioterapia)".

Tanto chiarito, si osserva che nella fattispecie in esame la Corte di merito, nel pervenire alla decisione di conferma del disconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento, ha correttamente interpretato la normativa che disciplina la prestazione oggetto di causa ed ha adeguatamente valutato le risultanze peritali, esprimendone la condivisione attraverso argomentazioni che, in quanto supportate da motivazione esente da vizi di natura logico-giuridica, sfuggono ai rilievi di legittimità che le sono stati mossi nel presente giudizio.

La Corte d’appello ha, infatti, spiegato che nella discussione medico- legale il consulente d’ufficio ha rilevato come l’epilessia e l’ipertensione sono sotto buon controllo farmacologico e che il D. L., pur dovendosi ritenere invalido nella misura del 100%, è in grado di compiere gli atti quotidiani della vita in modo autonomo, non necessitando di assistenza continua. Inoltre, la stessa Corte ha aggiunto di poter condividere ampiamente la valutazione eseguita dal consulente d’ufficio in considerazione della completezza e serietà delle indagini espletate, oltre che della correttezza della stessa discussione medico-legale, basata su puntuali riferimenti di tipo oggettivo e sulla documentazione clinica esistente in atti. A quest’ultimo riguardo, considerato che l’impugnazione è proposta anche per un presunto vizio motivazionale, non può trascurarsi di ricordare che la valutazione espressa dal giudice di merito in ordine alla obbiettiva esistenza delle infermità, alla loro natura ed entità, costituisce tipico accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità quando è sorretto, come nella fattispecie, da motivazione immune da vizi logici e giuridici che consenta di identificare l’iter argomentativo posto a fondamento della decisione.

In effetti, allorquando il giudice di merito fondi, come nel caso in esame, la sua decisione sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, perchè i lamentati errori e lacune della consulenza determinino un vizio di motivazione della sentenza di merito, censurabile in sede di legittimità, è necessario che essi siano la conseguenza di errori dovuti alla documentata devianza dai canoni della scienza medica o di omissione degli accertamenti strumentali e diagnostiche dai quali non si possa prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi.

Orbene, sotto questo specifico aspetto, non è sufficiente, per la sussistenza del vizio di motivazione, la mera prospettazione di una semplice difformità tra le valutazioni del CTU e quella della parte circa l’entità e l’incidenza del dato patologico, poichè in mancanza degli errori e delle omissioni sopra specificate le censure di difetto di motivazione costituiscono un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico e si traducono in una inammissibile richiesta di revisione del merito del convincimento del giudice (cfr. tra le tante Cass. n. 7341/2004). Pertanto, il ricorso va rigettato.

Nulla va disposto in ordine alle spese di questo giudizio a norma dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo vigente prima delle modifiche apportate dalla L. n. 326 del 2003, atteso che il ricorso introduttivo fu depositato il 18/12/1996.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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