Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-05-2012, n. 6934

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Poste italiane spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Milano, pubblicata il 19 ottobre 2009.

La controversia nasce da un ricorso di V.B. che stipulò con la E-Work in data 1 luglio 2005 un contratto di lavoro somministrato e fu avviata al lavoro presso Poste italiane spa, in applicazione di un contratto di contratto di somministrazione intercorso tra Poste italiane spa e la E-Work con la causale "sostituzione di lavoratori assenti per aspettativa, congedo, ferie, partecipazione a corsi di formazione ovvero malattia e temporanea inidoneità a svolgere la mansione assegnata, ex art. 25 ccnl 11 luglio richiamato D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 86". Il Tribunale accolse il ricorso. La Corte d’appello ha confermato la decisione concordando sulla valutazione del primo giudice di insufficienza degli elementi induttivi rappresentati dai dati medi delle assenze nel periodo offerti dalla società e confermati dai testi, anche se non contestati, essendo invece indispensabile dimostrare la correlazione tra tali assenze e l’effettiva sostituzione del personale per i singoli periodo di svolgimento della prestazione (come sarebbe stato agevole ed era avvenuto in altre analoghe controversie, con l’indicazione dei nominativi dei sostituiti), nè era emersa la necessità di ovviare a stabili carenze di organico. Il ricorso per cassazione è articolato in cinque motivi. La V. si è difesa con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato una memoria per l’udienza. Con il primo motivo Poste italiane spa denunzia violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20 e 21 oltre che dell’art. 25 del ccnl 11 luglio 2003, perchè la Corte avrebbe erroneamente ritenuto che nel contratto di somministrazione non sia stata indicata la ragione della somministrazione. Il motivo non è rilevante ed è quindi inammissibile perchè, per espressa affermazione della Corte d’appello, non è questa la ragione per la quale la Corte ha confermato la decisione di accoglimento del ricorso (ragione che è stata individuata "a prescindere dalla mancanza di specificazione nel contratto di somministrazione delle ragioni della sostituzione del personale assente"). Con il secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20 in quanto l’omessa contestazione dei dato forniti da Poste italiane spa renderebbe le relativa circostanze incontroverse, sollevando la società dall’onere della prova delle stesse. Ma anche questo motivo non è dirimente, perchè la Corte valuta che "i dati medi delle assenze nel periodo, offerti dalla società e confermati dai testi, anche se non contestati" risultavano insufficienti a provare la corrispondenza tra le ragioni dell’assunzione e le causali del contratto di somministrazione. Quindi la mancata contestazione di tali circostanze, che la Corte riconosce esservi stata e che rende le relative circostanze non controverse, non è decisiva nel ragionamento della Corte.

Con il terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 2697 c.c. e del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27 perchè in assenza di contestazioni assolve l’onere della prova l’utilizzatore che fornisce dati dai quali risulta che "il numero complessivo dei lavoratori a tempo indeterminato in ferie è stato in media di gran lunga inferiore al numero dei lavoratori somministrati addetti".

Questo motivo concerne quello che, in effetti, è il punto decisivo della valutazione della Corte è costituito dal fatto che, pur dando per non contestati e per provati i dati sul numero medio dei lavoratori in ferie, gli stessi non sono idonei a dimostrare il rispetto della causale del contratto di lavoro in somministrazione, perchè non sono idonei a dimostrare la correlazione tra le assenze per ferie e l’impiego dei lavoratori in somministrazione. E’ una valutazione di merito, basata sulla lettura in concreto di quei dati, che non può essere riformulata in sede di giudizio di legittimità e che la Corte di Milano, ribadendo il giudizio del Tribunale ha motivato in modo succinto ma sufficiente. Peraltro, nel motivo di ricorso si assume che dai dati forniti al giudice di merito emergeva che "il numero complessivo dei lavoratori a tempo indeterminato in ferie è stato in media di gran lunga inferiore al numero dei lavoratori somministrati addetti", dal che sembrerebbe desumersi che non tutti i lavoratori somministrati sono stati impiegati per sostituire lavoratori in ferie. In ogni caso, come si è detto, la valutazione dei dati attiene al merito della decisione.

Con il quarto motivo si denunzia violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20 e dell’art. 2967 c.c. censurando l’affermazione della Corte per cui Poste avrebbe dovuto dare conto dei nominativi dei lavoratori sostituiti, conclusione che non ha fondamento normativo.

Questa censura, pur basandosi su di una affermazione della Corte, concerne anch’essa, al pari di quelle di cui ai motivi n. 1 e n. 2, un passaggio della decisione che non è di rilievo decisivo. Nella sentenza, infatti, si afferma che i dati medi sulle ferie non sono idonei a dare conto del fatto che i lavoratori somministrati e specificamente la ricorrente, sono stati effettivamente ed integralmente avviati al lavoro presso Poste italiane spa in sostituzione di lavoratori che usufruivano delle ferie. Questo è il punto cruciale della motivazione. L’affermazione in ordine all’indicazione dei nominativi dei lavoratori in ferie ha rilievo incidentale e non è decisiva. La stessa è stata proposta dalla Corte non come soluzione indispensabile ed imposta dalla legge, ma solo come una via che avrebbe reso agevole la verifica dell’assunto della società, così come era avvenuto in altre controversie analoghe.

Con l’ultimo motivo si denunzia violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27 assumendo che la somministrazione irregolare comunque non comporta la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Sul punto questa Corte si è già espressa, affermando il principio di diritto per cui il rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore con effetto dall’inizio della somministrazione che, in forza del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27 si costituisce quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti di cui all’art. 20 e art. 21, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e), è un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Le ragioni di tale scelta ermeneutica sono state esposte in Cass. 15 luglio 2011, n. 15610. Nel farvi rinvio, deve aggiungersi una considerazione di ordine generale: se un contratto di lavoro viene stipulato utilizzando un tipo contrattuale particolare in assenza dei requisiti specifici richiesti dal legislatore e la legge prevede che la conseguenza della utilizzazione irregolare del tipo è la costituzione di un rapporto di lavoro, senza precisare se a termine o a tempo indeterminato, nel silenzio del legislatore non può che valere la regola per cui quel rapporto di lavoro è a tempo indeterminato.

Poste italiane, infine, con la memoria per l’udienza, ha chiesto l’applicazione della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5.

Questa Corte, con riferimento all’applicazione di tale norma, ha affermato il seguente principio di diritto In tema di rapporto di lavoro a termine, l’applicazione retroattiva della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, -il quale ha stabilito che, in caso di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al pagamento di una "indennità onnicomprensiva" compresa tra 2, 5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8, prevista dal successivo comma 7 del medesimo articolo in relazione a tutti i giudizi, compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della legge, trova limite nel giudicato formatosi sulla domanda risarcitoria a seguito dell’impugnazione del solo capo relativo alla declaratoria di nullità del termine, e non anche della ulteriore statuizione relativa alla condanna al risarcimento del danno, essendo quest’ultima una statuizione avente individualità, specificità ed autonomia proprie rispetto alle determinazioni concernenti la natura del rapporto (Cass. 3 gennaio 2011, n. 65; 4 gennaio 2011, n. 80; 2 febbraio 2011, n. 2452, Orientamento poi costantemente ribadito in numerose altre decisioni).

Nel caso in esame, il capo della decisione relativo al risarcimento del danno non è stato oggetto di impugnazione ed è pertanto passato in giudicato.

In conclusione, tutti i motivi di ricorso sono privi di fondamento e pertanto il ricorso deve essere rigettato. Le spese devono essere poste a carico della parte che perde il giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 50,00 Euro, nonchè 3.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali, con distrazione all’avv.to Luigi Zezza, dichiaratosi anticipatario.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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