Cons. Stato Sez. IV, Sent., 06-12-2011, n. 6417 Trasferimenti d’ufficio e su richiesta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1. L’attuale appellante, dott. R. D. G., è magistrato della Corte dei conti, entrata in servizio quale referendario il 21 ottobre 2003 dopo aver prestato servizio per oltre quattro anni nella magistratura ordinaria.

Nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado la D. G. afferma di aver conseguito, sia nelle proprie funzioni di magistrato ordinario, sia durante il servizio prestato quale magistrato della Corte dei conti, un livello di produttività superiore alla media nazionale.

Nondimeno, su reiterata richiesta del dott. S. Z., Presidente della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per il Veneto – presso la quale la D. G. prestava servizio – il Consiglio di Presidenza della Corte dei conti ha inflitto all’attuale appellante la sanzione disciplinare dell’ammonimento sulla base di tre capi di contestazione.

Sempre per effetto delle richieste del predetto Presidente, è stato parallelamente avviato a carico della D. G. anche un procedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale, di fatto peraltro arrestatosi a seguito dell’avvenuto trasferimento dell’interessata, a sua domanda, alla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per l’Emilia Romagna.

Con le anzidette note, risalenti al 4 maggio 2005, al 7 giugno 2005 e al 20 luglio 2005, il Presidente della Sezione giurisdizionale per il Veneto ha segnalato all’Organo di autogoverno e al Procuratore Generale della Corte dei Conti alcune anomalie comportamentali della D. G., la quale nelle udienze monocratiche del 19 e del 21 aprile 2005 avrebbe disposto il rinvio della trattazione di numerose cause in dipendenza di asserite difficoltà logistiche.

Preliminarmente all’avvio del procedimento disciplinare, la D. G. è stata sentita, in data 22 febbraio 2006, dalla III Commissione dell’Organo di autogoverno dei magistrati contabili, la quale ha pure sentito separatamente il Presidente della Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per il Veneto.

Con nota prot. n. 903/104/DISC/PG dell’8 maggio 2006, il Procuratore Generale presso la Corte dei conti ha quindi chiesto l’apertura di un procedimento disciplinare a carico della D. G., in quanto la stessa avrebbe disposto, nel corso dell’anno 2005, numerosi rinvii di giudizi pensionistici "adducendo, tra l’altro, motivazioni irrituali nonché per avere reiteratamente chiesto modifiche dell’orario di apertura degli uffici per esigenza organizzative personali, contravvenendo così agli obblighi di diligenza e collaborazione".

Più in dettaglio, il Procuratore Generale ha chiesto di procedere per gli addebiti qui appresso elencati.

1)avere, nell’anno 2005, su 348 giudizi pensionistici assegnati e trattati, disposto rinvii per 193 di essi, con rilevante scostamento rispetto all’andamento medio dell’ufficio;

2) avere, nell’udienza del 15 dicembre 2005, a fronte di un ruolo di complessivi 83 ricorsi, di cui 65 di tipo monotematico, disposto ben 75 rinvii;

3) avere motivato numerosi rinvii (udienze del 19 e 21 aprile 2005 – udienza dell’8 novembre 2005) sulla base di circostanze irrituali (ad es. l’assenza delle parti, esigenze di servizio dell’Arma dei Carabinieri, ora di chiusura dell’Ufficio) ovvero estranee alle evidenze processuali (necessità di acquisire elementi istruttori, senza contestuale adozione di alcuna determinazione al riguardo);

4) avere reiteratamente chiesto di ottenere speciali modifiche e variazioni dell’orario di apertura e di funzionamento dell’Ufficio e di altre modalità organizzative generalmente in uso, comprese quelle di accesso ai locali, all’unico scopo di renderli adeguati e rispondenti a necessità esclusivamente individuali, prospettando, in mancanza di accoglimento delle richieste, la necessità di una riduzione dei carichi di lavoro, l’eventualità di numerosi rinvii dei giudizi e una minore resa di produttività;

5) avere, nell’anno 2005, effettuato deposito in Segreteria di 203 decisioni in materia pensionistica, di cui 64 riguardanti fattispecie monotematiche, con indice complessivo di produttività inferiore alla soglia minima di cui alla delibera del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti n. 71/CP/2001.

Con deliberazione n. 236 del 5 luglio 2006 il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti ha disposto lo stralcio dell’addebito di "scarso rendimento", stante le ineccepibili risultanze statistiche relativa alla produzione della medesima D. G., ma ha contestato alla stessa "ripetuta e ingiustificata violazione degli obblighi di diligenza e collaborazione" per avere:

a) "nell’udienza del 15 dicembre 2005, a fronte di un ruolo di complessivi 83 ricorsi, di cui 65 di tipo monotematico, disposto rinvii irrituali dei ricorsi nn. 18559, 18560, 18561, 18563, 18565, 18567, 18569, 18571, 18573, 19090, 19093, 19200, 20747, 19201, 19659,19998, 20564, 20567, 20679, 20583, 20585, 20589, 20590, 20591, 20596, 20607, 20608, 20611, 20743, 20744, 20891";

b) per avere "motivato numerosi rinvii (udienze del 19 e 21 aprile 2005 e udienza dell’8 novembre 2005) sulla base di circostanze irrituali (es. assenza delle parti, esigenza di servizio dell’Arma dei Carabinieri, orario di chiusura dell’ufficio) e/o estranee alle evidenze processuali (necessità di acquisire elementi istruttori, senza contestuale adozione di alcuna determinazione al riguardo)";

c) per avere "reiteratamente chiesto di ottenere speciali modifiche e variazioni dell’orario ordinario di apertura e funzionamento dell’ufficio e di altre modalità organizzative generalmente in uso, comprese quelle di accesso ai locali, all’unico scopo di renderli adeguati e rispondenti a necessità esclusivamente individuali prospettando, in mancanza di accoglimento delle richieste, la necessità di una riduzione dei carichi di lavoro, l’eventualità di numerosi rinvii dei giudizi e una minore resa di produttività".

Con deliberazione n. 169 del 3 maggio 2007, notificata all’interessata il 4 maggio 2007 a conclusione del procedimento, il Consiglio di Presidenza della Corte dei conti ha inflitto alla D. G. la sanzione disciplinare dell’ammonimento, ritenendo fondati tutti e tre i capi della surriportata contestazione.

1.2. Con ricorso proposto sub R.G. 6200 del 2007 innanzi al T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, la D. G. ha chiesto l’annullamento di tale deliberazione, di tutti gli atti del procedimento disciplinare, nonché delle lettere del 4 maggio 2005, del 7 giugno 2005, del 20 luglio 2005, del 18 gennaio 2006 del Presidente della Sezione giurisdizione per il Veneto della Corte dei conti, nonché di ogni altro atto presupposto o conseguente.

Nel giudizio di primo grado la D. G. ha dedotto le censure qui appresso descritte.

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 149, primo comma, lett. a) e c) ed ultimo comma del T.U. approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3; violazione e falsa applicazione della delibera del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti n. 510/CP/2000 recante "Regolamento di disciplina per i magistrati della Corte dei Conti"; violazione del principio di imparzialità; conflitto di interessi; eccesso di potere.

La D. G. reputa che nella specie non sia stato rispettato il divieto a carico del Procuratore Generale della Corte dei conti di partecipare alle sedute disciplinari, e reputa – altresì –

meritevole di censura l’avvenuta partecipazione a tutte le sedute dell’Organo di autogoverno dedicate alla trattazione dell’affare del Consigliere G. M..

La D. G. afferma che tale componente del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti avrebbe infatti dovuto astenersi al riguardo, à sensi dell’anzidetto art. 149, comma 1, lett. a) e c) ed ultimo comma del T.U. 3 del 1957 e degli artt. 2 e 3 della predetta delibera n. 510/CP/2000, essendo stata assegnata in applicazione aggiuntiva alla Sezione Veneto come magistrato sotto la direzione del medesimo Capo dell’Ufficio che aveva sollecitato l’avvio del procedimento disciplinare per cui ora è causa.

In tal senso la D. G. richiama in particolare il contenuto di un verbale del 14 febbraio 2007, dal quale risulta che la dott. M. ha chiesto il suo deferimento alla Procura Generale della Corte dei conti affinché fosse avviato un altro procedimento a suo carico per il solo fatto che ella aveva reso dichiarazioni contrastanti rispetto a quelle del Presidente della Sezione su una circostanza che riguardava l’adempimento dei suoi obblighi d’ufficio.

2) Violazione dei principi di previa contestazione dell’addebito, di corrispondenza tra sanzione irrogata ed addebito contestato, nonché di difesa delle pienezza del contraddittorio.

La D. G. evidenzia che gran parte della motivazione dell’impugnata delibera si incentra nella descrizione del proprio comportamento, pretesamente improntato "a scarso senso di collaborazione e di diligenza", nonché sull’asseritamente grave sua insubordinazione alle regole organizzative della Sezione: affermazioni, queste, che la medesima D. G. reputa avulse rispetto all’oggetto dei tre addebiti introduttivi del giudizio disciplinare e che – semmai – ricalcherebbero uno dei profili a lei contestati nel ben diverso procedimento di incompatibilità ambientale di cui al verbale del 4 luglio 2006.

La D. G. reputa pure incongruente con la contestazione di addebito l’asserito "tentativo di autoassegnarsi una serie di filoni giurisprudenziali" all’udienza del 15 dicembre 2005, per l’appunto enunciato anch’esso nella deliberazione impugnata ma – a suo dire – smentito dalla circostanza per cui lei stessa aveva presentato, al riguardo, preventiva, regolare domanda, anche scritta, al Presidente, nell’ottobre 2005.

3) Eccesso di potere per illogica contestazione, in sede disciplinare, di alcune circostanze dedotte anche nel parallelo procedimento di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale; violazione del principio del ne bis in idem.

Secondo la D. G. le surriferite contestazioni disciplinari di cui alle lettere a) e b) del Par. 1.1 (ossia: "nell’udienza del 15 dicembre 2005, a fronte di un ruolo di complessivi 83 ricorsi, di cui 65 di tipo monotematico, (aver) disposto rinvii irrituali dei ricorsi ecc." e avere "motivato numerosi rinvii nelle udienze del 19 e 21 aprile 2005 e udienza dell’8 novembre 2005 sulla base di circostanze irrituali, ad es. assenza delle parti, esigenza di servizio dell’Arma dei Carabinieri, orario di chiusura dell’ufficio e/o estranee alle evidenze processuali: necessità di acquisire elementi istruttori, senza contestuale adozione di alcuna determinazione al riguardo", riproducono quelle, di identico tenore, sollevate nel parallelo procedimento di incompatibilità ambientale, con evidente sviamento di potere.

4) Genericità delle contestazioni disciplinari e conseguente violazione del diritto di difesa; eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti accertati in sede disciplinare; difetto dei presupposti; sviamento

Secondo la D. G. la contestazione descritta sub a) risulterebbe comunque viziata per genericità, in quanto non verrebbe spiegato in cosa concretamente consisterebbe l’irritualità.

La D. G. afferma che, comunque, i 31 rinvii sarebbero stati disposti per la mancata presenza in udienza del legale dei ricorrenti, oltre che di questi ultimi, avendo reputato come irrilevante e quindi inutilmente intervenuta la dichiarazione di conoscenza dell’udienza inoltrata via fax dall’avvocato dei ricorrenti medesimi; né consterebbe che fosse usuale, nella prassi della Sezione giurisdizionale per il Veneto, la sollecitazione del Presidente alla Segreteria – come viceversa avvenuto nella fattispecie – a far rendere simili dichiarazioni dai patrocinanti delle cause di cui non risultavano ancora pervenute le notifiche.

A tale riguardo la D. G. ha chiesto l’assunzione di prova testimoniale mediante escussione quali testi del personale addetto alla Sezione medesima.

La D. G. riferisce pure che i 31 giudizi in questione sono stati comunque da lei trattati, quale giudice monocratico, ad una distanza di tempo breve e, comunque, tutti definiti con sentenze depositate il 21 febbraio 2006.

La contestazione, sempre secondo la D. G., risulterebbe ancor più priva di fondamento se si considerano altri aspetti che fanno da sfondo alla vicenda, ma che farebbero assumere alla stessa connotazioni del tutto diverse rispetto a quelle prospettate in sede disciplinare.

In tal senso la D. G. rimarca che la fissazione di ben 83 cause per la stessa udienza e tutte per la decisione di merito sarebbe stata disposta d’ufficio dallo stesso Presidente della Sezione, senza con ciò tenere in minimo conto le difficoltà organizzative, peraltro tempestivamente da lei rappresentate con nota del 26 ottobre 2005, con la quale, per converso, era stata chiesta l’assegnazione, per l’udienza del 15 dicembre 2005, di altri 191 procedimenti già preparati per la decisione in quanto inseriti in un elenco di controversie seriali predisposto dalla Segreteria.

La D. G. afferma – altresì – di aver poi acclarato che il Presidente non intendeva assegnarle tali procedimenti, pur da lei stessa già esaminati ai fini della stesura della relativa sentenza, e di aver quindi comunicato allo stesso, con ulteriore nota del 26 ottobre 2005, la propria difficoltà a prepararne altre ancora, stante l’entità del carico ordinario.

La D. G. precisa pure che le difficoltà da lei esternate discendevano pure dalla circostanza che tra la fine di ottobre e la fine di novembre 2005 le erano state assegnate quale relatore dal medesimo Presidente e in aggiunta al normale carico di contenzioso pensionistico ordinario ben 7 cause collegiali particolarmente complesse e che, nondimeno, per l’udienza del 15 dicembre 2005 le sono state assegnate oltre 65 cause seriali in aggiunta alle 15 già iscritte a ruolo, comunque diverse dalle anzidette 191 da lei già studiate e non individuate a sua discrezione, ma tratte dall’anzidetto elenco predisposto dalla Segreteria e delle quali aveva chiesto l’assegnazione con nota del 29 ottobre 2005, rimasta senza risposta.

5) Sotto altro profilo, genericità delle contestazioni disciplinari e conseguente violazione del diritto di difesa; eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti accertati in sede disciplinare; difetto dei presupposti; sviamento.

La D. G. reputa che anche la seconda contestazione non individuerebbe con la dovuta esattezza i rinvii considerati irrituali, evidenziando comunque che i rinvii contestati in occasione delle udienze del 19 e del 21 aprile 2005 discenderebbero dall’ottemperanza da lei prestata alle prescrizioni contenute nella circolare del Presidente della Sezione giurisdizionale per il Veneto emanata il 12 aprile 2005, con la quale questi aveva espressamente fatto divieto a tutti i magistrati di trattenersi in ufficio dal lunedì al giovedì dopo le 19.00, il venerdì oltre le 17.00 e il sabato oltre le 15.00.

La D. G. espone in proposito di essere solita tenere udienza monocratica alle ore 12.00, e ciò al fine di non disturbare i colleghi nel caso in cui la propria udienza si fosse protratta oltre l’arco temporale di un’ora, stante la sua abitudine di fare esporre compiutamente alle parti le loro tesi difensive.

Pertanto, la camera di consiglio non iniziava prima delle 14.00 – 15.00, e il termine di orario, inderogabilmente fissato alle ore 19.00 (alle 17.00 il venerdì) ragionevolmente le impediva di emettere e di leggere, entro tale termine, i dispositivi dei provvedimenti.

In ogni caso – rimarca sempre la D. G. – i rinvii da lei disposti sarebbero stati del tutto fisiologici in occasione dell’udienza dell’8 novembre 2005, e comunque non sarebbero stati forieri di alcun danno alle parti, posto che la definizione dei giudizi rinviati è avvenuta con sentenza emessa a breve distanza di tempo.

La D. G. contesta pure l’affermazione del Presidente della Sezione, fatta in occasione dell’audizione tenuta innanzi alla III Commissione, secondo la quale nei giudizi pensionistici monocratici non sarebbe previsto o comunque consentito lo svolgimento di camere di consiglio.

6) Sotto altro profilo, genericità delle contestazioni disciplinari e conseguente violazione del diritto di difesa; eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti accertati in sede disciplinare, difetto dei presupposti, sviamento.

La D. G. rimarca che il Consiglio di Presidenza le ha contestato sub c) di avere "reiteratamente chiesto di ottenere speciali modifiche e variazioni dell’orario ordinario di apertura e di funzionamento dell’ufficio e di altre modalità organizzative generalmente in uso, comprese quelle di accesso ai locali, all’unico scopo di renderli adeguati e rispondenti a necessità esclusivamente individuali, prospettando, in mancanza di accoglimento delle richieste, la necessità di una riduzione dei carichi di lavoro, l’eventualità di numerosi rinvii dei giudizi e una minore resa di produttività".

La medesima D. G. reputa che la propria richiesta rivolta al Presidente della Sezione (ma da questi non accolta) di trattenersi oltre l’orario di chiusura degli uffici al pubblico e di ricevere copia delle chiavi dell’edificio comprovava, per converso, l’intensità del proprio impegno nell’adempimento dei doveri inerenti alle proprie funzioni.

La D. G. sottolinea che tale richiesta era peraltro supportata anche dal richiamo a motivi di salute, che rendevano per lei disagevole il trasporto a piedi dall’abitazione alla sede di servizio di rilevanti quantitativi di fascicoli attraverso i notori percorsi a saliscendi delle calli veneziane, caratterizzati dalla presenza di molti ponti.

La D. G. precisa di non aver mai con ciò inteso chiedere al Presidente la ricalibrazione dei carichi di lavoro, ma, semplicemente, di rappresentare i possibili effetti negativi sull’attività giurisdizionale di una decisione organizzativa da lui assunta, pur non negando di avere sollecitato, in ragione della riduzione dei tempi di permanenza in sede, la revisione del numero dei giudizi a lei assegnati anche in relazione all’elevata sua produttività constatabile per i primi quattro mesi del 2006.

La stessa D. G. non sottace che la paventata possibilità di rinvii, effettivamente da lei rappresentata con nota del 26 aprile 2005 indirizzata al Presidente della Sezione, dipendeva proprio dalla sopra esposta organizzazione presidenziale del lavoro, che di fatto contraeva in via oltremodo significativa i tempi della camera di consiglio.

7) Violazione e falsa applicazione dell’art. 175 c.p.c.; difetto assoluto di presupposti, in fatto e in diritto; incompetenza, eccesso di potere e sviamento nell’esercizio delle attribuzioni del Capo dell’Ufficio e del Consiglio di Presidenza.

Secondo la D. G. le determinazioni del magistrato in ordine alla conduzione dell’udienza, nonché circa i tempi e i modi di eventuali rinvii non sarebbero censurabili dal Capo dell’Ufficio, ovvero dal Consiglio di Presidenza, ed in tal senso la medesima richiama, in particolare, la decisione pronunciata dal Consiglio Superiore della Magistratura in sede disciplinare in data n. 20/95 dd. 1 dicembre 1995, dalla quale emerge che la facoltà di rinviare i processi è sindacabile in sede disciplinare soltanto in presenza di atti abnormi ed errori macroscopici, ovvero in quanto ispirata dal perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia.

8) Eccesso di potere per manifesta violazione dei principi di proporzione, per manifesta ingiustizia e per disparità di trattamento.

La D. G. reputa che i fatti a lei contestati assumerebbero, comunque, una valenza del tutto marginale, risultando per conseguenza la sanzione a lei irrogata manifestamente sproporzionata, nonché affetta da manifesta disparità di trattamento in relazione a tutti i suoi colleghi, che, pur versando in una situazione di scarsa produttività ovvero di ritardo nei depositi dei provvedimenti, avrebbero nondimeno incontrato maggiore indulgenza da parte dell’Organo di autogoverno.

9) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990 n. 241 e successive modificazioni; carenza di potere per illogicità manifesta e carenza della motivazione.

La D. G. afferma il Consiglio di Presidenza non avrebbe dato alcun rilievo alla nota difensiva da lei formata in data 20 luglio 2006; né, a suo dire, la deliberazione impugnata recherebbe considerazioni in ordine alla presenza dell’elemento soggettivo nell’ambito del suo operato asseritamente ascrivibile ad illecito disciplinare.

La D. G. afferma pure che sarebbe stata del tutto ignorata la certificazione medica relativa alle proprie condizioni di salute e alla gravosità del trasporto dei fascicoli, come pure non sarebbe stata considerata la circostanza per cui, con riferimento alle udienze del 19 e 21 aprile 2005 conclusesi rispettivamente alle 16, 35 e alle 14, 20 con la lettura dei dispositivi dei provvedimenti ivi assunti, ulteriori incombenti richiederebbero comunque al magistrato di trattenersi ulteriormente in ufficio.

10) Eccesso di potere per deviazione dell’istruttoria.

Secondo la D. G. a nulla rileverebbe, inoltre, con riferimento all’udienza del 15 dicembre 2005, la dichiarazione resa dal funzionario di Segreteria circa il ricevimento delle notifiche degli avvisi di udienza, stante le contrarie risultanze del verbale, atto pubblico fidefaciente.

11) Violazione del principio di legalità e di tipicità dei provvedimenti sanzionatori; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 20 del R.D.L.vo 31 maggio 1946 n. 511 richiamato dall’art. 9, comma 2, della delibera del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti n. 510/CP/2000 dd. 26 luglio 2000; nullità della sanzione per difetto degli essenziali requisiti di forma.

La D. G. reputa che la sanzione per cui è causa non poteva essere comminata per iscritto, e sarebbe pertanto viziata per difetto di forma.

12) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L. 241 del 1990 e successive modificazioni; violazione del diritto di difesa.

La D. G. rileva che non le sarebbe stato indicato il termine e l’autorità cui ricorrere, con conseguente lesione dei propri diritti di difesa.

1.3. Si è costituito nel giudizio di primo grado il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, concludendo per la reiezione del ricorso.

1.4. In esecuzione degli incombenti disposti dalla Sezione I dell’adito T.A.R. con ordinanza collegiale n. 6200 del 25 luglio 2007, il medesimo Consiglio di Presidenza ha depositato agli atti di causa un’ampia e documentata relazione sui fatti resi oggetto di causa, cui a sua volta ha replicato la D. G. con puntuale memoria.

1.5. Con sentenza n. 14866 dd. 3 giugno 2010 il giudice di primo grado ha respinto il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese del giudizio.

2.1.1. La D. G. propone pertanto appello avverso tale sentenza, reiterando per ampia parte le censure da lei dedotte avverso i provvedimenti impugnati in primo grado e riferendole – ora – al contenuto della pronuncia emanata dal T.A.R..

2.1.2. Con un primo motivo la D. G. reitera il secondo ordine di censure dedotto in primo grado, affermando che sarebbe mancata nella specie l’instaurazione del contraddittorio in ordine ai fatti dedotti nella motivazione del provvedimento disciplinare, ma non resi oggetto di rituale contestazione d’addebito, e che i fatti residui, pur ritualmente a lei contestati, sarebbero irrilevanti per giustificare la sanzione irrogata.

In sostanza la D. G. ribadisce che nella motivazione della deliberazione del Consiglio di Presidenza da lei impugnata sarebbero stati reintrodotti profili del tutto estranei ai tre capi di contestazione di addebito, in quanto attinenti al parallelo e del tutto diverso procedimento di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale parimenti avviato nei suoi confronti e comunque di fatto abbandonato in esito al trasferimento da lei chiesto e ottenuto presso la Sezione giurisdizione per l’Emilia Romagna.

Tali profili riguarderebbero, in particolare, lo "scarso rendimento", lo "scarso senso di collaborazione e diligenza", la "grave insubordinazione" alle regole organizzative della Sezione e il "tentativo di autoassegnarsi una serie di filoni giurisprudenziali".

Sul punto la sentenza impugnata non recherebbe notazioni di sorta, tranne l’affermazione, per quanto segnatamente attiene all’asserito "tentativo di autoassegnarsi una serie di filoni giurisprudenziali",che lo stesso sarebbe stato comunque considerato dall’incolpata nelle proprie deduzioni difensive presentate nel procedimento disciplinare e che, pertanto, l’incolpata medesima sarebbe stata sostanzialmente consapevole della circostanza per cui anche tale vicenda rientrava tra le proprie condotte configurabili come illecito disciplinare.

La D. G., a sua volta, afferma che la circostanza stessa non sanerebbe il vizio procedimentale dell’omessa formulazione di uno specifico addebito al riguardo, con conseguente impedimento per una sua puntuale e avvertita difesa sul punto.

2.1.3. La D. G., con un secondo motivo di appello, reitera il terzo motivo del ricorso proposto in primo grado, deducendo la violazione del principio del ne bis in idem in relazione al predetto, parallelo procedimento di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale.

Secondo l’appellante, infatti, anche le surriferite contestazioni disciplinari di cui alle lettere a) e b) del Par. 1.1. si sostanzierebbero in una puntuale riproposizione di argomenti già utilizzati agli effetti del dianzi ricordato procedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale.

Pur a fronte di ciò, l’appellante medesima rileva che secondo la tesi del giudice di primo grado non sarebbe preclusa, in linea di principio, la contestazione da parte dell’Amministrazione al proprio dipendente,in sede di procedimento disciplinare, di una circostanza già dalla stessa considerata agli effetti del trasferimento d’ufficio del dipendente medesimo per incompatibilità ambientale.

La D. G. rileva inoltre che proprio la "mancanza di spirito collaborativo" contestata nei suoi confronti dal Consiglio di Presidenza, non solo al fine dell’incompatibilità ambientale, ma anche al fine dell’irrogazione della sanzione disciplinare, semmai testualmente costituirebbe, secondo il giudice di primo grado, "il filo rosso che lega tutti e tre gli episodi riassunti nei capi di imputazione (i quali ne costituiscono, per così dire, la manifestazione "sintomatica") (cfr. pag. 23 della sentenza impugnata).

La D. G., nel rinviare per la confutazione di tale assunto al contenuto dei susseguenti motivi d’appello, ribadisce la sussistenza, nella specie, di un evidente sviamento dell’azione amministrativa, costituito – per l’appunto – dalla simultaneità dei due procedimenti pur notoriamente fondati su presupposti diversi, ma, nondimeno, corrispondentemente alimentati con il medesimo "materiale" addotto a discredito della propria immagine, e senza che l’Amministrazione abbia potuto dedurre alcunché a comprova delle proprie tesi.

2.1.4. Con un terzo, quarto e quinto ordine di motivi l’appellante di fatto ripropone il quarto, il quinto e il sesto ordine di censure dedotto in primo grado, affermando pertanto l’infondatezza, la non lesività e la genericità degli addebiti elevati nei suoi riguardi.

La D. G., pertanto, contesta analiticamente anche nel presente grado di giudizio il contenuto di tutti e tre gli addebiti formulati nei propri riguardi e le conseguenti argomentazioni contenute nella deliberazione assunta al riguardo dal Consiglio di Presidenza, rimarcando che la motivazione della sentenza impugnata non recherebbe un’esaustiva disamina delle proprie deduzioni.

2.1.5. Con un sesto ordine di censure la D. G. reitera il settimo ordine di censure dedotto in primo grado, affermando che la sanzione irrogata nei suoi confronti risulterebbe illegittima per violazione dell’art. 175 c.p.c. e ribadendo, quindi, che ogni valutazione in ordine ai tempi, modi e motivazioni circa l’eventuale rinvio della trattazione delle controversie e all’ampiezza temporale della camera di consiglio compete al singolo magistrato investito della funzione monocratica, e non già al Capo dell’Ufficio, e che le valutazioni medesime sarebbero insindacabili in sede disciplinare, tranne le ipotesi di evidente abnormità, macroscopica negligenza o perseguimento di fini diversi da quello di giustizia o – ancora – di errore indotto da negligenza inescusabile.

Pur a fronte di ciò, la D. G. rimarca che il giudice di primo grado non si sarebbe fatto carico di disaminare la portata della pur copiosa giurisprudenza del Consiglio Superiore della Magistratura che è pervenuta a tali conclusioni, affermando in via del tutto apodittica che i rinvii da lei disposti sarebbero stati comunque "abnormi" e segnatamente stabiliti "nel deliberato proposito di violare la legge o per perseguire fini diversi da quelli di giustizia" (cfr. ibidem, doc. 8): ma ciò, per l’appunto, senza minimamente considerare le concrete ragioni sottostanti ai rinvii medesimi e, soprattutto, la dirimente circostanza che tutte le cause rinviate sono state da lei poi definite entro un lasso di tempo convenientemente breve.

2.1.6. Con un settimo ordine di motivi la D. G. deduce l’incongruità della sanzione per violazione dei principi di proporzione, manifesta ingiustizia e disparità di trattamento, riproponendo in tal modo l’ottavo ordine di censure formulato nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e rimarcando che, à sensi dell’art. 3bis del D.L.vo 23 febbraio 2006 n. 109, "l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza".

Per contro – rimarca sempre la D. G. – tale "scarsa rilevanza" non sarebbe stata considerata dal giudice di primo grado, il quale avrebbe pure apoditticamente escluso qualsivoglia ipotesi di disparità di trattamento da parte dell’Organo di autogoverno rispetto a casi di altri magistrati, ben meno laboriosi e nondimeno prosciolti in sede disciplinare per consistenti ritardi nel deposito dei propri provvedimenti.

2.1.7. Con un ottavo motivo la D. G. ripropone il nono ordine di censure contenuto nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, deducendo la carenza di motivazione del provvedimento disciplinare adottato nei suoi confronti.

La D. G. rimarca in tal senso che il Consiglio di Presidenza avrebbe di fatto disatteso i contenuti della propria nota difensiva dd. 20 luglio 2006 (cfr. doc. 37 di parte appellante, già prodotto nel giudizio di primo grado), nonché avrebbe omesso qualsivoglia accertamento sull’elemento soggettivo dell’asserito illecito disciplinare: carenze, queste, che l’appellante riferisce anche alla sentenza impugnata.

2.1.8. Con un nono motivo la D. G. deduce l’avvenuta "deviazione dell’istruttoria", riproponendo in tal modo il decimo ordine di censure illustrato nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado.

L’appellante rimarca in tal senso che il Consiglio di Presidenza ha sentito la direttrice della Segreteria della Sezione giurisdizionale per il Veneto in ordine alle "incertezze sull’avvenuta notifica degli avvisi di udienza del 15 dicembre 2005" e, per quanto attiene all’udienza del 21 aprile 2005, sulla "rimessione al Presidente della Sezione dei giudizi a ruolo per la fissazione di altra data per la loro trattazione".

L’appellante medesima reputa che entrambe tali circostanza siano estranee alle contestazioni disciplinari e che le stesse siano state, comunque, irritualmente accertate.

La D. G., per quanto attiene alle predette "incertezze sull’avvenuta notifica degli avvisi di udienza del 15 dicembre 2005", afferma che la circostanza stessa risulterebbe intrinsecamente vaga e che nella motivazione contenuta nella deliberazione recante l’irrogazione della sanzione neppure si specifica alle notifiche di quali cause ci si dovrebbe riferire; e ciò, senza sottacere che nel verbale di udienza del 15 dicembre 2005 risulta un’espressa dichiarazione di mancata ricezione degli originali delle notifiche fatta dal giudice e sottoscritta da questi, nonché dal segretario di udienza.

La D. G. afferma quindi che, proprio in relazione all’esistenza e al contenuto di tale atto pubblico facente prova sino a querela di falso, a nulla rileverebbe la successiva e contraria dichiarazione scritta in carta semplice dal medesimo segretario di udienza, indirizzata al Presidente della Sezione in quanto da lui stesso richiesta.

Per quanto attiene invece alla "rimessione al Presidente della Sezione dei giudizi a ruolo per la fissazione di altra data per la loro trattazione", la D. G. afferma che la circostanza, comunque irrilevante a suo dire agli effetti disciplinari, è comunque desumibile dallo stesso verbale di udienza del 21 aprile 2005.

L’appellante reputa che tutto ciò non sarebbe stato opportunamente considerato nella sentenza impugnata.

2.1.9. Con un decimo motivo la D. G. deduce la nullità della sanzione per difetto degli essenziali requisiti di forma contemplati al riguardo dall’art. 20 del R.D.L.vo 511 del 1946, richiamato espressamente dall’art. 9, comma 2, della delibera del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti n. 510/CP/2000 dd. 26 luglio 2000, riproponendo così l’undicesimo ordine di censure illustrato nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, a suo dire non debitamente considerato nella sentenza impugnata.

2.1.10. Con un undicesimo motivo la D. G. deduce la nullità della sanzione disciplinare per assenza di fonti in materia di tipizzazione degli illeciti disciplinari dei magistrati contabili e amministrativi.

L’appellante segnatamente contesta il contenuto del Par. 8 della sentenza impugnata, laddove si legge che "con la memoria conclusionale, non notificata, la ricorrente ha infine sostenuto che la procedura in esame deve ritenersi irrimediabilmente viziata per effetto dell’abrogazione, da parte del cit. D.L.vo 109 del 2006, del R.D.L.vo 511 del 1946 (al quale si richiamava l’art. 32 della L. 27 aprile 1986 n. 182, a sua volta richiamato dall’art. 10, comma 9 della L. 13 aprile 1988 n. 117). L’art. 30 del D.L.vo 109 del 2006 esclude espressamente l’applicazione della nuova disciplina ai magistrati amministrativi e contabili, con conseguente asserito vulnus,anche nella fattispecie, al principio di tipicità e legalità dell’azione amministrativa. La censura, come accennato, è inammissibile in quanto del tutto nuova e comunque non ritualmente proposta con lo strumento dei motivi aggiunti. Tuttavia, per quanto occorrer possa, va ricordato che le condotte addebitate alla d.ssa D. G. si collocano per la maggior parte nell’anno 2005. Pertanto – anche a non volere ritenere che il richiamo al R.D.L.vo 511 del 1946, contenuto nella L. 186 del 1982, abbia natura materiale (restando così insensibile alle modifiche sopravvenute) – è facile rilevare che la fattispecie di cui si controverte rimane comunque disciplinata da siffatta normativa, secondo il principio tempus regit actum.Analogo principio risulta del resto affermato dal D.L.vo 109 del 2006, in base al quale "Per i fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore delle disposizioni del presente decreto continuano ad applicarsi, se più favorevoli, gli articoli 17, 18, 19, 20, 21, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37 e 38 del R.D.L.vo 31 maggio 1946, n. 511" (art. 32 – bis, comma 2)".

2.1.11. Con un dodicesimo motivo d’appello la D. G. ripropone il primo ordine di censure contenuto nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, deducendo pertanto l’avvenuta violazione e falsa applicazione dell’art. 149, primo comma, lett. a) e c) ed ultimo comma del T.U. approvato con D.P.R. 3 del 1957, violazione e falsa applicazione della delibera del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti n. 510/CP/2000 recante "Regolamento di disciplina per i magistrati della Corte dei Conti", violazione del principio di imparzialità, conflitto di interessi ed eccesso di potere e sostenendo che in relazione a tali deduzioni il giudice di primo grado non avrebbe tratto le dovute conclusioni circa la pur documentata partecipazione alle sedute e – soprattutto – alla conseguente deliberazione adottata dal Consiglio di Presidenza del Procuratore Generale della Corte dei Conti e del Consigliere G. M..

2.2. Anche nel presente grado di giudizio si è costituito il Consiglio di Presidenza della Corte dei conti, concludendo per la reiezione dell’appello.

3. Alla pubblica udienza del 12 luglio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

4.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va accolto per quanto qui appresso specificato.

4.2. Giova innanzitutto evidenziare che nella motivazione dell’impugnata deliberazione del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti n. 169 dd. 3 maggio 2007, recante l’irrogazione della sanzione disciplinare dell’ammonimento nei riguardi della D. G., si legge che "le contestazioni rivolte alla dottoressa D. G. non riguardano l’attività giurisdizionale né i suoi aspetti decisionali ma quelli meramente organizzativi, rientrando in tale fattispecie anche l’accertamento della corrispondenza a realtà delle motivazioni di mero rinvio per cause estranee al rito processuale ed attinenti agli orari di servizio" e che, in particolare, ha formato oggetto di cognizione "il comportamento reiteratamente tenuto durante il servizio, asseritamente improntato a scarso senso di collaborazione e diligenza, giustificato dal solo fine di svolgere la propria funzione in maniera subordinata al soddisfacimento di esigenze personali di autorganizzazione".

L’Organo di autogoverno, dopo aver richiamato gli esiti dell’audizione del Presidente della Sezione giurisdizionale per il Veneto e del Direttore di Segreteria della Sezione medesima, nonché le deduzioni difensive scritte dell’incolpata, ha ritenuto che queste ultime non fossero sufficienti a superare le contestazioni e ha proceduto alla trattazione orale ai sensi dell’art. 7 del regolamento di disciplina per il personale di magistratura della Corte dei Conti, disaminando " la reiterazione dell’istanza" della medesima D. G. "di modificare, secondo le proprie esigenze, gli orari di fruizione degli uffici della Corte e, a seguito del mancato soddisfacimento della richiesta che precede, surrettiziamente disposto il rinvio di numerosi giudizi per asseriti (e non comprovati) motivi di adeguamento a disposizioni superiori".

Il Consiglio di Presidenza si è soffermato, in particolare, sul contenuto della nota del 26 aprile 2005, con cui la D. G., dopo aver più volte chiesto verbalmente al Presidente della Sezione di poter avere le chiavi dell’ufficio o comunque di poter accedere liberamente ad esso, considerato che per statuto giuridico i magistrati non risultano vincolati dall’osservanza di alcun orario, né di lavoro, né di servizio, giustificando tale richiesta con la circostanza di essere magistrato "fuori sede", nonché di "non potere avere a casa, considerati i notori costi di affitto delle abitazioni veneziane, una stanza da adibire specificamente a studio con la conseguenza di essere costretta a lavorare in condizioni di notevole precarietà e scomodità, poco consone all’esercizio della professione svolta" e che il continuo trasporto dei fascicoli presso la propria abitazione risultava "particolarmente oneroso e reso impervio per le notorie barriere architettoniche veneziane" – ha contestato la disposizione del Presidente in materia di orario di apertura degli uffici, emanata a seguito di accordo sindacale a livello nazionale, con ciò "manifestando in tutta evidenza la volontà di non rispettare una disposizione emanata dall’amministrazione in vista di un interesse generale ma di pretendere la giustificabilità di una sua violazione in nome di un principio dalla stessa ritenuto meritevole di superiore tutela, quale quello di mancata sottoposizione del magistrato a precisi orari di lavoro".

L’Organo di autogoverno ha rimarcato, quindi, che a tali istanze ha fatto seguito quella, avanzata in via subordinata, di essere esonerata "quanto meno dalla metà del carico di ogni udienza pensionistica quale costantemente fissato" dal Presidente medesimo, in ragione del fatto che ella aveva, a quella data, asseritamente superato il livello minimo di decisioni depositate previsto dal Consiglio di Presidenza, unitamente alla prospettazione, in caso di conferma delle disposizioni relative all’osservanza dell’orario di apertura degli uffici, di essere "costretta comunque ad effettuare suo malgrado, un significativo numero di rinvii, il che potrebbe creare problemi logistici nella redistribuzione delle cause nelle successive udienze oltre che rischiare di nuocere all’immagine della Sezione".

L’Organo di autogoverno ha quindi rimarcato che tale evento si è puntualmente verificato, come risulta dai verbali delle udienze del 19 e 21 aprile 2005 e che per entrambi i casi è stata addotta, come motivazione, la nota del 12 aprile 2005 con la quale il Presidente della Sezione aveva invitato i magistrati a non trattenersi in ufficio oltre le ore 19,00, rilevata, in particolare "la necessità di non differire la lettura dei dispositivi ad ora tarda, anche considerate le esigenze di servizio del personale dell’Arma adibito alla sorveglianza dell’aula" con contestuale rimessione al Presidente medesimo per la fissazione delle date dei rinvii per la discussione.

L’Organo di autogoverno ha sottolineato la circostanza che, a fronte dell’asserita "ora tarda" le udienze in questione si sono concluse, rispettivamente, la prima alle ore 16.35 e l’altra alle ore 14.20 con la lettura dei dispositivi e che, comunque, risultava che i Carabinieri ivi in servizio non avevano mai posto all’attenzione del Presidente della Sezione alcuna problematiche di sorta circa la loro permanenza nell’edificio.

Il Consiglio di Presidenza si è poi soffermato sulla circostanza per cui la D. G. avrebbe dovuto trattare 83 cause nell’udienza del 15 dicembre 2005, delle quali 65 "seriali" in luogo di altre 184 autonomamente scelte e studiate dalla medesima D. G., ma senza alcun provvedimento formale di assegnazione, rilevando che tale comportamento era scaturito da "autonoma iniziativa del magistrato il quale, senza alcuna autorizzazione, aveva provveduto a selezionare i giudizi tra quelli giacenti, sovvertendo anche l’ordine cronologico ed a farli iscrivere nel proprio ruolo" e che, comunque, la rappresentata difficoltà di esaminare, senza preavviso e in tempi ristretti, 65 giudizi "seriali" diversi da quelli prescelti contrastava comunque con le risultanze fattuali, posto che l’assegnazione degli stessi per l’udienza del 15 dicembre 2005 era già stata disposta dal Presidente della Sezione sin dal 28 ottobre 2005.

L’Organo di autogoverno ha quindi stigmatizzato la circostanza per cui la D. G. "pur avendo assegnati da tempo quei giudizi, provvedeva a disporre il rinvio della maggior parte di essi pure nella consapevolezza della irritualità della motivazione, confermata dalla raggiunta prova dell’avvenuta notifica degli avvisi di udienza, adducendo pretestuose e irragionevoli motivazioni, peraltro neanche specificando il fondamento giuridico di detti rinvii" e che, pertanto, "l’atteggiamento che precede appare sicuramente improntato alla volontà – concretizzatasi a far data dal febbraio 2005 – di sottrarsi alle disposizioni organizzative emanate dal Presidente della Sezione e quale portato finale di una situazione di grave negligenza ed insofferenza alle disposizioni impartite a tutti i magistrati per il migliore funzionamento della Sezione ed il più celere smaltimento dell’arretrato".

Secondo lo stesso Consiglio di Presidenza, il principio dell’insindacabilità della facoltà di rinvio al di fuori delle sedi processuali "è solo tendenziale e non assoluto in caso di macroscopica negligenza o di deliberata volontà di non applicare la legge" e, inoltre, "l’atteggiamento tenuto" dalla D. G. "nelle udienze appare come diretta e volontaria conseguenza" della sua pretesa di "organizzare la propria attività magistratuale in totale dispregio delle direttive organizzative impartite dal Presidente della Sezione, e pretestuosamente giustificato, invece, proprio come volontà di prestarvi adesione".

L’Organo di autogoverno ha pertanto concluso nel senso che risulterebbe da tutto ciò palese "la volontarietà di una serie di atti direttamente incidenti in modo negativo sull’attività giurisdizionale e, dall’altro, il dispregio manifestato" dalla D. G. "verso un leale dovere di diligenza e collaborazione con il Presidente della Sezione al fine di adempiere in maniera consona al suo status e al prestigio della magistratura contabile, alla funzione giurisdizionale"; e che, sotto questo profilo, "appare assolutamente grave il reiterato tentativo di autoassegnarsi una serie di filoni giurisprudenziali, non concordati con il Presidente della Sezione e, per di più, afferenti a ricorsi depositati in epoca di molto posteriore a quelli indicati dal Presidente" della Sezione.

Il Consiglio di Presidenza afferma, quindi che, nella fattispecie "appare in modo palese la determinazione volitiva della dottoressa D. G. orientata a pretendere modifiche strutturali dell’organizzazione amministrativa del suo ufficio", prospettando, in caso di mancato accoglimento "un chiaro disservizio, di per sé idoneo a vulnerare, anche, l’immagine della Corte" e che tale comportamento integra una grave violazione "sia degli obblighi di diligenza e collaborazione sia dell’inosservanza delle disposizioni di legge che presiedono, anche, al rito pensionistico e vietano il ricorso a meri rinvii", essendo, inoltre, manifesta, la sua volontà di incidere sull’espletamento della funzione, rendendola strumento di rivendicazioni per le pretese agevolazioni in materia di organizzazione dell’Ufficio.

4.3. Precisato opportunamente tutto ciò, il Collegio concorda innanzitutto con la notazione di fondo espressa da giudice di primo grado e conforme ad un indirizzo giurisprudenziale assolutamente consolidato, secondo la quale nella valutazione della responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti, il giudizio si svolge con una larga discrezionalità da parte dell’Amministrazione sull’apprezzamento della gravità delle infrazioni addebitate e della conseguente sanzione da irrogare, non potendo il giudice amministrativo sostituirsi all’Amministrazione medesima in ordine alla valutazione dei fatti contestati se non nei limiti in cui la valutazione stessa contenga un travisamento dei fatti, ovvero il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 24 febbraio 2011 n. 1203).

Il Collegio concorda pure con il conseguente assunto dello stesso giudice di primo grado secondo cui tale principio va applicato anche alla valutazione della responsabilità disciplinare dei magistrati amministrativi e contabili, e che tale assunto non confligge con la garanzia costituzionale di indipendenza (cfr. artt. 100 e 108, u.c., Cost.), posto che la tutela di quest’ultima è assicurata dalla massima espansione nel procedimento del diritto di difesa dell’incolpato (cfr. sul punto, ad es., Corte Cost., 27 marzo 2009 n. 87).

Va anche qui opportunamente rimarcato che il procedimento disciplinare riguardante i magistrati ordinari assume, come ben noto, natura giurisdizionale e si svolge innanzi alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, con quanto ne consegue in ordine al regime delle relative impugnazioni; viceversa, il procedimento disciplinare riguardante i magistrati amministrativi e contabili assume natura di procedimento amministrativo: il che, dunque, non preclude l’esame di alcuno dei vizi di legittimità dedotti, fermo peraltro restando il richiamato limite dell’impossibilità di sovrapposizione da parte del giudice amministrativo nel giudizio di merito espresso dagli organi di autogoverno nell’esercizio delle proprie funzioni disciplinari.

4.4.1. Il Collegio, a questo punto, nel disaminare il complesso dei motivi di appello proposti dalla D. G., condivide innanzitutto il giudizio di infondatezza espresso dal T.A.R. in ordine alla censura secondo la quale il Procuratore Generale della Corte dei conti avrebbe nella specie irritualmente preso parte alla seduta del Consiglio di Presidenza del 22 giugno 2006.

Come puntualmente denotato dallo stesso giudice di primo grado, il relativo verbale dà infatti testualmente atto della riunione del Consiglio di Presidenza, in seduta disciplinare, "nella composizione prevista dall’art. 2 del Regolamento di disciplina (Del. n. 510/CP/2000)"; e tale articolo dispone l’intervento del Procuratore Generale, "soltanto per svolgere le funzioni inerenti al promovimento dell’azione disciplinare": decisione che nella fattispecie è stata adottata nella seduta del medesimo Organo di autogoverno del 18 maggio 2006.

E’ pertanto corretto concludere – anche nella constatata assenza di elementi di fatto in senso contrario – che la surriportata espressione "nella composizione prevista dall’art. 2 del Regolamento di disciplina", senza altre precisazioni di sorta, indica in via inequivoca – e proprio perché si sostanzia nel mero richiamo ad un ben chiaro disposto normativo – l’assenza del Procuratore Generale (ossia dell’unico componente del Consiglio di Presidenza che non partecipa alle sedute disciplinari dell’Organo di autogoverno) alla seduta del Consiglio di Presidenza del giorno 22 giugno 2006.

4.4.2. Va pure condiviso il giudizio del T.A.R. circa l’assenza di incompatibilità, quale membro dell’Organo di autogoverno nello specifico esercizio delle proprie funzioni disciplinari, del Consigliere G. M..

Avendo riguardo a quanto segnatamente disposto dall’art. 149, lett. a) e c), del T.U. approvato con D.P.R. 3 del 1957, alla M. non risulta riferibile alcun "interesse personale nel procedimento" (cfr. art cit., lett.a); né consta che la D. G. sia debitrice o creditrice della medesima M., ovvero del coniuge o dei figli della stessa (cfr. ibidem) o, ancora, che sussista un’inimicizia grave tra la stessa M. o alcuno dei suoi prossimi congiunti e la D. G. (cfr. art. cit., lett. c).

In sostanza, secondo la tesi della D. G. l’incompatibilità della M. deriverebbe dalla circostanza che la stessa avesse avuto una risalente consuetudine di lavoro con lo stesso Presidente della Sezione giurisdizionale per il Veneto, a sua volta asseritamente determinante agli effetti della pregressa assegnazione della stessa M. quale unità aggiuntiva alla Sezione da lui presieduta, nonché dalla circostanza che la medesima M. ha pure proposto, quale membro del Consiglio di Presidenza, l’avvio di un ulteriore procedimento nei riguardi dell’attuale appellante in dipendenza di alcune sue dichiarazioni contrastanti rispetto a quelle del Presidente anzidetto circa l’adempimento dei suoi obblighi d’ufficio.

Il Collegio evidenzia al riguardo che l’esercizio delle prerogative proprie dei membri del Consiglio di Presidenza non può per certo rilevare agli effetti dell’incompatibilità presupposta dalle disposizioni invocate dall’appellante, e che neppure la pregressa colleganza della M. con il Presidente Zambardi – ancorché asseritamente corroborata da un forte impegno di questi al fine di ottenere l’assegnazione della medesima M. alla Sezione da lui presieduta – può sostanziare un motivo di ricusazione riconducibile alle predette disposizioni legislative richiamate dalla D. G.; senza sottacere – come rettamente considerato dal giudice di primo grado – che lo stesso art. 149 del T.U. 3 del 1957 individua una tipica ipotesi di ricusazione del membro dell’organo del giudizio disciplinare (e, specularmente, un dovere di astensione) esclusivamente nell’avere questi "dato consigli o manifestato il suo parere fuori dell’esercizio delle sue funzioni" (cfr. ivi, comma 1, lett. b).

4.4.3. Va anche condiviso l’assunto del T.A.R. che esclude qualsivoglia violazione del principio del ne bis in idem in relazione al fatto che alcune delle condotte imputate alla D. G. in sede di procedimento disciplinare sono state concomitantemente disaminate dallo stesso Consiglio di Presidenza anche nel procedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale promosso sempre nei confronti della stessa D. G..

Nessuna duplicazione può ontologicamente sussistere al riguardo, posto che si tratta di procedimenti che perseguono finalità del tutto distinte e sono, anche strutturalmente, tra di loro autonomi.

E’ ben noto, infatti, che l’incompatibilità ambientale non consiste in una mancanza disciplinare addebitabile al pubblico dipendente, ma in una situazione di fatto riguardo al cui insorgere egli potrebbe anche essere del tutto incolpevole e che – nondimeno – gli rende difficile operare in una determinata sede con il dovuto prestigio ed autorevolezza, in vista del migliore espletamento del servizio (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 1 dicembre 2010 n. 8376); e, per quanto segnatamente attiene ai magistrati, il trasferimento per incompatibilità ambientale ha lo scopo di rimuovere sopravvenuti impedimenti al regolare funzionamento degli uffici giudiziari in tutti i casi in cui il magistrato non possa esercitare la funzione nella sede che occupa e alle condizioni richieste per il prestigio dell’ordine magistratuale, indipendentemente dall’accertamento di ogni profilo di colpevolezza dell’interessato (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Se. IV, 10 giugno 2010 n. 3712).

Viceversa, la responsabilità disciplinare discende dalla violazione delle disposizioni normative attinenti all’esercizio delle funzioni del dipendente medesimo e, per quanto segnatamente attiene al magistrato, sanziona un contegno lesivo del prestigio e della credibilità del relativo ordine, avente – per l’appunto – carattere di illecito (cfr., ad es., Cons. Stato, sez. IV, 3 marzo 2006 n. 1035).

Nondimeno, gli organi di autogoverno delle magistrature ben possono considerare concomitantemente, pur nell’intrinseca autonomia concettuale degli istituti ora descritti, i fatti ipoteticamente e oggettivamente compromettenti sia la funzionalità dell’Ufficio, sia il corretto comportamento del magistrato rispetto alle disposizioni proprie del suo status e assumere le conseguenti deliberazioni al riguardo, ma senza – ovviamente – che l’eventuale adozione del provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale possa pregiudicare la posizione dell’interessato nell’ipotesi di un concomitante procedimento disciplinare promosso nei suoi riguardi, e senza – per converso – che la decisione del procedimento disciplinare (sia in senso favorevole che sfavorevole per l’interessato) refluisca su quella riguardante l’incompatibilità ambientale.

Nel caso di specie nessuna contaminazione è comunque intervenuta tra i due procedimenti, se non altro in quanto quello relativo all’incompatibilità ambientale è stato abbandonato in dipendenza dell’avvenuto trasferimento della D. G., su sua domanda, alla Sezione giurisdizionale per l’Emilia Romagna.

4.4.4. Il T.A.R. ha rettamente respinto anche la censura di disparità di trattamento, formulata dalla D. G. in relazione alla circostanza che l’Organo di autogoverno avrebbe sanzionato meno gravemente (ma va al riguardo evidenziato che non è contemplata dall’ordinamento una sanzione inferiore all’ammonizione), ovvero non avrebbe sanzionato comportamenti ben più gravi di quello a lei contestato e segnatamente costituiti da ritardi nei depositi dei provvedimenti giudiziali o, comunque, da scarsa laboriosità.

E’ ben noto infatti che, in linea di principio, la censura stessa può essere proposta soltanto se sussiste assoluta identità delle situazioni poste a raffronto (cfr. sul principio stesso, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2011 n. 236; circa la sua applicazione ai procedimenti disciplinari cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. I, 16 febbraio 1994 n. 815); e, nel caso di specie, l’Amministrazione ha confermato quanto rappresentato dalla stessa D. G., ossia che non consta l’adozione di precedenti provvedimenti disciplinari per condotte simili a quelle in esame.

4.4.5. Anche per quanto attiene all’ordine di censure relative alla forma del provvedimento di ammonimento di cui all’art. 20 del R.D.L. 511 del 1946, reso nella specie applicabile dall’art. 9, comma 2, della delibera consiliare n. 510/CP/2000 (e, prima ancora, dall’art. 10, comma 9 della L. 117 del 1988 in combinato disposto con gli articoli 32, 33 e 34 della L. 186 del 1982) il Collegio condivide le conclusioni cui è pervenuto il giudice di primo grado.

Infatti, anche nel contesto dell’anzidetto art. 20, vigente all’epoca dei fatti di causa, ma oggi abrogato dall’art. 31 del D.L.vo 109 del 2006 e segnatamente sostituito dall’art. 6 del decreto legislativo medesimo, era comunque prevista, dopo la comunicazione orale, la formalizzazione di un verbale.

Pertanto, a ragione il T.A.R. ha evidenziato che la sostanza della censura si risolve nella pretesa della D. G. a che la documentazione inerente all’irrogazione di una sanzione di ammonimento sia inserita nel fascicolo personale, espressamente previsto dall’art. 55 del T.U. 3 del 1957 e dall’art. 24 e ss. del D.P.R. 3 maggio 1957 n. 686: pretesa che, per quanto sopra, non può che essere respinta.

4.4.6. Sempre a ragione il T.A.R. ha rilevato che soltanto con la memoria conclusionale presentata nel primo grado di giudizio e non notificata alla controparte la D. G. ha affermato che il procedimento disciplinare di cui trattasi risulterebbe irrimediabilmente viziato per effetto dell’abrogazione, da parte del predetto D.L.vo 109 del 2006, del R.D.L. 511 del 1946, al quale ultimo si richiamava invece l’art. 32 della L. 186 del 1982, a sua volta richiamato dall’art. 10, comma 9 della L.117 del 1988.

Anche a prescindere dall’intrinseca inammissibilità di tale censura per difetto dell’instaurazione del previo contraddittorio su di essa (indefettibilmente costituito soltanto con la notificazione della censura stessa: cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 5 dicembre 1994 n. 982) e della conseguente inammissibilità della sua avvenuta riproposizione in sede di appello, va evidenziato in via assorbente che l’art. 30 dello stesso D.L.vo 109 del 2006 esclude espressamente l’applicazione della nuova disciplina ai magistrati amministrativi e contabili, ivi dunque compreso anche l’art. 3bis del decreto legislativo medesimo, inserito per effetto dell’art. 1, comma 3, della L. 24 ottobre 2006 n. 269 e in forza del quale "l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza".

4.4.7.1. I residui motivi di impugnazione della sentenza di primo grado, che investono la sostanza della causa, vanno – viceversa – nel loro complesso accolti.

Come detto innanzi, sia in primo che in secondo grado la D. G. ha dedotto la circostanza che non hanno formato oggetto di puntuale contestazione di addebito né un preteso comportamento improntato "a scarso senso di collaborazione e di diligenza" né il "tentativo di autoassegnarsi una serie di filoni giurisprudenziali" all’udienza del 15 dicembre 2005 e che, nondimeno, tali comportamenti sono stati assunti a motivazione dal Consiglio di Presidenza ai fini dell’irrogazione nei suoi confronti della sanzione dell’ammonimento.

Il giudice di primo grado, a tale proposito, ha reputato "da un lato, che la mancanza di spirito collaborativo" da parte della D. G. "rappresenta in realtà il filo rosso che lega tutti e tre gli episodi riassunti nei capi di imputazione (i quali ne costituiscono, per così dire, la manifestazione "sintomatica"). Dall’altro, che la pervicace volontà della d.ssa D. G. di trattare, almeno preferibilmente, ricorsi che ella stessa aveva individuato (sia pure in un elenco di controverse seriali predisposto dalla Segreteria) è elemento del complessivo quadro fattuale all’esame del Consiglio non solo del tutto incontestato, ma soprattutto, oggetto di rivendicazione, da parte della d.ssa D. G. proprio nell’ambito delle deduzioni difensive presentate nel corso del procedimento disciplinare. Nelle "osservazioni" del 20 luglio 2006, con riguardo alle 65 cause assegnatale, sin dal 28 ottobre 2005, per l’udienza del 15 dicembre 2005", la D. G. "stigmatizza, ancora una volta, il comportamento del Presidente della Sezione che aveva operato tale assegnazione senza considerare il fatto che ella aveva già studiato e preparato, per la medesima udienza, altri due filoni, complessivamente consistenti in 184 giudizi. Al riguardo, la dottoressa D. G. rimarca poi – prosegue il primo giudice – che detti giudizi seriali "erano stati individuati non a discrezione della sottoscritta, ma tra quelli elencati nell’elenco presentatole dalla Segreteria e in conformità alla prassi in auge nella Sezione, che consentiva ai singoli magistrati di individuare in quest’ambito i filoni da trattare (..).". Ella,dunque, era quantomeno consapevole – è ancora il primo giudice che parla – che anche tale vicenda entrava a far parte delle condotte scrutinate in quanto sintomatica della summenzionata mancanza di "senso di collaborazione" e della prevalenza attribuita alla proprie esigenze di autororganizzazione rispetto a quelle specifiche dell’Ufficio presso il quale, all’epoca, prestava servizio…. Il TAR aggiunge le ulteriori considerazioni di cui appresso.

La D. G. ha poi censurato la contestazione riassunta sub lett. a) in quanto il Consiglio non avrebbe specificato in cosa si sia concretata l’irritualità addebitata. Sennonché, è proprio lei stessa a chiarire, sia nelle summenzionate "osservazioni",sia nel corpo del presente ricorso, che i rinvii vennero effettuati "per la mancata presenza in udienza del legale dei ricorrenti" (lo stesso per 31 cause), oltre che di questi ultimi. Il giudicante di fronte a tali assenze, ha considerato irrilevante la (questa sì, irrituale) dichiarazione di conoscenza dell’udienza inoltrata via fax il 13 dicembre 2005 alle 17,46 dall’avvocato dei ricorrenti in risposta alla altrettanto irrituale richiesta della Segreteria della Sezione Veneto. E’ sempre" la D. G., "poi, a fornire la chiave di lettura delle reali ragioni (estranee a quelle strettamente processuali), sottese ai predetti rinvii – si sta sempre riferendo la tesi del TAR – laddove, ancora una volta, lamenta il fatto che, per l’udienza in questione, le siano stati assegnati d’ufficio 65 ricorsi seriali diversi da quelli che ella aveva già selezionato e studiato. Al riguardo, non vi è contestazione sulla circostanza, affermata nella relazione versata in atti dalla Corte, secondo cui presso la Sezione Veneto non esisteva affatto la prassi, adombrata dalla ricorrente, consistente nella possibilità, per magistrati cui erano affidate funzioni monocratiche, di scegliere autonomamente i giudizi da trattare, in violazione dei più elementari principi di organizzazione degli uffici giudiziari e dell’assegnazione dei carichi di lavoro secondo criteri oggettivi e predeterminati. E’, inoltre, cosa ben diversa "scegliere" in maniera puntuale i singoli giudizi da trattare rispetto alla mera espressione di una preferenza per alcun tipi di materie, in relazione alle quali successivamente preparare, in maniera seriale, le relative controversie…. Anche relativamente al secondo gruppo di rinvii contestati (quelli disposti alle udienze del 19 e 21 aprile 2005), è sempre" la D. G. "a chiarire di averli adottati in (apparente) ossequio alle disposizioni organizzative relative all’apertura degli Uffici, formalizzate dal Presidente della Sezione il 12 aprile 2005. Al riguardo, è bene precisare – così prosegue il TAR – che l’estraneità a fini di giustizia anche di tali rinvii emerge con tutta evidenza ove si ponga mente al contesto nel quale sono maturati e alla circostanza (ammessa dalla dottoressa D. G. e, anzi, dalla stessa orgogliosamente rivendicata) che ella aveva strenuamente cercato, in precedenza, di ottenere l’apertura degli uffici oltre i limiti stabiliti dal Presidente della Sezione (in ossequio, peraltro, alla contrattazione decentrata del personale amministrativo). Reputa il Collegio (si tratta, sempre, del Collegio di prime cure: n.d.r.) che la pretesa dedizione alla funzione esercitata sia, nella fattispecie, smentita dal fatto che" la D. G. "ha chiaramente manifestato di non essere disposta ad alcun personale sacrificio, pur in presenza di difficoltà logistiche che le erano state chiaramente rappresentate dal Presidente di Sezione. Come rilevato dal Consiglio di Presidenza, ella ha mostrato semplicemente di ritenere prevalenti le proprie esigenze organizzative rispetto a quelle dell’Ufficio di appartenenza.

Di tale insofferenza, vi è poi chiara traccia: nelle note del 26 aprile 2005, richiamate nelle giustificazioni del 20 luglio 2006, in cui conferma di avere chiesto reiteratamente di trattenersi in ufficio, e comunque insiste nell’avere accordata la possibilità di accedervi liberamente; nell’acclarata circostanza che nessuno dei colleghi abbia mai incontrato difficoltà, nella conduzione delle udienze e nella lettura dei dispositivi, derivanti dalla disposizioni organizzative impartite dal Presidente di Sezione; nella richiesta di ricalibrazione del carico di lavoro, quale conseguenza delle difficoltà logistiche procuratele dalla disposizioni presidenziali in materia di apertura degli uffici. Deve allora convenirsi – è tuttora la sentenza di prime cure a parlare – con le conclusioni rassegnate dal Consiglio di Presidenza, laddove ha ravvisato, nell’atteggiamento della ricorrente, uno scarso senso di "collaborazione",manifestatosi attraverso: la contestazione delle disposizioni organizzative (sia in materia di orario di lavoro che di ripartizione degli affari), legittimamente adottate (e, per inciso, mai impugnate), dal Presidente della Sezione; l’applicazione distorta delle disposizioni medesime, con conseguente aggravamento delle difficoltà organizzative esistenti, ulteriori ritardi nelladefinizione dei processi, nonché negativa incidenza sull’immagine e il prestigio della magistratura contabile. Neppure condivisibili (secondo il T.A.R.) appaiono i rilievi secondo cui sarebbero state immotivatamente disattese le argomentazioni contenute nelle giustificazioni del 20 luglio 2006, e che alcun riferimento vi sarebbe, nel provvedimento impugnato, alla sussistenza dell’elemento soggettivo.

In primo luogo, come in precedenza evidenziato, la maggior parte degli addebiti contestati si fonda su circostanze la cui esatta connotazione deriva proprio dalla deduzioni difensive formulate dalla dottoressa D. G….. Con specifico riguardo all’elemento soggettivo, inoltre, non può esservi dubbio alcuno circa la pervicace e consapevole volontà" della D. G. "di far prevalere, ad ogni costo, la propria personale concezione della corretta organizzazione di un ufficio giudiziario. Essa, a ben vedere, è sottesa a tutti gli addebiti contestati e chiaramente evidenziata dal Consiglio, laddove ha rimarcato che i comportamenti della ricorrente sono stati reiterati e non occasionali, apparendo in modo palese "la determinazione volitiva della dottoressa D. G. orientata a pretendere modifiche strutturali dell’organizzazione amministrativa del suo ufficio". Relativamente alla certificazione medica prodotta, risulta che, in sede istruttoria, e durante tutto il procedimento disciplinare, parte ricorrente non abbia mai fatto riferimento a uno stato di minorazione psico- fisica, tale da giustificare la richiesta di specifiche modifiche organizzative dell’Ufficio di appartenenza. Corretta, infine, appare l’osservazione dell’Amministrazione (in replica alla censura di "deviazione dell’istruttoria",derivante dal rilievo attribuito alle dichiarazioni del Direttore di Segreteria, in preteso contrasto con le risultanze dei verbali di udienza circa l’esistenza delle relate di notifica degli avvisi di udienza), secondo cui la delibazione in sede disciplinare ha riguardato non già la veridicità di quanto contenuto nei verbali, bensì il comportamento tenuto dalla d.ssa D. G. prima dell’udienza (con il tentativo di autoassegnarsi controversie diverse da quelle fissate dal Presidente di Sezione), nonché l’abnormità dei rinvii disposti, al di fuori di reali esigenze processuali, nel contesto conflittuale che si è in precedenza evidenziato" (si ribadisce ancora una volta che tutta la rassegna finora condotta risale alla sentenza impugnata, pag. 23 e ss.).

4.4.7.2. Questo Collegio, per parte propria, evidenzia che gli addebiti formalmente contestati alla D. G. consistono, in un’elencazione rispettosa della cronologia dei fatti, nella "ripetuta e ingiustificata violazione degli obblighi di diligenza e collaborazione" avvenuta chiedendo dapprima "reiteratamente… di ottenere speciali modifiche e variazioni dell’orario ordinario di apertura e funzionamento dell’ufficio e di altre modalità organizzative generalmente in uso, comprese quelle di accesso ai locali, all’unico scopo di renderli adeguati e rispondenti a necessità esclusivamente individuali prospettando, in mancanza di accoglimento delle richieste, la necessità di una riduzione dei carichi di lavoro, l’eventualità di numerosi rinvii dei giudizi e una minore resa di produttività" (addebito sub c); quindi motivando "numerosi rinvii (udienze del 19 e 21 aprile 2005 e udienza dell’8 novembre 2005) sulla base di circostanze irrituali (es. assenza delle parti, esigenza di servizio dell’Arma dei Carabinieri, orario di chiusura dell’ufficio) e/o estranee alle evidenze processuali (necessità di acquisire elementi istruttori, senza contestuale adozione di alcuna determinazione al riguardo)" (addebito sub b); e, da ultimo, "nell’udienza del 15 dicembre 2005, a fronte di un ruolo di complessivi 83 ricorsi, di cui 65 di tipo monotematico", disponendo "rinvii irrituali dei ricorsi nn. 18559, 18560, 18561, 18563, 18565, 18567, 18569, 18571, 18573, 19090, 19093, 19200, 20747, 19201, 19659,19998, 20564, 20567, 20679, 20583, 20585, 20589, 20590, 20591, 20596, 20607, 20608, 20611, 20743, 20744, 20891" (addebito sub a).

Sul tema giova innanzitutto evidenziare che, in effetti, nella costruzione motivazionale fatta dal Consiglio di Presidenza e condivisa dal giudice di primo grado, lo "scarso senso di collaborazione e di diligenza" si configura come il "giudizio di valore" che unifica le tre surriferite contestazioni di addebito e su cui si fonda l’irrogazione della sanzione.

Nondimeno, il dianzi descritto "tentativo" della D. G. "di autoassegnarsi una serie di filoni giurisprudenziali" per l’udienza del 15 dicembre 2005 non risulta in alcun modo compreso nella descrizione degli addebiti anzidetti.

La circostanza che la stessa D. G. abbia "riconosciuto" il relativo episodio nei propri scritti difensivi, adducendolo a pretesa scriminante o attenuante del suo operato per quanto avvenuto all’udienza stessa, non sposta i termini della questione, posto che risulta assodato che l’Amministrazione (presumibilmente conscia che, al di là del suo reciso diniego circa l’esistenza dell’asserita prassi per i magistrati della Sezione di autoassegnarsi le cause che la Segreteria aveva individuato come "seriali", sussistevano comunque delle ambiguità al riguardo) non ha comunque elevato l’episodio stesso a motivo di contestazione.

Né l’omessa formalizzazione di tale addebito può essere sanata dalla predetta e pretesa "confessione" dell’incolpata, ovvero resa irrilevante dall’apodittica affermazione secondo la quale la relativa circostanza doveva essere comunque essere considerata dall’incolpata medesima – anche al di là dell’inequivoca articolazione testuale dell’addebito segnatamente relativo alla predetta udienza del 15 dicembre 2005 – come parte integrante delle contestazioni a lei fatte.

E’ ben evidente che sul punto non si è potuto formare un compiuto contraddittorio procedimentale, stante il fatto che, nell’impianto motivazionale del provvedimento recante l’irrogazione della sanzione, l’accennata condotta non è stata considerata a mera confutazione delle tesi dell’incolpata; vale a dire che, al contrario, è stata elevata ad ulteriore ed autonomo addebito, non prima contestato, proprio la predetta circostanza secondo la quale la D. G. avrebbe già studiato per la medesima udienza del 15 dicembre 2005 le predette cause già indicate come "seriali" dalla Segreteria, ma a lei poi non assegnate dal Presidente della Sezione.

E’ indubbio che l’Amministrazione non aveva riferito ad illecito disciplinare la circostanza stessa, probabilmente perché al riguardo non erano state dissolte le incertezze sulle prassi sino a quel momento in essere; anche da tale notazione, pertanto, discende l’assoluta illegittimità della "valorizzazione" dell’episodio medesimo come autonomo ed ulteriore titolo di incolpazione, per giunta illogicamente trattato come omologo ad altre circostanze fattuali di diversa indole.

Per il resto, entrando nel contesto essenziale della vicenda per cui è causa, il Collegio non può astenersi dal denotare la paradossalità di quanto avvenuto, posto che la sanzione è stata irrogata nei confronti di un magistrato che anteriormente ai fatti di causa, in costanza degli stessi e susseguentemente – ossia, anche dopo il suo trasferimento ad altra Sezione giurisdizionale – ha costantemente raggiunto livelli di produttività superiori alla media dei colleghi, né aveva dato adito, né ha poi dato adito, a rilievi disciplinari di sorta.

La richiesta della D. G. di poter disporre delle chiavi dell’Ufficio per poter meglio disimpegnare le proprie funzioni non era illogica, essendo semmai illogico l’assetto organizzativo dell’Ufficio medesimo, che vedeva il magistrato sottostare alle stesse esigenze di orario del personale di segreteria con trattamento economico e normativo "contrattualizzato".

Risulta ben evidente che il magistrato svolge una funzione del tutto incompatibile con il regime proprio del personale di segreteria, dovendo notoriamente trattenersi nel proprio ufficio ben oltre l’orario di lavoro di quest’ultimo al fine di espletare attività di studio dei fascicoli processuali e di redazione dei provvedimenti giudiziali, che, per se stanti, non necessitano della collaborazione del personale di segreteria medesimo e che, altrettanto ragionevolmente, devono essere svolte il più possibile all’interno dell’Ufficio e non già presso la propria abitazione.

E’invero fatto notorio che la mole delle cause è tale da costringere sovente i magistrati di tutti gli ordini a trasportare copia degli incarti processuali presso le proprie abitazioni per il loro studio, nonché per la stessa redazione dei provvedimenti che ad essi ineriscono; ed è altrettanto notorio che a Venezia tale incombente presenta difficoltà, cagionate dall’impossibilità di poter utilizzare l’automobile per i propri spostamenti e dall’esigenza di completare comunque il tragitto eventualmente fatto con il vaporetto con spostamenti a piedi lungo le calli, resi disagevoli, oltreché per il peso trasportato, anche dal continuo susseguirsi degli scalini dei ponti.

Tale obiettivo stato di cose non può essere sminuito – come è avvenuto nel caso di specie – con la sbrigativa considerazione per cui la D. G. non ha evidenziato particolari patologie, ovvero con la constatazione che gli altri magistrati ivi in servizio non hanno ritenuto (proprio forse perché paghi del proprio livello di produttività inferiore a quello dell’attuale appellante) di sollevare il problema.

Anche a prescindere, dunque, dall’entità dei carichi di lavoro attribuiti alla D. G. per le predette udienze dei giorni 19 e 21 aprile 2005, 8 novembre 2005 e 15 dicembre 2005 e della compatibilità dei tempi delle stesse, nonché degli adempimenti ad esse strettamente conseguenti rispetto alla chiusura programmata dell’edificio per le ore 19.00 (salvo casi del tutto eccezionali), la limitazione imposta all’attuale appellante risultava comunque incidere negativamente sull’ottimale espletamento della propria complessiva attività: e ciò – si badi – nel notorio contesto per cui la disponibilità per il magistrato dell’ingresso e dell’uscita a propria discrezione e secondo le sue necessità dai locali in cui egli presta servizio costituisce la regola e non già un’eccezione, per certo – come detto innanzi – fondata dalle ben diverse esigenze del rispetto dell’orario di servizio del personale addetto alle segreterie.

Né poteva costituire remora per il caso di specie la dichiarazione del personale di custodia, assunta in sede istruttoria dal Consiglio di Presidenza e ricordata a pag. 11 della memoria dell’Amministrazione appellata, secondo la quale la presenza della D. G. nell’edificio oltre le ore 19.00 comportava la verifica dell’avvenuto spegnimento di luci e di altri dispositivi elettrici, nonché la verifica della chiusura di porte e di finestre: pare infatti evidente che tali incombenti possano essere rimessi, limitatamente ai locali di propria pertinenza, agli stessi magistrati cui le chiavi sono consegnate, ferma altresì restando ogni loro assunzione di responsabilità al riguardo.

Detto ciò, il Collegio non sottace che le ragioni di fondo della D. G. non potevano per certo essere affidate ad atteggiamenti conflittuali, dovendo essere rispettato il potere di organizzazione, ovviamente se non arbitrario, dell’Ufficio di cui è titolare il Presidente della Sezione, fermo altresì restando che la risoluzione del problema (di per sé non grave, ancorché rivestente indubbi profili di principio) non poteva per certo essere ragionevolmente devoluto alla giurisdizione amministrativa (va ricordato in tal senso che il giudice di primo grado, nella motivazione della propria sentenza, ha – tra l’altro – evidenziato che i provvedimenti adottati dal Presidente della Sezione non erano stati impugnati…) se non altro per ben evidenti ragioni di economicità di tempo e di risorse finanziarie; nel mentre detta soluzione avrebbe potuto essere più convenientemente disaminata in via preventiva dallo stesso Organo di autogoverno, senza che le cose assumessero poi quella piega disciplinare in seno alla quale è – altresì – ben agevole scorgere una forte (e non commendevole) contrapposizione personale tra la D. G. e lo Zambardi (del quale ultimo, in ogni modo, non è stata sindacata in alcun modo la forse eccessiva caparbietà).

Tuttavia, venendo alla definizione degli addebiti dianzi esposti sub a) e sub b), le motivazioni addotte ai fini dei rinvii non appaiono, se considerate nel loro intrinseco contenuto, abnormi.

Le numerose cause seriali rinviate (e nondimeno tutte definite, senza alcuna contestazione al riguardo ad opera di parte pubblica, entro un lasso di tempo convenientemente breve e, quindi, senza gravi pregiudizi per le parti), ove il rinvio non fosse avvenuto e fossero state quindi convenientemente trattate con la riconoscibile meticolosità della D. G. e, quindi, con la concessione di ogni garanzia alle difese (ivi naturalmente inclusa la loro eventuale discussione orale), avrebbero ben potuto comportare lo sforamento dell’orario di chiusura dell’edificio, anche in considerazione che per la redazione dei dispositivi dei relativi provvedimenti sarebbe stato comunque risultato necessario trattenere in ufficio il personale di segreteria.

Pertanto, i dati della conclusione delle udienze predette forniti nella motivazione della deliberazione impugnata – ed oscillanti tra le 14.20 e le 16.35 – non tengono conto del ben prevedibile incremento dei tempi ove anche le cause rinviate fossero state a loro volta trattate.

Per quanto poi attiene ai motivi del rinvio, essi non risultano abnormi, proprio perché riferiti, in parte, alle stesse circostanze che potevano rendere improbabile, per le anzidette necessità logistiche, la definizione del giudizio per quella stessa udienza e, per il resto, a esigenze di rispetto del contraddittorio processuale debitamente fatte constare a verbale. Per giunta la rassegna del dato nel verbale rendeva lo stesso dato non controvertibile nella sua congruità e veridicità, sicché il verbale non poteva essere smentito mediante susseguenti dichiarazioni di scienza private del medesimo segretario verbalizzante o di altri, ancorché raccolte dalla medesima Amministrazione, se non sollevando questione di falso.

Da ultimo, per quanto concerne l’assunto per cui la D. G. avrebbe nelle sue preventive segnalazioni al Presidente prospettato la possibilità di quanto poi materialmente avvenuto e avrebbe quindi nella sostanza formulato una sorta di "ricatto" per sostenere l’accoglimento della propria richiesta di disporre delle chiavi dell’edificio, va evidenziato, secondo l’opinione del Collegio, che tale conclusione risulta comunque fondata su di un mero probabilismo, ragionevolmente recessivo rispetto ai dati obiettivi dell’elevato numero di cause iscritte al ruolo e del tempo materialmente disponibile per tutti gli incombenti a ciò necessari.

5. L’appello va, pertanto, per le suesposte ragioni accolto e, per l’effetto – e in riforma della sentenza impugnata – il ricorso proposto in primo grado va parimenti accolto, con conseguente annullamento degli atti ivi impugnati, salve restando le eventuali, ulteriori determinazioni di competenza dell’Amministrazione appellata, che in ogni modo dovrebbero tener conto delle riflessioni fin qui espresse.

6. Le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio seguono la regola della soccombenza di lite, e sono liquidati nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso proposto in primo grado, con conseguente annullamento degli atti ivi impugnati.

Condanna il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti al pagamento delle spese e degli onorari di entrambi i gradi di giudizio, complessivamente liquidati nella misura di Euro 2.000,00.- (duemila/00), oltre ad I.V.A. e C.P.A.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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