Cons. Stato Sez. IV, Sent., 06-12-2011, n. 6407 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso di primo grado era stato chiesto dalla società odierna appellante R. S. V. srl l’annullamento della determinazione dirigenziale n. 332 del 25 febbraio 2010 con la quale il Comune di Roma – Municipio XVI le aveva ingiunto la rimozione e la demolizione di opere abusive realizzate in Via L. Giorgieri, n. 50 in Roma.

L’adito Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Sede di Roma – all’esito dell’adunanza camerale destinata alla delibazione della istanza di sospensione cautelare del provvedimento impugnato ha definito la causa nel merito respingendo il ricorso.

In particolare, il primo giudice ha rilevato che, mercè il provvedimento impugnato, era stata ingiunta la demolizione di un "edificio di mq. 200,00 x 3,50 di H, di un edificio di mt. 18,50 x 5,30 x H mt. 2,80 e di un edificio di mt. 21 x mt. 4,30 x H mt. 2,80", in quanto edificati in assenza di permesso di costruire.

Avuto riguardo alla circostanza che l’istruttoria effettuata dal aveva chiarito che non vi era alcuna confusione tra le opere di cui era erroneamente indicata la particella nel provvedimento impugnato e quelle progettate, né peraltro tra quelle progettate e quelle dedotte nella domanda di accertamento di conformità presentata dall’odierna appellante, ha respinto la relativa censura di nullità del provvedimento impugnato per perplessità ed indeterminatezza.

Nel merito, il Tribunale amministrativo ha evidenziato che l’appellante era stata destinataria del provvedimento autorizzatorio alla implementazione degli impianti sportivi in vista dei campionati di nuoto "Roma 2009" adottato con decreto del Commissario delegato in data 27 marzo 2009, n. 5140/RM2009 (quest’ultimo fondato sull’ Ordinanza del presidente del Consiglio dei Ministri n. 3489 del 29 dicembre 2005 per lo svolgimento dei mondiali di nuoto "Roma 2009").

Era incontestato che il Comune di Roma non aveva rilasciato il permesso di costruire i detti impianti; secondo il primo giudice, doveva essere respinta la tesi postulante la equipollenza del provvedimento autorizzatorio del Commissario delegato al (mai rilasciato) permesso a costruire del Comune di Roma e fondata sulla circostanza che il primo avrebbe dovuto tenere luogo di ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso delle Amministrazione invitate alla Conferenza di servizi prodromica, ai sensi dell’art. 14 ter della legge n. 241 del 1990.

Ciò perché in seno al citato stesso decreto n. 5140 del 27 marzo 2009 era data leggere l’affermazione per cui questo "sostituisce – a mente della menzionata norma – ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso, comunque denominato di competenza delle amministrazioni ed enti partecipanti ovvero invitati a partecipare alla conferenza, sempre in relazione alla conformità urbanistica delle opere".

Né l’art. 14 ter della legge n. 241 del 1990 né il tenore letterale del detto decreto potevano facultizzare gli interessati a fare a meno senz’altro del permesso a costruire per le opere portate in Conferenza di servizi.

L’espressione "sempre in relazione alla conformità urbanistica delle opere" impediva che l’assenso conseguito nella Conferenza di servizi potesse tenere luogo anche delle valutazioni di conformità urbanistica che dovevano essere svolte dal Comune.

Sotto altro profilo, la circostanza che l’odierna appellante avesse presentato una istanza ex art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 non obbligava alla sospensione del procedimento sanzionatorio in quanto finalizzato all’accertamento ex post della conformità dell’intervento edilizio realizzato senza preventivo titolo abilitativo agli strumenti urbanistici (violazione formale).

La società odierna appellante ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe ribadendo le censure già esposte nel secondo motivo del ricorso di primo grado ed in particolare sostenendo che (nella incontestata realizzazione delle opere ed effettiva fruizione delle stesse durante i mondiali di nuoti tenutisi a Roma) ai sensi dall’art. 5 bis comma 5 del d.l. 7 settembre 2001, n. 343 il provvedimento commissariale teneva luogo del permesso a costruire che non era pertanto richiesto.

L’appellata amministrazione comunale ha depositato una memoria chiedendo la reiezione dell’appello e facendo presente che la circostanza che l’odierna appellante aveva presentato una istanza ex art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 rendeva evidente che essa stessa era consapevole della carenza del prescritto titolo abilitativo.

Alla odierna camera di consiglio del 22 novembre 2011 la causa è stata posta in decisione.

Motivi della decisione

1. Stante la completezza del contraddittorio e la mancata opposizione delle parti rese edotte della possibilità di immediata definizione della causa la causa può essere decisa nel merito, tenuto conto della fondatezza dell’appello.

2. La – assorbente – questione devoluta all’esame del Collegio riposa nella ricomprensione -o meno- nel titolo abilitativo rilasciato dal commissario all’appellante società del permesso di costruire (titolo, quest’ultimo, il cui rilascio – secondo l’ordinario sistema di competenze – perteneva all’appellata amministrazione comunale di Roma).

3. Questa Sezione ha di recente esaminato analoga problematica e con la condivisibile decisione n. 5799/2011 resa alla pubblica udienza del 14 giugno 2011 è pervenuta alla conclusione affermativa.

4.La motivazione di detta condivisibile pronuncia deve intendersi integralmente richiamata e trascritta nella presente sentenza: in particolare, comunque il Collegio ritiene opportuno richiamare il principio ivi affermato secondo cui (si riporta di seguito testualmente un breve stralcio dell’impugnata decisione) "non vi è ragione, per ritenere non ricompresa tra le disposizioni derogabili anche quella relativa alla competenza al rilascio del titolo autorizzatorio edilizio, disposizione che, peraltro, appare la meno rilevante a fronte delle altre, di ben più profondo spessore (ed incidenza sul territorio) espressamente citate (e costituenti, appunto, le "principali" disposizioni derogabili, in ossequio all’art. 5, co. 5, l. n. 225/1992).

D’altra parte, diversamente opinando, appare del tutto irragionevole che si sia attribuito al Commissario il potere di derogare alla (ben più pregnante) disciplina del procedimento di rilascio del permesso di costruire (art. 20) o degli interventi subordinati a denuncia di inizio attività (art. 22), per confermare invece in capo al Comune il potere di formale rilascio del titolo autorizzatorio

Appare, inoltre, altrettanto irragionevole negare l’attribuzione al Commissario del potere di rilascio del permesso di costruire, laddove gli è stato invece attribuito il (ben più ampio) potere di derogare alla disciplina del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici che, ai sensi dell’art. 14, comma 1, riguarda non solo "edifici ed impianti pubblici", ma anche di "interesse pubblico".

Né può essere dimenticato come il permesso di costruire costituisca atto emanato in esercizio di potere vincolato. Ed allora – a fronte di un potere conferito al Commissario delegato di incidere su ogni aspetto del contesto urbanistico ed edilizio, ivi comprese la disciplina e la concreta gestione del procedimento volto al rilascio del medesimo titolo edilizio – occorrerebbe ritenere, con dubbia ragionevolezza, che l’unico potere non conferitogli sarebbe quello di derogare alla competenza al rilascio di un permesso di costruire, del quale ogni presupposto contenutistico è stato (da esso Commissario) anteriormente definito per il tramite dell’esercizio del potere in deroga.

In definitiva, l’unico potere non conferito sarebbe quello (meramente formale e totalmente vincolato) di rilascio del permesso di costruire, con ciò pervenendosi ad un risultato interpretativo in evidente difetto di ragionevolezza.

Che di tale natura sia l’approdo interpretativo non è sfuggito al I giudice, il quale ha non a caso richiamato l’esistenza di altri "plausibili argomenti ermeneutici", di altre "prospettazioni plausibili".

E poiché l’unico argomento utilizzato dalla sentenza appellata per non ricomprendere, tra le norme derogabili, l’art. 13 DPR n. 380/2001 è, in definitiva, riferito all’impedimento offerto dai limiti della "stretta interpretazione", una volta acclarata l’inesistenza di impedimenti derivanti dalla natura "eccezionale" della norma, non v’è alcuna ragione per non accedere ad una interpretazione ragionevole.".

5. Il Collegio condivide e fa proprio tale condivisibile arresto, dal quale non rinviene ragione di discostarsi, dal che discende la evidente fondatezza del gravame non ostando a tale conclusione la avvenuta presentazione da parte dell’appellante di una istanza di "regolarizzazione" ex art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, spiegando questa, all’evidenza, funzione cautelativa a fronte della contestatale situazione di irregolarità dei lavori.

6. Ne consegue l’accoglimento dell’appello e, in riforma della impugnata decisione, l’accoglimento del ricorso di primo grado ed il conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado.

7. Sussistono le condizioni di legge per compensare tra le parti le spese processuali sostenute.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, numero di registro generale 7738 del 2011 come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, riforma la impugnata decisione, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla i provvedimenti impugnati in primo grado.

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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