Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-10-2011) 04-11-2011, n. 40031 Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 14 ottobre 2010, la Corte d’Appello di Salerno confermava la sentenza con la quale, in data 12 giugno 2009, il Tribunale di Nocera Inferiore, in composizione monocratica, condannava D.I.E. per violazione della disciplina urbanistica, antisismica e sulle opere in conglomerato cementizio armato, relativamente alla realizzazione di un manufatto avente volumetria di mc 100,03 adibito ad ufficio.

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la nullità della sentenza impugnata per irregolarità della notifica del decreto di citazione per il giudizio d’appello, effettuata a mezzo posta con avviso di giacenza determinando l’assoluta incertezza, anche in considerazione del periodo nel quale la notifica venne effettuata (in prossimità del ferragosto), circa l’effettiva conoscenza dell’atto da parte dell’imputato.

Con un secondo motivo di ricorso rilevava che il giudici del gravame erano incorsi in errore non considerando la natura pertinenziale delle opere realizzate, che venivano utilizzate quale ufficio per la ricezione della clientela e non erano suscettibili di diversa utilizzazione.

Con un terzo motivo di ricorso rilevava che la Corte territoriale aveva omesso ogni motivazione in ordine alla richiesta di sospensione del processo in attesa del rilascio del permesso di costruire.

Con un quarto motivo di ricorso lamentava che i giudici del gravame non avevano accolto la richiesta di rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale, finalizzata all’escussione di due testimoni che avrebbero potuto indicare la data di effettiva esecuzione dei lavori e dimostrare, conseguentemente, l’intervenuta prescrizione dei reati contestati.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Va premesso che la Corte territoriale ha legittimamente richiamato, per relationem, la decisione del giudice di prime cure contenendo l’atto di gravame riferimento a questioni già oggetto di valutazione nel precedente giudizio.

Occorre poi osservare, con riferimento al primo motivo di ricorso, che lo stesso è sviluppato in maniera del tutto generica e non indica per quali ragioni la notifica, che risulta effettuata secondo le regole stabilite, non avrebbe raggiunto il suo scopo impedendo all’imputato di avere conoscenza della data di fissazione del giudizio di appello.

Ci si limita, infatti, ad osservare che la data di accertamento del mancato ritiro dell’atto dopo la comunicazione della giacenza avrebbe coinciso con il periodo del ferragosto, rendendone incerta la conoscenza.

Non viene però indicato alcun dato obiettivo e concreto dal quale desumere detta circostanza che, peraltro, risulta platealmente smentita dall’attività difensiva posta in essere nel successivo giudizio di appello.

Non si rileva, inoltre, dalla sentenza impugnata, che tale nullità sia stata dedotta dalla difesa nel corso del giudizio di secondo grado.

Va peraltro ricordato che, secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, la nullità assoluta ed insanabile della citazione dell’imputato, ai sensi dell’art. 179 c.p.p., si verifica soltanto quando la notificazione della citazione sia stata omessa o quando sia stata eseguita con modalità diverse da quelle stabilite, risultando così inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato, mentre tale nullità non ricorre quando risultino violate le regole circa la modalità di esecuzione della notifica, essendo in tali casi applicabile la sanatoria di cui all’art. 184 c.p.p. (Sez. 6 n. 34170, 26 agosto 2008).

Dunque non vi erano e non vi sono tuttora elementi significativi per rilevare nullità o mere irregolarità del decreto di citazione a giudizio.

Anche l’infondatezza del secondo motivo di ricorso risulta di macroscopica evidenza.

Occorre rammentare, infatti, che le caratteristiche peculiari della pertinenza urbanistica sono state più volte indicate, in vario modo, dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 3 n. 37257, 1 ottobre 2008 ed altre prec. conf.) e possono essere così sintetizzate:

deve trattarsi di un’opera che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato deve essere preordinata ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso deve essere sfornita di un autonomo valore di mercato non deve essere valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo (non superiore, in ogni caso, al 20% di quello dell’edificio principale) tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede la relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l’uso (carattere di strumentalità funzionale).

Nella fattispecie, la Corte territoriale ha esplicitamente dato atto dell’assenza di tali condizioni affermando che dal corredo fotografico e dall’istruzione dibattimentale era emerso che le opere in questione costituivano un ampliamento di un preesistente manufatto adibito ad opificio.

Trattavasi, in definitiva, di nuova costruzione che richiedeva il rilascio del permesso di costruire.

Ne consegue che, anche sotto tale profilo, la sentenza impugnata risulta del tutto immune da censure.

A conclusioni analoghe deve pervenirsi con riferimento al terzo motivo di ricorso, il cui contenuto pare peraltro in contraddizione rispetto a quello del precedente motivo, posto che, dopo aver rivendicato la natura pertinenziale dell’intervento che, come tale, non avrebbe richiesto il permesso di costruire, si lamenta la omessa sospensione del procedimento "…in attesa del rilascio del permesso di costruire, così come documentato dalla difesa" (il riferimento, del tutto generico, riguarda, evidentemente, un permesso in sanatoria).

L’art. 45, comma 1, TU edilizia stabilisce che, fino all’esaurimento dei procedimenti amministrativi di sanatoria, l’azione penale relativa alle violazioni edilizie rimane sospesa ma, in mancanza di una espressa previsione normativa, la giurisprudenza di questa Corte ha sempre escluso che dalla mancata sospensione da parte del giudice di merito possa derivare una qualsiasi nullità, anche in considerazione del fatto che non è configurabile, in tale ipotesi, un pregiudizio al diritto di difesa dell’imputato, il quale può far valere nei successivi gradi di giudizio l’esistenza o la sopravvenienza della causa estintiva (v., da ultimo, Sez. 3 n. 24245, 24 giugno 2010).

Va altresì rammentato che, in ogni caso, la sospensione opera per un termine massimo di sessanta giorni dalla data del deposito della domanda di sanatoria, corrispondente a quello fissato dalla legge per la definizione del procedimento e decorso il quale la domanda stessa si intende rigettata.

Anche sul punto appare pertanto del tutto legittimo il richiamo alla decisione di primo grado effettuata dalla Corte territoriale.

Peraltro nulla veniva evidenziato nell’atto di appello in merito alla sospensione del procedimento.

Infondato risulta, infine, anche il quarto ed ultimo motivo di ricorso.

La Corte d’Appello ha infatti correttamente applicato il disposto dell’art. 603 c.p.p. in ordine alla richiesta di parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.

La richiamata disposizione, infatti, consente tale possibilità al giudice dell’appello solo nel caso in cui ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti.

Si tratta, pertanto, di un’evenienza del tutto eccezionale poichè deve superare la presunzione di completezza dell’indagine probatoria del giudizio di primo grado, alla quale il giudice può ricorrere solo quando a ritenga necessaria ai fini della decisione (così Sez. 3 n. 24294, 25 giugno 2010).

Nella fattispecie i giudici del gravame hanno ritenuto, con accertamento in fatto immune da vizi logici e palesi contraddizioni e, come tale, non censurabile in questa sede di legittimità, che dalla documentazione fotografica risultava come le opere fossero ancora in fase di ultimazione alla data di accertamento.

Tale assunto non può essere confutato in considerazione della utilizzazione del manufatto, poichè una simile evenienza può verificarsi anche quando i lavori non siano completati, coincidendo l’ultimazione degli stessi, secondo costante giurisprudenza, con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni quali gli intonaci e gli infissi (cfr. Cass. Sez. 3 n. 32969, 7 settembre 2005 ed altre prec. conf. nella stessa richiamate).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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