Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-10-2011) 04-11-2011, n. 40030

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 5 luglio 2004, la Corte d’Appello di Palermo confermava la sentenza emessa in data 25 settembre 2002 dal Tribunale di Agrigento e con la quale M.S. era stato condannato per i reati di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. b), L. n. 1086 del 1971, artt. 1, 2, 4, 13 e 14, L. n. 64 del 1974, artt. 17 e 20 concernenti la realizzazione, in zona sismica, di un fabbricato in cemento armato sviluppantesi su tre piani, aventi ciascuno la superficie di mq 300.

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione, impugnando nel contempo anche l’ordinanza, emessa dalla Corte territoriale all’udienza del 5 luglio 2004, con la quale veniva revocata una precedente ordinanza che disponeva la sospensione del procedimento in pendenza di istanza di condono edilizio.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione della L. n. 326 del 2003, art. 32 e L. n. 47 del 1985, art. 31, nonchè il vizio di motivazione, rilevando che i giudici del gravame avrebbero dovuto mantenere la sospensione del procedimento quanto meno fino alla scadenza del termine per la presentazione della domanda di condono (31 dicembre 2004) e che avevano erroneamente ritenuto non ultimato l’immobile alla data dell’accertamento.

Osservava, a tale proposito, che prevedendo la legge la condonabilità degli interventi edilizi abusivi ultimati dentro il termine del 31 marzo 2003 ed essendo stato accertato l’abuso da lui commesso il 12 novembre 2001, nei sedici mesi intercorrenti tra le due date ben avrebbe potuto ultimare la tamponatura esterna, la cui assenza era posta a fondamento della revoca della sospensione, eventualmente anche autodenunciandosi per la violazione di sigilli.

Con un secondo motivo di ricorso rilevava la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando che la Corte territoriale, nel valutare le condizioni del fabbricato, non aveva considerato che il piano seminterrato risultava già tamponato alla data dell’accertamento e che, consistendo in una unità immobiliare autonoma strutturalmente e funzionalmente rispetto alla intera costruzione, andava quantomeno rispetto ad esso mantenuta la sospensione del procedimento.

Aggiungeva che la Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici 3357/25 del 30 luglio 1985 stabiliva che deve essere considerato ultimato il manufatto privo di tamponature quando è previsto che le stesse debbano essere eseguite in prefabbricato, cosicchè era necessario mantenere la sospensione del procedimento in attesa di una eventuale domanda di sanatoria dalla quale rilevare la prova che la tamponatura dell’immobile era avvenuta con le suddette modalità.

Con un terzo motivo di ricorso rilevava che la subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto abusivo non risultava adeguatamente motivata.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

In data 20 aprile 2005 venivano depositati motivi nuovi con i quali si deduceva un’ulteriore violazione di legge sul presupposto che la sospensione del procedimento non era stata disposta nonostante ricorressero i presupposti per l’applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 43, u.c., trattandosi di intervento non ultimato per effetto di provvedimento giurisdizionale (sequestro penale).

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.

Va preliminarmente osservato, quanto alla questione relativa alla sospensione del procedimento, che l’eventuale omissione, in assenza di specifiche previsioni di legge, non determina alcuna nullità come precisato dalla giurisprudenza di questa Sezione (Sez. 3 n. 3871, 3 febbraio 2011; n. 19235, 20 maggio 2005; n. 7847, 3 luglio 1998; n. 7021, 20 luglio 1995).

Si è chiarito, a tale proposito, che la sospensione del processo opera indipendentemente da una pronuncia del giudice, di natura meramente dichiarativa, sempre che sussistano i presupposti di legge.

Tale natura dichiarativa e non costitutiva della sospensione rende non necessario un formale provvedimento giudiziale che ne determini l’operatività, ben potendo questa essere accertata anche in sede di giudizio finale (Sez. 3 n. 6054, 14 maggio 1999).

Nella fattispecie in esame, peraltro, il ricorrente non ha subito alcun pregiudizio e non ha quindi alcun interesse a dedurre il vizio in questione, in quanto, preso atto della avvenuta presentazione dell’istanza di condono, questa Corte ha sospeso il procedimento.

Occorre poi rilevare, con riferimento alla istanza di condono edilizio, che dalla documentazione trasmessa dall’amministrazione comunale risulta, da comunicazione in data 28 gennaio 2011 a firma del responsabile del competente settore del Comune di Favara, che l’oblazione corrisposta per le opere realizzate deve ritenersi congrua, mentre nessuna indicazione viene fornita circa la sussistenza dei requisiti di condonabilità dell’intervento.

Ciò posto, occorre osservare che, in difetto di diverse indicazioni da parte dell’amministrazione comunale e dello stesso interessato, deve ritenersi che lo stato delle opere realizzate sia rimasto immutato dalla data dell’accertamento, come verificato in fatto dalla Corte territoriale.

Invero, tutte le argomentazioni sviluppate nei motivi di ricorso sono articolate in forma del tutto ipotetica riguardo allo stato delle opere, indicando possibili modalità di completamento future.

Ne consegue che le opere devono essere ritenute non condonabili e tale condizione rileva indipendentemente dal contenuto dell’ordinanza impugnata, stante la artificiosa suddivisione, nelle diverse domande di condono, dell’immobile abusivo il quale deve essere invece unitariamente considerato nella superficie e nella cubatura, che superano i limiti massimi di legge.

Quanto alla dedotta applicabilità, nella fattispecie, della L. n. 47 del 1985, art. 43, u.c., deve invece rilevarsi che il ricorrente non ha fornito, sul punto, alcuna indicazione circa l’effettiva attivazione della particolare procedura o, comunque, di un qualsiasi riferimento alla menzionata disposizione nella documentazione relativa alla domanda di condono.

Del tutto irrilevante appare, inoltre, il riferimento al contenuto di una circolare ministeriale.

Va ribadito, a tale proposito, quanto già affermato da questa Corte in ordine alla natura non vincolate delle circolari (Sez. 3 n. 19330, 17 maggio 2011) ed osservato come il completamento mediante pannelli prefabbricali – del tutto improbabile in un edificio di tre piani in cemento armato la cui tamponatura, nel piano seminterrato, risultava iniziata mediante conci in tufo – resta una mera ed indimostrata ipotesi.

Altrettanto immune da censure risulta la subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto abusivamente costruito.

Sul punto il ricorso si palesa del tutto generico e si limita a lamentare la insufficienza della motivazione.

In merito deve ricordarsi che è ormai pacificamente riconosciuta la possibilità, per il giudice penale, di subordinare l’applicazione della sospensione condizionale alla demolizione delle opere abusive.

Tale possibilità è stata confermata anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (SS. UU. n. 714, 3 febbraio 1997), le quali hanno ammesso la legittimità della sospensione condizionale subordinata alla demolizione che appare, peraltro, giustificata dalla circostanza che la presenza sul territorio di un manufatto abusivo rappresenta, indiscutibilmente, una conseguenza dannosa o pericolosa del reato, da eliminare (v. anche 3 n. 38071, 16 ottobre 2007).

La funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato giustificava pertanto la scelta dei giudici del gravame, i quali hanno chiaramente evidenziato, assolvendo così all’obbligo motivazionale, il negativo impatto sul tessuto urbanistico del fabbricato abusivo e la dimostrata volontà del ricorrente di non voler procedere alla sua eliminazione.

Va infine osservato che il termine massimo di prescrizione dei reati, accertati il 12 novembre 2001, alla data della sentenza impugnata non era maturato.

La inammissibilità del ricorso – infine – non consente il fermarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione del reato che venga eventualmente a scadere in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata ed alla presentazione dell’atto di gravame (S.U. n. 32, 21 dicembre 2000).

Alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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