Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-10-2011) 04-11-2011, n. 40029

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 25 giugno 1997, la Corte d’Appello di Napoli riformava parzialmente, rideterminando la pena inflitta, la sentenza con la quale, in data 3 aprile 1996, il Pretore di Ischia condannava D.C.S. e D.M.F. per i reati di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c), L. n. 1086 del 1971, artt. 2, 4, 13 e 14, L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies e art. 349 c.p. in relazione a lavori di realizzazione, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, di due manufatti al grezzo.

Avverso tale decisione i predetti proponevano ricorso per Cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deducevano l’intervenuta prescrizione dei reati, che ritenevano maturata anche tenendo conto del periodo di sospensione conseguente alla presentazione della domanda di condono edilizio.

Con un secondo motivo di ricorso lamentavano la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento alla affermazione di penale responsabilità della D.M. per il reato di violazione di sigilli, che i giudici del merito avevano riconosciuto sul solo presupposto del rapporto di coniugio con il D.C. e della sottoscrizione del verbale di sequestro dei manufatti.

Con un terzo motivo di ricorso rilevavano che la Corte aveva omesso ogni considerazione in ordine alla doglianza, mossa con l’atto di appello, circa la possibilità di inquadrare nella fattispecie di cui all’art. 350 c.p. i fatti concernenti la prosecuzione dei lavori dopo il sequestro penale.

Con un quarto motivo di ricorso deducevano la violazione dell’art. 81 c.p. in quanto, ai fini del calcolo della pena, la Corte d’Appello non aveva proceduto ad un unico aumento per la continuazione applicando invece detto aumento per ciascuna violazione.

Con un quinto motivo di ricorso lamentavano che la Corte territoriale non aveva proceduto alla sospensione del processo nonostante la presentazione della domanda di condono edilizio.

Insistevano, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Per le opere realizzate veniva presentata istanza di condono edilizio ai sensi della L. n. 724 del 1994.

Questa Corte disponeva la sospensione del procedimento e richiedeva informazioni all’amministrazione comunale competente.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.

Occorre preliminarmente osservare, con riferimento alla istanza di condono edilizio, che l’amministrazione comunale non ha fornito alcuna informazione in merito nè risulta in alcun modo dimostrato che il permesso in sanatoria sia stato rilasciato.

Trattandosi peraltro di opere abusive eseguite in zona vincolata, era comunque necessario il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, poichè il condono edilizio di cui alla L. n. 724 del 1994 non può essere concesso – per gli interventi realizzati in zona vincolata – in carenza di tale titolo abilitativo.

Per le opere abusive in zona sottoposta a vincolo paesistico l’effetto del condono si verifica, infatti, solo quando l’autorità preposta al vincolo, mediante una valutazione di compatibilità con le esigenze sostanziali di tutela, abbia ritenuto l’opera già eseguita suscettibile di conseguire l’autorizzazione in sanatoria.

La L. n. 724 del 1994, art. 39, comma 7, aveva modificato la formulazione originaria della L. n. 47 del 1985, art. 32, prevedendo che: "Per le opere eseguite su immobili soggetti alla L. 29 giugno 1939, n. 1497, e al D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1985, n. 431, relative ad ampliamento o tipologie d’abuso che non comportano aumento di superficie o di volume, il parere deve essere rilasciato entro centoventi giorni; trascorso tale termine il parere stesso si intende reso in senso favorevole".

Tale disposizione, però, fu abrogata dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2, comma 43, ed il successivo comma 44, detto art. previde che "il rilascio della concessione edilizia o dell’autorizzazione in sanatoria per opere eseguite su immobili soggetti alla L. 1 giugno 1939, n. 1089, L. 29 giugno 1939, n. 1497, ed al D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1985, n. 431, nonchè in relazione a vincoli imposti da leggi statali e regionali e dagli strumenti urbanistici, a tutela di interessi idrogeologici e delle falde idriche nonchè dei parchi e delle aree protette nazionali e regionali qualora istituiti prima dell’abuso, è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere non venga reso entro centottanta giorni dalla domanda il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto dell’amministrazione".

Nella fattispecie in esame non risulta rilasciato provvedimento sanante, nè è stato dimostrato che si sia formato silenzio-assenso in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. n. 662 del 1996 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 28-12-1996, n. 303, Supplemento ordinario).

Ciò posto, si rileva che, come osservato nel quinto motivo di ricorso, la presentazione della domanda di condono rendeva necessaria la sospensione del processo che il giudice del gravame non ha disposto.

Tale omissione, tuttavia, in assenza di specifiche previsioni di legge, non determina alcuna nullità come precisato dalla giurisprudenza di questa Sezione (Sez. 3 n. 3871, 3 febbraio 2011; n. 19235, 20 maggio 2005; n. 7847, 3 luglio 1998; n. 7021, 20 luglio 1995).

Si è chiarito, a tale proposito, che la sospensione del processo opera indipendentemente da una pronuncia del giudice, di natura meramente dichiarativa, sempre che sussistano i presupposti di legge.

Tale natura dichiarativa e non costitutiva della sospensione rende non necessario un formale provvedimento giudiziale che ne determini l’operatività, ben potendo questa essere accertata anche in sede di giudizio finale (Sez. 3 n. 6054, 14 maggio 1999).

Nella fattispecie in esame, peraltro, il ricorrente non ha subito alcun pregiudizio e non ha quindi alcun interesse a dedurre il vizio in questione, in quanto, preso atto della avvenuta presentazione dell’istanza di condono, questa Corte ha sospeso il procedimento.

Date tali premesse, deve rilevarsi come, tenuto conto della data di commissione dei reati, non può ritenersi maturata la prescrizione così come richiesto nel primo motivo di ricorso.

Invero la data di cessazione della condotta va individuata, come indicato dagli stessi ricorrenti, al 22 ottobre 1992 (quando venne accertata la prosecuzione dei lavori e la violazione dei sigilli) ma va calcolato anche il periodo di "sospensione automatica", che si protrae sino al termine ultimo per presentare la domanda di sanatoria, oltre al periodo ulteriore di cui alla L. n. 47 del 1985, artt. 38 e 44 e L. n. 724 del 1994, art. 39 (v. Sez. 3 n. 6054, 14 maggio 1999).

Corretta appare, inoltre, la affermazione di penale responsabilità della D.M. in ordine alla violazione di sigilli ed alle altre violazioni contravvenzionali, poichè è stata presa in considerazione dai giudici di merito la sussistenza di elementi fattuali certamente determinanti, quali la piena disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e l’interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (secondo principio del "cui prodest"), il rapporto di coniugio e la presenza "in loco" durante l’effettuazione dei lavori.

Palesemente infondato risulta anche il terzo motivo di ricorso, poichè sulla inapplicabilità dell’art. 350 c.p. alla condotta posta in essere dalla D.M. si era compiutamente pronunciato il giudice di prime cure, la cui motivazione è stata legittimamente richiamata dalla Corte d’Appello.

A conclusioni analoghe deve pervenirsi per quanto riguarda i criteri di determinazione della pena oggetto di contestazione nel quarto motivo di ricorso, poichè nessuna disposizione di legge impone al giudice di procedere, con riferimento al reato continuato, all’aumento della pena per i reati satelliti in termini unitari e complessivi ed, anzi, l’indicazione di detto aumento con riferimento a ciascuna delle violazioni consente una migliore comprensione dei calcoli eseguiti dal giudice. L’unico criterio imposto dalla legge, invero, è quello quantitativo stabilito dall’art. 81 c.p., comma 2.

La inammissibilità del ricorso – infine – non consente il fermarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione del reato che venga eventualmente a scadere in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata ed alla presentazione dell’atto di gravame (S.U. n. 32, 21 dicembre 2000).

Alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 1.86) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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