Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-10-2011) 04-11-2011, n. 40028

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 30 aprile 1996, la Corte d’Appello di Napoli riformava parzialmente, rideterminando la pena inflitta e dichiarando estinti per prescrizione i reati di cui alla L. n. 64 del 1974, artt. 1, 2 e 20 e art. 734 c.p., la sentenza con la quale, in data 28 ottobre 1993, il Pretore di Torre Annunziata condannava C. V. per i reati di cui a la L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c), L. n. 1086 del 1971, artt. 2, 4, 13 e 14, L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies e art. 349 c.p. in relazione a lavori di realizzazione, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, di una struttura in ferro su 12 pilastri con copertura in lamiere ondulate e massetto in cls su un’area di circa 400 mq, successivamente proseguiti nonostante un provvedimento di sequestro.

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione di legge, rilevando che i reati erano da ritenersi estinti in conseguenza del pagamento dell’oblazione prevista per il condono edilizio.

Aggiungeva che le opere erano conformi ad autorizzazione ottenuta a suo tempo dall’amministrazione comunale competente, che non vi era stata utilizzazione di cemento armato, che la disciplina di cui alla legge 431X85 era da ritenersi transitoria e non più applicabile in ragione dell’emanazione del D.M. n. 1412 del 1995 e che, in ogni caso, le stesse opere erano da ritenersi solo parzialmente difformi dalla concessione edilizia (n. 147/89) allegata agli atti.

Con un secondo motivo di ricorso lamentava che la Corte d’Appello avrebbe dovuto sospendere il processo in attesa del perfezionamento del procedimento amministrativo di sanatoria.

Con un terzo motivo di ricorso deduceva la violazione dell’art. 349 c.p., in quanto l’affermazione della sua penale responsabilità sul punto era stata affermata in maniera del tutto apodittica e senza alcuna individuazione della condotta concretamente posta in essere.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Per le opere realizzate veniva successivamente dichiarata la presentazione di istanza di condono edilizio ai sensi della L. n. 724 del 1994.

Questa Corte disponeva la sospensione del procedimento e richiedeva informazioni all’amministrazione comunale competente.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.

Occorre preliminarmente osservare, con riferimento alla istanza di condono edilizio, che dalla documentazione trasmessa dall’amministrazione comunale ( comunicazione in data 28 aprile 2009 a firma del responsabile del competente settore del Comune di Boscotrecase) emerge che, per i reati oggetto del presente procedimento, è stata emessa ordinanza sindacale di demolizione il 22 febbraio 1991 e che non risulta presentata alcuna domanda di condono edilizio, in quanto quella oggetto della richiesta di informazioni riguarda altra persona ed abusi edilizi diversi.

Ne consegue che per le opere di cui all’imputazione non è applicabile la disciplina di cui alla L. n. 724 del 1994.

Ciò premesso, occorre rilevare che il ricorso è estremante generico e si limita, per lo più, a riproporre a questa Corte questioni già sollevate innanzi alla Corte d’Appello e da questa ritenute infondate.

Invero, i giudici del gravame, con accertamenti in fatto scevri da vizi logici e palesi contraddizioni hanno fornito adeguata risposta a tutte le doglianze mosse con l’atto di impugnazione.

In disparte le questioni relative al condono edilizio, come detto non applicabile, va rilevato che la Corte territoriale correttamente ha ritenuto che le opere, per dimensioni e consistenza, fossero soggette a concessione edilizia e non a semplice autorizzazione, nè è dato comprendere, stante la laconicità dell’affermazione contenuta in ricorso, a cosa intenda riferirsi il ricorrente nel menzionare difformità ad una concessione edilizia che sarebbe agli atti, stante il precedente riferimento ad una autorizzazione quale titolo abilitativo ottenuto per i lavori in questione.

I giudici del gravame danno inoltre atto della violazione delle disposizioni in tema di costruzioni in cemento armato, la cui utilizzazione il ricorrente si limita a negare nonostante nella descrizione dei lavori, la cui consistenza e tipologia non è oggetto di specifica contestazione, la realizzazione di parti dell’edificio in cemento sia chiaramente indicata.

Parimenti corretta è l’applicazione, nella fattispecie, delle disposizioni di cui alla L. n. 431 del 1985.

Con il generico riferimento ad un "D.M. n. 1412 del 1995" il ricorrente sembra fare rifermento alla approvazione del piano paesistico da parte dell’amministrazione regionale (unico riferimento plausibile alla Gazzetta Ufficiale pure indicata in ricorso: n. 47 del 26 febbraio 1996) ed afferma che tale approvazione renderebbe inapplicabile la L. n. 431 del 1985.

Tale affermazione è, però, palesemente infondata.

Occorre infatti ricordare che la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, ha già avuto modo di osservare come l’adozione da parte delle Regioni dei piani paesistici o urbanistico- territoriali previsti dalla citata Legge, art. 1 bis, abbia fatto cessare il regime della inedificabilità e della immodificabilità assoluta del territorio, ma non venir meno il vincolo imposto ai sensi dell’art. 1, con la conseguenza che tutti gli interventi realizzati in zona vincolata restano soggetti alla previa autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (Sez. 3, n. 21406,31 maggio 2002).

Altrettanto generico ed infondato appare, inoltre, il terzo motivo di ricorso.

Sul punto la Corte territoriale, richiamando la deposizione di un teste, ha affermato che la violazione dei sigilli doveva ritenersi configurata avendo l’imputato proseguito i lavori dopo il sequestro.

Tale assunto appare corretto, atteso che il reato si perfeziona attraverso qualsiasi condotta idonea a violare il vincolo di immodificabilità apposto sulla cosa nell’interesse dell’amministrazione della giustizia.

La condotta posta in essere era, peraltro, compiutamente decritta al capo b dell’imputazione, ove si indica chiaramente che la prosecuzione dei lavori era consistita nella realizzazione di un muro di 50 centimetri di altezza lungo tutto il perimetro dell’area di 400 mq e di una grondaia in lamiera zincata.

Va infine osservato che il termine massimo di prescrizione dei reati, accertati il (OMISSIS), alla data della sentenza impugnata, considerati anche i periodi di sospensione, non era maturato.

La inammissibilità del ricorso – infine – non consente il fermarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione del reato che venga eventualmente a scadere in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata ed alla presentazione dell’atto di gravame (S.U. n. 32, 21 dicembre 2000).

Alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) -consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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