Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-10-2011) 04-11-2011, n. 40027

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 26 aprile 1994, la Corte d’Appello di Napoli riformava parzialmente, rideterminando la pena inflitta e dichiarando estinto per prescrizione il reato di cui alla L. n. 64 del 1974, artt. 1, 2 e 20, la sentenza con la quale, in data (OMISSIS), il Pretore di Ischia condannava R.F. per i reati di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c), artt. 2, 4, 13 e 14 L. n. 1086 del 1971, L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies in relazione a lavori di realizzazione, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, di una struttura in cemento armato con copertura latero – cementizia di mq 22 in luogo di una assentita tettoia.

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per Cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione delle L. n. 47 del 1985 e L. n. 431 del 1985, in quanto le opere realizzate erano conformi a quanto assentito con concessione edilizia senza alcuna limitazione di dimensioni e caratteristiche costruttive ed erano state erroneamente valutate dai giudici del gravame come autonomo organismo edilizio.

Con un secondo motivo di ricorso lamentava il difetto di motivazione in ordine alla dedotta eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio nella parte in cui faceva riferimento ad un vincolo del quale non venivano indicati gli estremi ed in ordine al quale erano comunque cessati gli effetti delle misure di salvaguardia imposte dalla L. n. 431 del 1985 a seguito dell’approvazione del P.T.P. da parte della regione. Aggiungeva che la rilevanza penale delle opere, con rilievo alla disciplina paesaggistica, era da escludersi anche in ragione della loro modesta entità.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Per le opere realizzate veniva successivamente presentata istanza di condono edilizio ai sensi della L. n. 724 del 1994.

Questa Corte disponeva la sospensione del procedimento e richiedeva informazioni all’amministrazione comunale competente.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.

Occorre preliminarmente osservare, con riferimento alla istanza di condono edilizio, che dalla documentazione trasmessa dall’amministrazione comunale risulta che per le opere in questione non risulta rilasciato alcun nulla osta paesaggistico.

Il condono edilizio di cui alla L. n. 724 del 1994 non può però essere concesso – per gli interventi realizzati in zona vincolata – in carenza della necessaria autorizzazione paesaggistica.

Per le opere abusive in zona sottoposta a vincolo paesistico l’effetto del condono si verifica, infetti, solo quando l’autorità preposta al vincolo, mediante una valutazione di compatibilità con le esigenze sostanziali di tutela, abbia ritenuto l’opera già eseguita suscettibile di conseguire l’autorizzazione in sanatoria.

La L. n. 724 del 1994, art. 39, comma 7, aveva modificato la formulazione originaria della L. n. 47 del 1985, art. 32, prevedendo che: "Per le opere eseguite su immobili soggetti alla L. 29 giugno 1939, n. 1497, e al D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1985, n. 431, relative ad ampliamento o tipologie d’abuso che non comportano aumento di superficie o di volume, il parere deve essere rilasciato entro centoventi giorni; trascorso tale termine il parere stesso si intende reso in senso favorevole".

Tale disposizione, però, fu abrogata dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2, comma 43, ed il successivo comma 44 di detto articolo previde che "il rilascio della concessione edilizia o dell’autorizzazione in sanatoria per opere eseguite su immobili soggetti alle L. 1 giugno 1939, n. 1089, L. 29 giugno 1939, n. 1497, ed al D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1985, n. 431, nonchè in relazione a vincoli imposti da leggi statali e regionali e dagli strumenti urbanistici, a tutela di interessi idrogeologia e delle falde idriche nonchè dei parchi e delle aree protette nazionali e regionali qualora istituiti prima dell’abuso, è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere non venga reso entro centottanta giorni dalla domanda il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto dell’amministrazione".

Nella fattispecie in esame non risulta rilasciato il provvedimento sanante, nè è stato dimostrato che si sia formato silenzio-assenso in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. n. 662 del 1996 (pubblicala nella Gazzetta Ufficiale 28-12-1996, n. 303, Supplemento ordinario).

Ciò premesso, occorre rilevare che il ricorso si limita, per lo più, a riproporre a questa Corte questioni già sollevate innanzi alla Corte d’Appello e da questa ritenute infondate, senza formulare alcuna specifica censura sulle motivazioni espresse dai giudici del gravame.

Tale circostanza, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (v. Sez. 2, n. 19951, 19 maggio 2008 con richiami alle decisioni precedenti), determina la mancanza di specificità dei motivi desumibile anche dalla mancanza di correlazione tra le argomentazioni poste a sostegno della decisione impugnata e quelle sulle quali si fonda l’impugnazione.

Invero, i giudici del gravame avevano fornito adeguata risposta a tutte le doglianze mosse con l’atto di impugnazione.

La Corte d’Appello aveva infatti rilevato, con accertamento in fatto del tutto immune da vizi logici e manifeste contraddizioni e, come tale, incensurabile in questa sede, che l’opera oggetto di contestazione non risultava autorizzata nè della stessa vi era traccia nella documentazione prodotta.

Rilevava, inoltre, che per superficie e caratteristiche costruttive la sua realizzazione richiedeva il preventivo rilascio della concessione edilizia.

Tale assunto appare giuridicamente corretto.

Occorre ricordare, a tale proposito, che anche sotto la vigenza della L. n. 47 del 1985 la giurisprudenza di questa Corte aveva ritenuto necessario il titolo concessorio per la realizzazione di tettoie, escludendone anche la natura pertinenziale (Sez. 3, n. 6925, 2 giugno 1999; n. 2533, 4 agosto 1995; n. 1108, 13 luglio 1992).

Parimenti corrette appaiono le considerazioni svolte dalla Corte territoriale in ordine al vincolo paesaggistico laddove afferma che la sua sussistenza ed il suo ambito di operatività erano ben noti all’imputato, il quale aveva richiesto "concessione in sanatoria, ai sensi della L. n. 431 del 1985, art. 1" e, conseguentemente, rigetta la eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio sollevata dalla difesa.

Invero, la conoscenza del vincolo da parte dell’imputato si rileva anche nella domanda di condono edilizio dallo stesso presentata, ove viene fatto esplicito riferimento ai vincoli esistenti nell’area interessata dall’intervento da sanare.

Palesemente infondata appare, inoltre, l’affermazione circa la sopravvenuta inefficacia delle disposizioni di cui alla L. n. 431 del 1985 dopo l’approvazione del P.T.P. da parte della regione.

Occorre infatti ricordare che la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, ha già avuto modo di osservare come l’adozione da parte delle Regioni dei piani paesistici o urbanistico- territoriali, previsti dall’art. 1 bis della Legge menzionata, abbia fatto cessare il regime della inedificabilità e della immodificabilità assoluta del territorio ma non venir meno il vincolo imposto ai sensi dell’art. 1, con la conseguenza che tutti gli interventi realizzati in zona vincolata restano soggetti alla previa autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (Sez. 3, n. 21406,31 maggio 2002).

Va infine osservato che il termine massimo di prescrizione dei reati, accertati il (OMISSIS), alla data della sentenza impugnata, considerati anche i periodi di sospensione, non era maturato.

La inammissibilità del ricorso – infine – non consente il fermarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione del reato che venga eventualmente a scadere in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata ed alla presentazione dell’atto di gravame (S.U. n. 32, 21 dicembre 2000).

Alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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