Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-10-2011) 04-11-2011, n. 40021

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza in data 17.9.2004 il GUP del Tribunale di Napoli, all’esito del giudizio abbreviato, assolveva T.C. dai reati di cui all’art. 609 bis c.p., ascritti ai capi a) e b), per non aver commesso il fatto.

Premetteva il GUP che la vicenda processuale traeva origine dalla denuncia presentata in data 24.9.2002 da N.C., la quale riferiva di essere stata vittima di due episodi di violenza sessuale (il primo nella notte tra il (OMISSIS) ed il secondo nella notte tra il (OMISSIS)): due giovani sconosciuti l’avevano attesa all’interno del palazzo dove abitava ed avevano tentato di violentarla. Sentita nuovamente, in data 26 settembre 2002, la N. riferiva che autore del secondo episodio era T.C., con il quale aveva avuto una breve relazione, mentre in relazione al primo episodio uno degli autori dell’aggressione sessuale aveva una forte rassomiglianza con il medesimo T.. Anche in sede di incidente probatorio la p.o. affermava, in relazione al primo episodio, di non aver riconosciuto con certezza il T., mentre per il secondo episodio era sicura del riconoscimento; aggiungeva di non aver fatto immediatamente il nome del predetto per paura di ritorsioni.

Tanto premesso, pur non dubitandosi della sussistenza degli episodi di violenza sessuale, riteneva il GUP che non vi fosse la prova certa della riferibilità degli stessi all’imputato, in quanto, in ordine al primo, la stessa persona offesa non aveva riconosciuto il T. e, per il secondo, l’imputato aveva fornito un alibi confortato da testi e dalla documentazione prodotta (risultava che aveva noleggiato un’auto per recarsi a (OMISSIS), dove aveva pernottato).

A seguito di impugnazione del P.M., la Corte di Appello di Napoli, in data 13.1.2010, in riforma della sentenza del GUP, dichiarava il T. colpevole dei reati ascrittigli, unificati sotto il vincolo della continuazione, e, con la diminuente per la scelta del rito, lo condannava alla pena di anni 4 e mesi 4 di reclusione.

Rilevava la Corte che la p.o. aveva finito per indicare, in modo assolutamente certo, nel T. l’autore di entrambi gli episodi, precisando, già nella denuncia sporta il 26 settembre, che inizialmente (nella denuncia del 24 settembre) non aveva fatto il nome del medesimo per paura di ritorsioni, ed aveva proceduto, poi, ad individuazione di persona ed a ricognizione personale. Nè vi era possibilità di errore, conoscendo la p.o. bene l’imputato, con il quale aveva avuto una relazione. Peraltro, nella immediatezza, la N. aveva indicato ai suoi amici, sentiti come testi, il nome dell’aggressore.

Quanto ai testi addotti dall’imputato, essi erano stati assolutamente incerti e vaghi in relazione al primo episodio e pretestuosi e strumentali in relazione al secondo (il viaggio a (OMISSIS) con l’auto presa a noleggio era smentito dal numero di chilometri percorsi (ben 2277).

2) Propone ricorso per cassazione T.C., a mezzo del difensore, denunciando la contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine alla affidabilità delle dichiarazioni della parte offesa ed alla falsità dell’alibi (vizio emergente dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti del processo). I Giudici di appello hanno aggirato il problema dell’affidabilità delle dichiarazioni della parte offesa, introducendo una pretestuosa causale di risentimento riconducibile all’imputato (al contrario il Gip in sede cautelare ed il GUP in sentenza avevano ritenuto che il risentimento era riferibile alla parte offesa e perciò le sue dichiarazioni andavano apprezzate con estrema prudenza). La stessa parte offesa non aveva mai riferito che l’imputato nutrisse rancore nei suoi confronti; non si comprende quindi da quale elemento probatorio la Corte territoriale abbia tratto il suo convincimento (risulta piuttosto che non vi era stato alcun litigio al termine della relazione e che anzi i due avevano continuato a vedersi). La relazione era terminata perchè la N. aveva constatato che il prevenuto non lasciava la fidanzata; di qui la sua frustrazione e delusione. E’ assolutamente illogico, allora, ritenere, senza peraltro il conforto di precise circostanze fattuali, che fosse l’imputato ad avere motivi di risentimento.

Le incertezze e la mancanza di costanza nelle dichiarazioni della parte offesa in relazione al primo episodio vengono superate con una motivazione apodittica. E’ un dato certo che la N. non riconobbe l’aggressore, ma che intravide una fisionomia che la portò ad esprimere un giudizio di mera somiglianza. Contrasta con la logica la motivazione della Corte che attribuisce l’incertezza sulla identificazione allo shok subito, dal momento che la stessa Corte assume che la parte offesa aveva descritto, con lucidità, i particolari degli abusi sessuali subiti.

Quanto poi al timore di ritorsioni, non ha tenuto conto la Corte che ad esso faceva riferimento la p.o., in sede di incidente probatorio, solo a seguito di contestazione del P.M. e che, come emergeva dal verbale, il GIP aveva insistito sul punto ritenendo non plausibile che tale timore fosse svanito nel giro di 48 ore. Nè è credibile la giustificazione addotta dalla N. che assumeva di essersi decisa a fare il nome parlando con le amiche, dal momento che costoro, sentite come testi, avevano affermato di non aver appreso tale nome (la N. assumeva di non conoscere i suoi aggressori). I riscontri, poi, di cui parla la Corte territoriale, riguardano il fatto oggettivo dell’abuso sessuale non la riferibilità dello stesso al ricorrente. Pur avendo la N. riferito solo che l’individuo aveva la fisionomia del T., i Giudici di appello hanno dato rilevanza ad una mera successiva convinzione della p.o., svalutando la incertezza del riconoscimento.

La motivazione in ordine all’alibi dell’imputato è contraddittoria ed illogica, quanto al primo episodio (entrambi i testi avevano affermato di essere stati ininterottamente in compagnia dell’imputato fino alle ore 01,30-2,00 del (OMISSIS), per cui non può sostenersi che il predetto aveva avuto la possibilità di allontanarsi) ed incomprensibile ed illogica quanto al secondo episodio (la ragione della inattendibilità dei testi deriva unicamente dal numero dei chilometri percorsi; non tenendosi conto peraltro che la distanza tra (OMISSIS) è di 700 e non 600 Km e che, secondo i testi, il viaggio comprendeva anche altre tappe). In contrasto con tutte le risultanze processuali ed in particolare con la stessa testimonianza della parte offesa (secondo la quale il rientro nella sua abitazione avvenne proprio la sera tra il (OMISSIS) senza che nessuno, tranne la sua amica che l’aveva ospitata dopo la prima violenza, ne fosse a conoscenza) i Giudici di appello arrivano ad ipotizzare una sorta di programmato (falso) viaggio per precostituirsi un alibi. La ritenuta falsità dell’alibi non è, quindi, sorretta da alcun supporto logico o fattuale.

3) Il ricorso è fondato.

3.1) E’ assolutamente pacifico, a partire dalla decisione delle sezioni unite di questa Corte del 12.7.2005 n.33748, che la sentenza di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (in tal senso si è espressa la giurisprudenza successiva; cfr. ex multis Cass. sez.2 n.746 dell’11.11.2005; n.6221 del 2006 Rv, 233083). Anche più di recente è stato ribadito che "La sentenza di appello, che riforma integralmente la sentenza assolutoria di primo grado, deve confutare specificamente, per non incorrere nel vizio di motivazione, le ragioni poste a sostegno della decisione riformata, dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli elementi più rilevanti ivi contenuti anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati".

(Cass.sez.5 n.42033 del 17.10.2008).

3.1.1) Il GUP aveva mandato assolto l’imputato, ritenendo che, in relazione al primo episodio, era la stessa parte offesa a non riconoscere, con certezza, nell’aggressore il T., essendosi limitata ad affermare, sia nelle dichiarazioni rese nell’immediatezza alla p.g. che in sede di incidente probatorio, che l’individuo aveva una forte rassomiglianza con l’imputato. La Corte territoriale perviene a conclusioni opposte con motivazione apodittica, assumendo che, invece, la N. aveva finito per riconoscere nel T., anche in relazione al primo episodio, l’autore della violenza ("Va evidenziato poi come la N. abbia finito con l’assegnare all’imputato senza ombra di dubbio entrambi gli episodi", pag.8 sent.). Stante il "ribaltamento" completo delle valutazioni del GUP in relazione al contenuto delle dichiarazioni della persona offesa, era onere della Corte indicare, innanzitutto, da quali parti della deposizione si evincesse la certezza di siffatto riconoscimento e, soprattutto, spiegare il motivo per cui il GUP aveva, invece, travisato le emergenze istruttorie.

La motivazione è, peraltro, illogica nella parte in cui cerca di dare una spiegazione alle iniziali incertezze. Assume, infatti, la Corte, riportando i rilievi dell’appellante P.M., che tale iniziale incertezza era stata originata dallo shok subito a seguito della prima aggressione e che era stata superata dalla successiva elaborazione. Omette, però, di considerare, come fa rilevare il ricorrente, che la persona offesa era stata lucida nel riferire in sede di denuncia i particolari dell’aggressione, evitando però di indicare l’identità dell’aggressore, pur conoscendo bene il T. con il quale aveva avuto una relazione. Neppure uno shok violento avrebbe, pertanto, potuto determinare perplessità nel riconoscimento di una persona "conosciuta", che non risultava, secondo lo stesso racconto della N., travisata e che essa aveva avuto modo di vedere in viso. Ancor più illogico e contraddittorio è l’iter argomentativo nel punto in cui si introduce, sostanzialmente, una diversa spiegazione della iniziale incertezza nel riconoscimento ("…specificando che in quella presentata il 24.9.2002 aveva omesso di palesare il nome del suo aggressore, perchè fortemente impaurita da una sua eventuale reazione e ritorsione, avendo saputo che questi apparteneva ad una famiglia malavitosa della zona dei quartieri spagnoli.." (pag.8 sent.).

E’ palese la fragilità di tale argomentare sol che si consideri che la N. conosceva da tempo il T. e non poteva quindi improvvisamente scoprirne le "appartenenze", ma soprattutto perchè i timori iniziali erano svaniti, improvvisamente, nel giro di pochi giorni. La N. cioè, secondo l’assunto dei giudici di merito, avrebbe inizialmente (nella denuncia del 24.9.2002) taciuto l’identità dell’aggressore, decidendosi, però a fare il nome dopo appena due giorni (nella denuncia del 26.9.2002), nonostante le informazioni ricevute sul T. e nonostante che questi l’avesse minacciata, incontrandola per strada (cfr. sent.pag. 7). Una spiegazione logica a tale mutato atteggiamento non viene data.

Il GUP, nella sua pronuncia assolutoria, aveva evidenziato già che la N., secondo quanto emergeva dalle sue stesse dichiarazioni, aveva avuto con il T. una relazione sentimentale "interrotta a causa del fidanzamento del T. con un’altra ragazza", senza far discendere da tale circostanza di fatto alcun collegamento, in positivo o in negativo, con gli episodi violenti contestati.

E’ la Corte territoriale, quindi, ad ipotizzare una causale di risentimento, assumendo che fu la N. a pretendere la interruzione della relazione, avendo appreso che il partner continuava a vedere la sua ragazza e che tale epilogo non fu "affatto conveniente per il T., sia in ragione della procurata incrinatura alla sua immagine, che le conseguenze in negativo sul piano strettamente sessuale….". A prescindere dal fatto che non vengono indicate le circostanze fattuali da cui viene desunta siffatta causale, ancora una volta la Corte non spiega, con motivazione adeguata, in che cosa consistesse la incrinatura della immagine e quali fossero le conseguenze negative sul piano sessuale (anche alla luce delle deduzioni del ricorrente, secondo cui dopo la interruzione della relazione i due avevano continuato a vedersi, avendo anche rapporti sessuali) e, soprattutto, perchè dovesse essere il T., e non viceversa, a provare risentimento. La Corte liquida l’ipotesi alternativa perchè "si appalesa come un rimedio rispondente ad esigenze meramente difensive..". Illogica e contraddittoria è, infine, la motivazione della sentenza impugnata in ordine all’alibi fornito dall’imputato. In relazione al reato di cui al capo a) la Corte, richiamando le riserve formulate dai Giudici del riesame sulla attendibilità dei testi D. e D’., in modo confuso e generico fa riferimento ad una sorta di compatibilità degli orari, senza neppure prendere in considerazione l’effettivo contenuto delle testimonianze. In ordine al reato di cui al capo b), dopo aver affermato che il primo giudice, nel conferire la patente di attendibilità alle dichiarazioni dei testi D., D’. e P., è indubbiamente "incorso in un errore di valutazione", ha ritenuto la falsità dell’alibi, sostanzialmente, sulla base del numero di chilometri percorsi (non corrispondenti al viaggio di andata e ritorno tra (OMISSIS)). La stessa Corte territoriale ha dato atto della effettività del noleggio dell’auto da parte del T., essendo pienamente attendibile la testimonianza del L.M.C. (confortata peraltro da prova documentale). Ha, però, ritenuto, avendo l’auto percorso circa 1000 chilometri in più, che il ritiro del veicolo da parte del T. "..(scaltramente dotato di una borsa da viaggio) sia stato artatamente armonizzato onde procacciarsi un alibi..".

Ipotizza, cioè, la Corte di merito che il T. abbia noleggiato l’auto (facendo ricorso anche alla messa in scena della borsa da viaggio) per consegnarla ad altri, al solo scopo di precostituirsi un alibi per la già programmata violenza in danno della N.. A sostegno di una simile ipotesi ben diverso avrebbe dovuto essere l’impegno argomentativo al fine di escludere l’effettività del viaggio e che esso potesse comprendere anche altre tappe; anche alla luce delle deduzioni del ricorrente, secondo cui era difficile programmare la seconda aggressione, dal momento che, dopo il primo episodio di violenza, la N. si era trasferita a casa di un’amica e del rientro nella sua abitazione, quella sera, non era a conoscenza alcuno.

La sentenza impugnata va, pertanto, annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli. I Giudici del rinvio, pur potendo pervenire alle medesime conclusioni della sentenza annullata, motiveranno adeguatamente tenendo conto dei principi e dei rilievi in precedenza indicati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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