Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 12-10-2011) 04-11-2011, n. 39801

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 27 dicembre 2010 il Tribunale di Catania, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., respingeva la richiesta di riesame avanzata da R.G. e, per l’effetto, confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti il 23 novembre 2010 dal gip del Tribunale di Siracusa in relazione ai seguenti delitti:

– tentato omicidio di L.G., commesso in (OMISSIS) (capo j);

– tentato omicidio commesso il (OMISSIS) in danno di B. A. (capo b);

– omicidio di R.T.R., consumato in (OMISSIS) (capo c);

– omicidio di C.G., realizzato in (OMISSIS) (capo d);

– omicidio dei coniugi S.T. e tentato omicidio della loro figlia, T.K., posto in essere in (OMISSIS) (capo e);

– tentato omicidio di F.A., consumato il (OMISSIS) (capo f);

– omicidio di S.G., commesso in (OMISSIS) (capo h);

– detenzione e porto illegale continuato di armi comuni da sparo (capi g, i, k).

2. Ad avviso del Tribunale gravi indizi di colpevolezza nei confronti dell’indagato in relazione ai delitti a lui contestati erano costituiti dai seguenti elementi.

Gli accertamenti svolti dai Carabinieri (cfr. relazione balistica dell’1 aprile 2009) sul bossolo cal. 12 marca Winchester, rinvenuto sul luogo in cui si era verificato il tentato omicidio di G. L. si accingeva ad accedere ad un terreno di sua proprietà, consentivano di stabilire che l’impronta battuta dal percussore del fucile semiautomatico era perfettamente coincidente con quella lasciata dal fucile con cui erano stati esplosi i colpi contro i coniugi S.T., nonchè contro B.A., R. R.T., C.G., F.A., G. S..

La perquisizione domiciliare effettuata l’1 aprile 2009 presso l’abitazione e il garage in disponibilità di R. portava al rinvenimento e sequestro, all’interno di una scatola di chiodi – e, quindi, in un luogo diverso rispetto a quello in cui erano trovate armi, munizioni ed altri oggetti, tra cui alcuni passamontagna -, di una cartuccia cal. 12 marca "Winchester" che, sottoposta ad accertamenti balistici, risultava essere stata inserita e percossa, sebbene in modo incompleto, all’interno della medesima arma utilizzata per esplodere il bossolo rinvenuto nel luogo del tentato omicidio ai danni di L.G. (cfr. relazione tecnica del 9 aprile 2009).

Da ulteriori accertamenti balistici effettuati su due cartucce cal.

12 (una marca "Browning" di colore nero, riportante la scritta 7 e mezzo "Podium Trap" mm, e l’altra marca "Fiocchi" di colore arancione, recante la scritta 5 "Nik-RCI"), oggetto di sequestro da parte dei Carabinieri il 27 dicembre 2000 (cfr. relazione di servizio in pari data), emergeva che la cartuccia cal. 12 marca "Fiocchi" con superficie cilindrica di materiale plastico di colore arancione era stata inserita all’interno della stessa arma utilizzata per esplodere il bossolo repertato sul luogo del tentato omicidio di G. L.. Tali accertamenti non erano in alcun modo confutati, ad avviso del Tribunale, dalle considerazioni svolte dal consulente di parte che, oltre ad avere esaminato soltanto i rilievi fotografici dei reperti, si era limitato a sollevare dubbi discendenti dall’insufficienza qualitativa dell’impronta di percussione. Ad avviso del Tribunale, le risultanze delle indagini balistiche non erano neppure sminuite dalla mancanza di un’indagine preventiva sulla cd. "identità di classe dell’arma" o, ancora, dall’assenza di ulteriori elementi di indagine necessari ai fini della formulazione di un giudizio certo di equiprovenienza.

L’esame dettagliato delle circostanze di fatto riferibili ai singoli fatti delittuosi evidenziava il medesimo modus operandi (appostamento al buio dell’autore sì da cogliere di sorpresa la vittima nei cui confronti veniva predisposto un ostacolo-trabocchetto sul suo cammino), un movente legato a questioni di denaro e l’esistenza di contrasti tra le parti offese e le vittime delle varie azioni, da un lato, e l’indagato dall’altro. A tale proposito venivano esaminate criticamente le dichiarazioni acquisite.

L.G. riferiva di essersi rifiutato di pagare a R., dopo la morte del suocero di quest’ultimo, un canone mensile, avendo fatto sul terreno lavori per alcune migliaia di Euro, e di avere avuto discussioni con R. anche per questioni relative al pagamento di alcune bollette dell’energia elettrica.

B.A. affermava di essere rimasto debitore nei confronti di R. per lavori di espianto di alberi e per l’utilizzazione di una pala meccanica di proprietà di R.. T.S. riferiva circostanze analoghe.

T.S. e il padre, il fratello e la moglie di R. T.R. concordemente riferivano della discussione avuta da R. con la vittima che era debitrice nei suoi confronti per alcuni lavori fatti dall’indagato.

I familiari di C.G. evidenziavano che il loro congiunto aveva avuto rapporti di lavoro con R. ed era rimasto debitore nei suoi confronti di mille Euro a causa dell’estirpazione di alcuni alberi eseguita da R. nel suo interesse. La sorella di C. aggiungeva che, un anno prima dell’omicidio, R. si era appostato al buio nei pressi dell’abitazione del fratello ed aveva sollecitato il pagamento di un credito di lavoro non ancora onorato dalla vittima, che lo aveva pregato di pazientare.

T.S. riferiva, a sua volta, dell’esistenza di plurime ragioni di contrasto tra i familiari e l’indagato a causa della rottura della relazione sentimentale in passato intercorsa tra il fratello Sebastiano e la figlia di R., nonchè di contrasti per ragioni di vicinato, sfociati anche nell’avvelenamento di un cane di proprietà dei T..

F.A. rappresentava di avere avuto un diverbio con R. per questioni legate a forniture di legna e, a fronte degli inadempimenti di R., di avere soprasseduto nei pagamenti, dando così luogo a solleciti di pagamento da parte della moglie dell’indagato e ad accessi quotidiani di quest’ultimo nei pressi della sua abitazione. La F. aveva sollecitato indagini private ad un amico di vecchia data S.G., al fine di capire se l’azione di danneggiamento dell’auto, da lei subita prima del tentato omicidio, fosse da ricondurre ad ambienti della criminalità organizzata e S. le aveva comunicato che il gesto non proveniva da tali ambienti.

Le dichiarazioni in precedenza sintetizzate trovavano, ad avviso del Tribunale, ulteriore elemento di conforto nel contenuto delle intercettazioni telefoniche, evidenzianti la disponibilità di rilevanti somme di denaro da parte dell’indagato – come del resto comprovato dall’esito della perquisizione domiciliare nel corso della quale veniva sequestrata la somma in contanti di ventimila Euro – e la mancanza di conoscenza di tali disponibilità economiche da parte dei familiari di R..

In tale articolato contesto il Tribunale argomentava che la gravità del quadro indiziario non era inficiata dalle indagini svolte dalla difesa, in quanto: a) il manoscritto a firma apparente di R. T.R. che indicava i nominativi di terze persone quali potenziali autrici di azioni in suo danno, era apocrifo; b) le versioni fornite da due collaboratori di giustizia ( C.N. e D.P.C.) circa l’identità dei responsabili dell’omicidio di C.G., oltre ad essere de relato, erano fra loro configgenti; c) le dichiarazioni rese da M. e D.G.S. e C.S. non fornivano un valido alibi all’indagato, in quanto riferite alle condotte della vittima antecedenti all’orario (ore 22) di consumazione dell’omicidio in danno dei coniugi T.- S. e al tentato omicidio in danno della loro figlia.

Le esigenze cautelari veniva ravvisate sotto il profilo dell’art. 274 c.p.p., lett. c), avuto riguardo alla estrema gravità dei fatti, all’elevato numero dei reati commessi, alle loro specifiche modalità di realizzazione, al movente sotteso alle azioni.

3. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, l’indagato, il quale lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art. 273 c.p.p., violazione dei canoni di valutazione probatoria, mancanza e illogicità della motivazione, tenuto conto dell’assenza del quadro di gravità indiziaria, in mancanza di: a) elementi obiettivamente indicativi della presenza dell’indagato sul luogo di commissione dei singoli delitti; b) un valido movente per ciascuno di essi; c) comprovati rapporti tra l’indagato e alcune delle vittime (vedi i coniugi T. S. e la loro figlia, nonchè S.G.); d) un effettivo rinvenimento dell’arma utilizzata per la consumazione delle azioni criminose; e)un’effettiva certezza della corrispondenza tra la cartuccia rinvenuta nel 2000 in corso di perquisizione e quella successivamente esaminata a fini di comparazione; f) una reale attendibilità degli accertamenti balistici svolti. Denuncia, inoltre, l’assenza di un’argomentata svalutazione degli elementi (consulenza di parte, dichiarazioni assunte ex art. 391 bis c.p.p.) addotti dalla difesa.

Osserva, poi, che il ritrovamento dei ventimila Euro in contanti non è un dato significativo, avuto riguardo alla cultura contadina dell’indagato e alla mancanza da parte sua della titolarità di conti correnti o altre forme di deposito bancario.

Denuncia, infine, erronea applicazione dell’art. 274 c.p.p. e vizio della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari che ben avrebbero potuto essere assicurate con una misura meno afflittiva anche in considerazione dell’età avanzata del ricorrente (anni settanta) e del suo modesto livello culturale.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

1. Con riferimento ai primi tre motivi di ricorso il Collegio osserva che il Tribunale ha attentamente analizzato, con motivazione esauriente ed immune da vizi logici e giuridici, le risultanze probatorie disponibili e ha desunto la gravità degli indizi di colpevolezza in ordine ai delitti contestati al ricorrente dai seguenti elementi: a) accertamenti balistici svolti dai Carabinieri sul bossolo rinvenuto nel luogo del tentato omicidio in danno di L.G., evidenzianti significative coincidenze con i colpi esplosi contro i coniugi T.S., contro B.A., R.T.R., C.G., F.A., S.G.; b) esito della perquisizione eseguita l’1 aprile 2009 nei luoghi in disponibilità dell’indagato che consentivano di rinvenire, tra l’altro, una cartuccia cal. 12 che, sulla base delle indagini balistiche svolte, risultava essere stata inserita e percossa, sia pure in modo incompleto, dalla medesima arma usata per esplodere il bossolo sequestrato sul luogo del tentato omicidio di L.G.; c) accertamenti balistici esperiti su altre due cartucce rinvenute, il 27 dicembre 2000, dai Carabinieri, in possesso di R., dimostrativi del fatto che la cartuccia cal. 12 marca "Fiocchi" era stata inserita all’interno della stessa arma usata per esplodere il bossolo rinvenuto sul luogo del tentato omicidio di L.G.; d) contenuto delle intercettazioni telefoniche ritualmente disposte; e) dichiarazioni rese da L.G., B.A., T.S., S.T., A. F., nonchè dai familiari di R.T.R., C.G.; f) rinvenimento di consistenti somme di denaro in possesso dell’indagato.

I giudici, sulla base di un’analitica e diffusa valutazione delle suddette emergenze processuali e delle circostanze di fatto (in quanto tali insindacabili in sede di legittimità), hanno evidenziato la riconducibilità a R. delle singole azioni criminose, tenuto conto anche delle loro analogie e del movente sotteso a ciascuna di esse. Hanno, altresì spiegato, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, le ragioni per le quali la gravità del quadro indiziario non è minimamente scalfita dalle prospettazioni difensive fondate anche sull’esito delle indagini svolte dalla parte ricorrente.

Orbene, lo sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una coerente analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, nel senso che questi sono stati reputati conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità di R. in ordine ai delitti a lui contestati.

Di talchè, considerato che la valutazione compiuta dal Tribunale verte sul grado di inferenza degli indizi e, quindi, sull’attitudine più o meno dimostrativa degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza anche se non di certezza, deve porsi in risalto che la motivazione dell’ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

Nè, d’altra parte, possono trovare ingresso in questa sede le argomentazioni svolte dal ricorrente, volte a fornire una ricostruzione alternativa dei fatti, non consentita nel giudizio di legittimità in presenza di un’argomentazione correttamente e logicamente sviluppata, come quella contenuta nell’ordinanza impugnata.

2. Manifestamente priva di pregio è anche la doglianza riguardante le esigenze cautelari, la cui sussistenza, sotto il profilo dell’art. 274 c.p.p., lett. c) è stata correttamente illustrata, richiamando la qualità e la natura dei reati commessi, il loro numero elevato, l’intensità del dolo sotteso a ciascuno dei comportamenti criminosi, i motivi sottesi i diversi reati, riconducibili a questioni relative al pagamento di somme di denaro anche irrisorie.

Il provvedimento impugnato è anche esente da censure nella parte in cui osserva che l’elevata pericolosità sociale dimostrata dall’indagato, quale desumibile dall’elevato numero dei gravi fatti di sangue a lui riconducibili e dalle ragioni ad essi sottesi, non può essere adeguatamente contenuto mediante l’adozione di una misura diversa dalla custodia cautelare in carcere.

In conclusione, risultando manifestamente infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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