T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 06-12-2011, n. 9592

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

CONSIDERATO

che con il ricorso in esame i ricorrenti hanno impugnato la deliberazione n.13 del 27.7.2011 (pubblicata nell’Albo Pretorio in data 8.8.2011) del Consiglio Comunale di Valentano, con cui è stata disposta la revoca delle deliberazioni n.48 del 26.11.2010 e n.57 del 21.12.2010, con le quali era stato adottato il PUGC del predetto Comune;

CONSIDERATO

che con il primo mezzo di gravame i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 21 quinquies della L. n.241 del 1990, nonché degli artt.64 e 65 del vigente Regolamento per il funzionamento del Consiglio Comunale di Valentano, nonché eccesso di potere per difetto di motivazione, deducendo che la revoca in questione è illegittima in quanto: a) priva di sufficiente e congrua motivazione; b) assunta in mancanza di uno specifico interesse pubblico (al ritiro dell’atto);

che con il secondo mezzo di gravame i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell’art.78 del D.lgs. n.267 del 2000, nonché dell’art.30 del Regolamento per il funzionamento del Consiglio Comunale di Valentano, deducendo che la delibera impugnata è nulla perché assunta con il voto di consiglieri che si trovavano in conflitto d’interesse;

che con il terzo motivo di gravame i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt.49, comma 1 e 151, comma 4, del D.Dlg. n.267/2000, nonché dell’art.8, comma 6, dello Statuto del Comune di Valentano, deducendo che la deliberazione impugnata è nulla in quanto manca l’attestazione della copertura finanziaria da parte del responsabile del servizio;

RITENUTO

che il ricorso presenti elementi di inammissibilità e sia comunque infondato per le ragioni che si passa ad esporre.

Il ricorso appare innanzitutto inammissibile per difetto di legittimazione dei ricorrenti in relazione alla loro posizione di Consiglieri Comunali.

Secondo un principio giurisprudenziale ormai pacifico, infatti, la legittimazione del consigliere comunale ad impugnare atti del Consiglio è limitata ai soli casi in cui venga in rilievo l’esercizio delle prerogative concernenti il munus di consigliere (TAR Puglia, Lecce, I^, 28.1.2010 n.328); ai soli casi, cioè, in cui "il giudizio amministrativo non è volto a risolvere controversie tra organi dello stesso ente, ma a risolvere conflitti intersoggettivi" (CS, VI^, 19.5.2010 n.3130). E poiché nel caso dedotto in giudizio i ricorrenti – consiglieri – non agiscono per la tutela di loro prerogative (e del loro status), ma semplicemente perché intendono ottenere l’annullamento del provvedimento con cui l’Amministrazione ha disposto la revoca delle delibere approvative di uno strumento urbanistico (e dunque di provvedimenti che non incidono sul loro status di consiglieri e che non comprimono le loro prerogative di consiglieri), il loro difetto di legittimazione è palese.

Il ricorso è comunque infondato nel merito.

Il primo profilo di censura del primo mezzo di gravame non merita accoglimento in quanto dal contesto procedimentale e dal preambolo della deliberazione emerge chiaramente che il Consiglio ha inteso revocare le delibere (approvative dello strumento urbanistico) in quanto erano state adottate in mancanza del prescritto quorum strutturale, come peraltro affermato – per analoghe delibere (rectius: per delibere assunte con le stesse modalità di voto) – dal TAR Lazio nella sentenza n.497/2011.

Il secondo profilo di censura del primo motivo – con cui i ricorrenti lamentano l’asserita assenza della prescritta valutazione specifica in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico alla revoca delle delibere (approvative dello strumento urbanistico – non può essere condiviso. Negli Ordinamenti democratici (pluralisti) basati sul principio della rappresentanza popolare – quale è certamente quello italiano – il corretto esercizio del diritto di voto ed il rispetto delle regole per la formazione delle maggioranze necessarie per l’approvazione delle delibere in seno ad Assemblee composte da soggetti eletti dal Corpo elettorale, costituisce un valore costituzionale che va sempre rispettato, sicchè l’interesse al rispetto delle predette regole è "pubblico" – per così dire – per definizione e non va dimostrato con argomentazioni specifiche.

Il secondo mezzo di gravame non merita accoglimento per due ragioni. Innanzitutto in quanto secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza la partecipazione del consigliere in conflitto d’interessi alla delibera approvativa dello strumento urbanistico determina, al più, l’illegittimità dello strumento nella sola parte volta a normare le aree sulle quali il consigliere vanti diritti, ma non già dell’intero piano. Ed in secondo luogo in quanto il provvedimento di revoca impugnato mira a dare corretta e doverosa esecuzione ai principi enunciati nella sentenza n.497/2011 del TAR del Lazio,

sicchè non è ravvisabile alcun conflitto d’interessi, posto che l’unico interesse che viene in rilievo (come già sottolineato) è quello – "pubblico" per sua stessa natura – all’eliminazione di delibere approvate in spregio delle regole per la formazione della maggioranza.

Il terzo motivo di gravame non merita accoglimento in quanto l’annullamento in questione – costituente "atto dovuto", per quanto precedentemente sottolineato – non comporta alcun ingiustificabile aggravio di spese.

RITENUTO, in conclusione

che le delibere consiliari n.48 del 26.12.2010 di adozione del PUCG e n.57 del 21.12.2010 di rettifica della precedente, erano state adottate ed approvate in difetto della prescritta maggioranza (come desumibile dalla sentenza n.497/2011 del TAR del Lazio);

che la revoca in autotutela impugnata con il ricorso in esame, è stata adottata al fine di dare corretta applicazione allo Statuto comunale in conformità all’interpretazione stabilita dal Giudice Amministrativo; e che l’interesse al corretto esercizio del voto ed al rispetto delle regole per la votazione (in Consiglio Comunale) è per sua stessa natura "pubblico" in quanto espressivo di un valore costituzionale fondamentale dell’Ordinamento democratico e che pertanto eventuali interessi personali dei singoli consiglieri sono da considerare, nella fattispecie, comunque irrilevanti;

RITENUTO

che la palese ed assorbente infondatezza del ricorso suggerisca una decisione che definisca il giudizio nel merito;

che in considerazione delle superiori osservazioni il ricorso sia da respingere, ma che sussistono giuste ragioni per compensare le spese fra le parti;

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, lo respinge.

Compensa le spese fra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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