Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-09-2011) 04-11-2011, n. 40011 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) D.L.R. veniva tratto al giudizio del Tribunale di Cassino per rispondere del reato di cui all’art. 81 c.p., art. 609 bis c.p. e art. 609 ter c.p., comma 1, n. 1 e comma 2, perchè, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, con violenza, costringeva ripetutamente la nipote D.L.A.M. a compiere atti sessuali, congiungendosi carnalmente con lui sin dall’età di (OMISSIS) anni e toccandola nelle parti intime.

Il Tribunale di Cassino, con sentenza del 20.1.2006, dichiarava il D.L. colpevole del reato ascritto in relazione ai fatti commessi in epoca successiva all’anno 1995 e, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 609 ter c.p., comma 2, lo condannava, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generi che, alla pena di anni 5 e mesi 6 di reclusione; dichiarava, invece, non doversi procedere nei confronti del medesimo D.L. in relazione alla contestazione relativa all’anno 1991 perchè estinta per prescrizione.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 20.5.2010, confermarla sentenza del Tribunale, appellata dall’imputato.

Dopo avere esposto i rilievi contenuti nell’atto di appello, riteneva la Corte che essi fossero infondati e che quindi la sentenza di primo grado dovesse essere integralmente confermata.

Assumeva la Corte territoriale che la parte offesa, D.L.A. M., fosse particolarmente attendibile anche per le modalità assolutamente spontanee, in cui erano avvenute le prime rivelazioni in ordine agli abusi sessuali subiti. Pienamente giustificato era il difetto di contestualizzazione nel tempo di detti abusi. Peraltro le dichiarazioni della minore erano state, anche in ordine alla reiterazione degli episodi commessi in suo danno, confermate ab externo dalle testimonianze de relato. Come già sottolineato dal Tribunale non si ravvisavano fatti o circostanze idonee a porre nel dubbio l’attendibilità della minore.

2) Ricorre per Cassazione D.L.R., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo la inosservanza o erronea applicazione di legge con riferimento all’art. 521 c.p. (testo previgente) in relazione all’art. 609 bis c.p..

Le condotte criminose contestate al ricorrente trovano riscontro nelle risultanze processuali solo con riferimento all’episodio dell’anno 1991 per il quale è stata dichiarata la prescrizione. La stessa parte offesa fa riferimento alla violenza subita da parte dello zio quando aveva sei anni, escludendo altri episodi successivi ed in particolare l’episodio di ulteriore violenza carnale avvenuto, secondo la contestazione nell’anno 1999. Non essendovi prova di atti sessuali commessi in arco temporale successivo al (OMISSIS), deve essere ritenuta configurabile l’ipotesi di cui all’art. 521 c.p. previgente (ipotesi ampiamente prescritta).

Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p., commi 1 e 2 con riferimento ai rilievi specifici contenuti nell’atto di appello.

In tema di valutazione della prova va accertata l’attendibilità intrinseca desunta da dati specifici e l’esistenza di riscontri estrinseci; gli indizi inoltre debbono essere gravi, precisi e concordanti.

La motivazione della sentenza impugnata è, inoltre, assolutamente inconciliabile con le risultanze processuali ed omette di prendere in considerazione i rilievi specifici contenuti nell’atto di appello.

Le dichiarazioni dei testi de relato sono sommarie e contraddette dalla stessa parte offesa e da altri testi.

La Corte territoriale non ha preso in considerazione le dichiarazioni rese da D.L.B., R.M.A. e M.M., che escludono che la minore sia stata vittima di violenza o attenzioni da parte dell’imputato.

I giudici di merito fondano l’affermazione di responsabilità sulle dichiarazioni de relato, peraltro incerte e confuse, dei testi Q. e D.G., senza tener conto che la stessa parte offesa esclude di aver subito ulteriori violenze dopo l’episodio avvenuto quando aveva (OMISSIS) anni (pag. 11 trascr. ud.8.11.2005).

Con il terzo motivo denuncia la manifesta illogicità della motivazione. La Corte territoriale si limita ad aderire alla sentenza di primo grado senza tener conto degli specifici rilievi contenuti nell’atto di appello ed in particolare senza valutare le testimonianze che avevano escluso la sussistenza di fatti, aventi rilevanza penale, successivi all’anno 1991. 3) Il ricorso è infondato in relazione alla riferibilità all’imputato degli episodi di cui alla contestazione e per i quali è intervenuta condanna.

3.1) Con i motivi vengono, invero, proposte censure attinenti al merito della decisione impugnata, che si risolvono in una diversa valutazione delle risultanze processuali.

Tali censure non tengono conto, però, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la possibilità di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. E’ necessario cioè accertare se nell’interpretazione delle prove siano state applicate le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove medesime, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

Anche a seguito della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), con la L. n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 752 del 18.12.2006). Anche di fronte alla previsione di un allargamento dell’area entro la quale deve operare, non cambia la natura del sindacato di legittimità; è solo il controllo della motivazione che, dal testo del provvedimento, si estende anche ad altri atti del processo specificamente indicati.

Tale controllo, però, non può "mai comportare una rivisitazione dell’iter ricostruttivo del fatto, attraverso una nuova operazione di valutazione complessiva delle emergenze processuali, finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi ed idonei ad inficiare il convincimento espresso dal giudice di merito" (così condivisibilmente Cass. pen. sez. 2 n. 23419/2007 – Vignaroli).

Il vizio di prova "omessa" o "travisata" si verifica, quindi, quando da esso derivi una disarticolazione dell’intero ragionamento probatorio ed una illogicità della motivazione sotto il profilo della rilevanza e della decisività.

E’ onere della parte, poi, indicare espressamente nei motivi di gravame gli atti del processo da cui è desumibile il vizio. Tali atti vanno individuati specificamente (non rientrando nei compiti della Corte di legittimità la ricerca nel fascicolo processuale degli stessi), allegati o trascritti integralmente (non è consentita una indicazione "parziale" dell’atto, potendo il denunciato travisamento emergere solo dalla sua lettura integrale).

Vanno quindi condivise le precedenti decisioni di questa Corte con le quali si è affermato il principio che "la condizione della specifica indicazione degli altri atti del processo… può essere soddisfatta nei modi più diversi (quali ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito) purchè detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di Cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 591 c.p.p." (cfr. Cass. pen. sez. 2 n. 19584 del 5.5.2006). Altra decisione ha, ancora più puntualmente specificato che è onere del ricorrente la individuazione precisa della collocazione degli atti nel fascicolo processuale, ove non siano riprodotti nel ricorso e non siano allegati in copia conforme, sia la dimostrazione che tali atti si trovassero nel fascicolo processuale al momento della decisione del giudice di merito, che infine, di indicazione puntuale della circostanza di fatto asseritamente travisata o non valutata (Cass. pen. sez. 3 n. 12014 del 22.3.2007).

3.1.1) La Corte territoriale, con motivazione congrua, adeguata e priva di erronea applicazione della legge penale e processuale, ha valutato compiutamente il materiale probatorio, fornendo giustificazioni logiche della decisione adottata. Rinviando anche alla motivazione della sentenza di primo grado, ha ritenuto la piena attendibilità della parte offesa D.L.A.M..

Nella valutazione di tale attendibilità ha posto, in particolare, l’accento sulla genesi degli iniziali disvelamenti, avvenuti in modo assolutamente spontaneo e sofferto, come confermato dai testi D. G., M. e Q.. Il che escludeva decisamente la fondatezza dell’ipotesi difensiva del complotto. Nè peraltro si poteva comunque parlare di condizionamenti esterni per il solo fatto che le persone, alle quali erano state fatte le rivelazioni, doverosamente avevano suggerito di sporgere denuncia. La Corte di merito si è preoccupata anche di esaminare i rilievi difensivi in ordine alla mancata contestualizzazione nel tempo degli episodi, rilevando che essa andava attribuita ad un comprensibile "fenomeno di rimozione" e sottolineando che i fatti successivi si erano susseguiti con modalità simili, per cui solo l’iniziale episodio avvenuto nel bagno era rimato impresso nella memoria (anche nella sua collocazione temporale).

I Giudici di merito hanno quindi compiuto un’analisi puntuale delle dichiarazioni della parte offesa, pervenendo ad una argomentata valutazione della loro attendibilità.

Ed è assolutamente pacifico che le dichiarazioni della persona offesa dal reato possano essere assunte quali fonti del convincimento anche senza necessità di riscontri esterni.

3.1.2) I Giudici di merito, contrariamente, a quanto ritenuto dal ricorrente hanno poi correttamente ed adeguatamente esaminato il materiale probatorio in relazione agli episodi di abuso successivi a quello iniziale dei 1991.

Già il Tribunale, alla cui motivazione rinvia la sentenza di appello, aveva richiamato la deposizione della parte offesa anche con riferimento a tutti gli altri episodi di abuso ed in particolare in ordine alla violenza di (OMISSIS). Tale ultimo episodio era stato inizialmente esposto (in termini di violenza conclusa con l’atto di penetrazione) in modo diverso dall’assunto dibattimentale; ma a seguito del ricorso al meccanismo delle contestazioni era stato poi sostanzialmente confermato (cfr.sent.Trib.). La stessa Corte territoriale, inoltre, ha riportato l’episodio di (OMISSIS), come descritto dalla parte offesa, sottolineando che il riferimento a "là un’altra volta…." non poteva che indicare la reiterazione di atti sessuali. Gli abusi (toccamenti ed altre molestie) erano poi proseguiti fino a quando la parte offesa aveva presentato la denuncia.

Il ricorrente si limita, invece, ad una "lettura" diversa delle dichiarazioni della parte offesa attraverso il richiamo a singoli passi della sua deposizione (pag. 2 e 3 ricorso). Nè tiene conto che i Giudici di merito hanno puntualmente esaminato le dichiarazioni dei testi i quali riferivano che, fin dalle iniziali rivelazioni, la parte offesa aveva fatto riferimento ad altri episodi di abuso, avvenuti anche di recente.

D.G.A.F. affermava, infatti, che A. M. aveva detto che lo zio l’aveva violentata anche nei giorni addietro e Q.O. aveva ricordato il riferimento alla "campagna di (OMISSIS)".

Nè, infine, è esatto che i Giudici di merito abbiano omesso di prendere in considerazione le testimonianza "favorevoli" all’imputato.

Essi, invero, hanno esaminato in modo approfondito le dichiarazioni di D.L.B. e di R.M.A., rispettivamente madre e nonna della parte offesa, ritenendo che esse fossero assolutamente inattendibili perchè "..volontariamente votate all’omertà, all’oblio, alla negazione". Esse con il loro silenzio anche su aspetti solo di contorno hanno "reso palese un conflitto di interesse familiare, risolto in favore del più turpe tra i suoi componenti.." (cfr.sent.Trib.).

Vi è quindi una argomentata esposizione delle ragioni che inducevano a dar credito alle testimonianza disinteressate di persone "estranee alla famiglia". In ogni caso, è assolutamente pacifico che "Nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata" (Cass.pen. Sez.4 n.1149 del 24.10.2005 – Mirabilia; v. anche Cass.sez.un.n.36757 del 2004 Rv.229688).

3.2) La non manifesta infondatezza del ricorso consente di rilevare la prescrizione del reato relativamente a tutti gli episodi commessi fino al 21 marzo 1999, pur non potendosi aderire alla tesi difensiva (esposta nel primo motivo di ricorso) in ordine alla richiesta di declaratoria di prescrizione con riferimento al reato di cui all’art. 521 c.p. nel testo previgente (si è visto come i Giudici di merito abbiano ritenuto ampiamente provati gli abusi sessuali commessi dopo l’entrata in vigore della L. n. 66 del 1996 e fino al (OMISSIS) (come da contestazione).

Essendo il processo pendente in primo grado alla data di entrata in vigore della L. n. 251 del 2005 (la sentenza del Tribunale è del 20.1.2006) trova applicazione la disciplina transitoria. La citata Legge, art. 10, come risultante dall’intervento della Corte Costituzionale n. 393 del 23.11.2006, stabilisce, infatti, che "se per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultano più brevi, le stesse si applicano ai procedimenti ed ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, ad esclusione dei processi già pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di Cassazione". A seguito della decisione della Corte costituzionale gli effetti favorevoli per l’imputato che invochi la prescrizione riguardano, quindi, tutti i procedimenti ed i processi in corso alla data dell’8 dicembre 2005, con l’unica eccezione dei processi già pendenti in appello o in Cassazione.

A norma degli artt. 157, 160 e 161 c.p., come riformulati, il termine massimo di prescrizione per il reato di cui all’art. 609 bis c.p. è anni 12 e mesi 6, per cui vanno dichiarati estinti per prescrizione i reati relativi agli episodi commessi fino al (OMISSIS).

Dovendosi procedere alla rideterminazione della pena per gli episodi commessi a partire da tale data e fino al (OMISSIS) si impone il rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati commessi fino al marzo 1999. Annulla con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma per la rideterminazione della pena.

Rigetta nei resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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