Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-09-2011) 04-11-2011, n. 40006

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza del 2 marzo 2010 la Corte di Appello di Firenze confermava la sentenza del GUP del Tribunale di Grosseto del 5.2.2009, con la quale M.M. era stato condannato, applicata la diminuente per la scelta del rito, alla pena di anni 6 di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa per il reato di cui all’art. 112 c.p., comma 1, n. 1, art. 81 cpv. c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 6 limitatamente alle cessioni di sostanza stupefacente di cui ai numeri 2 e 3 dell’imputazione ascritta al capo a) e per il reato di cui all’art. 337 c.p., ascritto al capo b), unificati detti reati sotto il vincolo della continuazione.

Rilevava preliminarmente la Corte, rigettando l’eccezione difensiva, che la competenza territoriale appartenesse al Tribunale di Grosseto nel cui circondario erano stati commessi tutti i reati contestati (compreso il più grave rappresentato dalla vendita di 10 Kg. di hashish).

Pur dando atto la Corte territoriale della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in caso di più condotte successive tra quelle punite dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, ai fini della competenza territoriale, rileva la prima di esse in ordine di tempo, riteneva che nel caso di specie, prima dell’incontro di F. dell'(OMISSIS), non si era realizzata alcuna ipotesi di reato (neppure sotto forma di compravendita verbale, essendosi svolta solo una trattativa senza alcun accordo definitivo).

Escludeva poi la Corte di merito che i Carabinieri avessero operato in violazione delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 97; tale norma non prevede alcuna autorizzazione, ma solo una comunicazione dell’esecuzione delle operazioni e, in ogni caso, dalla violazione della norma medesima non deriva alcuna conseguenza in ordine alla piena utilizzabilità degli atti compiuti.

Nel "merito" la responsabilità dell’imputato emergeva in modo inequivocabile dalle risultanze processuali; nè certamente poteva essere riconosciuta la circostanza attenuante del fatto di lieve entità.

Sussisteva, infine, il reato di resistenza a p.u., essendo stato il M.llo Mo. colpito, con un pugno al petto, nel momento in cui mostrava il distintivo di riconoscimento ed essendosi reso conto il prevenuto che stava per essere arrestato.

2) Ricorre per Cassazione M.M., a mezzo dei difensori.

L’avv. Carloni denuncia, con il primo motivo, la violazione di legge e la mancanza di motivazione in relazione all’eccezione di incompetenza territoriale. Il primo episodio ascrivibile all’imputato si è infatti verificato in data (OMISSIS) dove era stato raggiunto l’accordo per la vendita dei 10 Kg di stupefacente (consegnati poi l'(OMISSIS)). La Corte territoriale, pur dando atto correttamente della giurisprudenza di legittimità, ricostruisce poi erroneamente i fatti (il locus commissi delicti emerge chiaramente dalle annotazioni di p.g. relative al giorno 9.1.2008, quando era stato venduto a (OMISSIS) un panetto di circa 100 grammi di hashish quale campione della vendita effettuata due giorni dopo).

Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 97 e la mancanza di motivazione. Senza la prevista autorizzazione gli atti acquisiti sono inutilizzabili anche nel giudizio abbreviato, trattandosi di attività svolta al di fuori dei limiti dell’ordinamento.

L’avv. Cianferoni, altro difensore del M., a sua volta, denuncia, con il primo motivo la violazione della legge processuale in relazione all’art. 21 c.p.p..

Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, in data (OMISSIS) a (OMISSIS) veniva raggiunto l’accordo per la cessione dello stupefacente e nella stessa data venivano ceduti all’agente operante 100 grammi di sostanza stupefacente.

Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. La pessima qualità della droga (con concentrazione molto bassa di principio attivo) non può non assumere rilevanza nella valutazione della circostanza attenuante. La Corte territoriale non prende in considerazione il dato ponderale ed erra nel ritenere il ruolo predominante, nel traffico di stupefacenti, del M., il quale risulta coinvolto nelle indagini solo dal dicembre 2007, cioè ben sette mesi dopo l’inizio delle investigazioni; inoltre le condotte rilevanti a lui ascritte si concentrano in appena due giorni.

Con il terzo motivo deduce la inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità. La norma di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 97 ritiene sufficiente la comunicazione se l’operazione, anche se disposta dai vertici della polizia giudiziaria, sia stata svolta d’intesa con la Direzione centrale dei sevizi antidroga (deve quindi già esservi un rapporto tra le due autorità). Il mancato rispetto, nel caso di specie, della procedura prevista determina la inconfigurabilità della scriminante e conseguentemente l’incompatibilità ad assumere l’ufficio di testimone da parte dell’agente provocatore (con inutilizzabilità delle dichiarazioni rese ex art. 63 c.p.p., comma 2 e con inutilizzabilità ex art. 191 c.p.p. di tutte le prove raccolte (in assenza dei requisiti di legge, l’attività svolta deve ritenersi infatti illecita).

Con il quarto motivo denuncia la violazione della legge penale in relazione all’art. 337 c.p.. L’attività sotto copertura esclude la sussistenza del reato di resistenza, dal momento che gli agenti non debbono, per dovere d’ufficio, rendere nota la propria identità.

La mera esibizione del cartellino di appartenenza, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte, non determina la immediata comprensione della qualifica ricoperta; inoltre è necessario che l’atto di ufficio sia già in essere (i Carabinieri non stavano invece ancora operando alcun arresto, essendo stata la reazione del M. immediata).

3) Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

3.1) Correttamente (in fatto ed in diritto) i giudici di merito hanno rigettato l’eccezione di incompetenza territoriale.

Non c’è dubbio che "In tema di spaccio di sostanze stupefacenti per aversi consumazione del reato di cessione, non occorre che la droga sia materialmente consegnata all’acquirente, essendo sufficiente che sulla consegna si sia formato il consenso tra le parti. Il fatto che il venditore non disponga al momento della conclusione dell’accordo dei quantitativo pattuito, ma sia in grado di procurarselo e di consegnarlo entro breve tempo, è del tutto irrilevante ai fini della sussistenza del reato e non equivale ad una inesistenza originaria e assoluta dell’oggetto dell’azione, nè determina una inefficienza causale della condotta, sì che possa farsi ricorso alla figura del reato impossibile prevista dall’art. 49 c.p., comma 2". (cfr.ex multis Cass.pen.sez.6 n.5301 del 12.12.1995). Anche la giurisprudenza successiva ha ribadito costantemente che "la consumazione del reato di acquisto di sostanze stupefacenti non richiede la cessione e la conseguente ricezione della droga, perfezionandosi la compravendita con il solo incontro delle volontà del compratore e del venditore" (Cass.pen.sez 4 n.32911 dell’11.5.2004).

Ne consegue che "la competenza territoriale per i reati di acquisto di sostanze stupefacenti appartiene al giudice del luogo in cui si è verificato l’accordo tra acquirente e venditore, non essendo necessaria per il perfezionamento del delitto la materiale consegna della sostanza" (cfr.Cass.pen.sez.6 n.20543 del 4.5.2010). La Corte territoriale, però, con accertamento in fatto, argomentato ed immune da vizi logici, e quindi insindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto che non si fosse ancora formato l’accordo sulla cessione della sostanza stupefacente. Ha evidenziato, infatti che vi era stata solo una iniziale trattativa, in quanto proprio il M. non era del tutto convinto e continuava a diffidare della identità dei compratori. La conferma di tale diffidenza viene ricavata dalla Corte territoriale dal comportamento dell’imputato il giorno della consegna ("..non partecipa personalmente e direttamente alla fase più stringente e conclusiva della trattativa, si defila e affida a B. i contatti con gli acquirenti. E’ convinto solo da B. a concludere l’affare e a consegnare la droga").

Sicchè, ritiene coerentemente la Corte, la trattativa si concluse solo all’ultimo momento in territorio di Grosseto dove fu consegnata la droga poi sottoposta a sequestro. La consumazione del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 in relazione alla cessione di 10 Kg di hascisch e, perciò, del reato più grave avvenne, quindi, in territorio di (OMISSIS). Ed è pacifico, in applicazione dell’art. 16 c.p.p., comma 1, che "qualora si proceda per i reati di detenzione e di vendita di sostanza stupefacente la competenza territoriale appartiene al giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del reato più grave" (cfr.Cass.sez.4, 21.10.2004 n.41175). In ogni caso va considerato, pur non avendo la Corte territoriale esaminato tale aspetto decisivo ed assorbente, che "In tema di giudizio abbreviato una volta richiesto ed ammesso il rito speciale, l’eccezione relativa all’incompetenza territoriale in quanto suscettibile di rinuncia non è più ammissibile, neanche se sia stata precedentemente proposta e disattesa" (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 6 n. 19825 del 13.2.2009; conf.Cass.pen.sez. 1, n.37623 del 17.9.2008; sez.6 n.37170 del 15.4.2008; sez.6 n.4125 del 17.10.2006).

3.2) Altrettanto correttamente la Corte territoriale ha ritenuto insussistente la denunciata violazione del D.P.R., art. 97. Ha ricordato infatti, in primo luogo, che la norma non prevede alcuna autorizzazione, ma una comunicazione della esecuzione delle operazioni (la diversa interpretazione proposta dal ricorrente contrasta con il rilievo che se l’operazione è stata già concordata dai vertici della polizia giudiziaria con la Direzione Centrale dei servizi antidroga non vi sarebbe alcuna necessità della successiva comunicazione); in secondo luogo le eventuali violazioni (nella specie non sussistenti) del disposto dell’art. 97 cit. non darebbero luogo ad alcuna conseguenza sul piano penale e/o processuale.

Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte richiamata dalla sentenza impugnata, "In tema di acquisto simulato di sostanze stupefacenti la mera inosservanza da parte degli ufficiali di polizia giudiziaria, addetti alle unità specializzate antidroga, della procedura prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 97, può comportare una responsabilità sul piano disciplinare, ma non incide di per sè sulla loro capacità di testimoniare" (cfr. Cass. Sez. 6 n.7948 del 10.4.1995; conf.Cass.sez.6 n.8722 del 12.4.2000).

3.3) Neppure è configurabile l’attenuante di cui al comma V del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73. Tale circostanza "può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione, con la conseguenza che, ove venga meno uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri" (cfr.Cass.sez.un.21.9.2000 n.17; conf.Cass.sez.4, 16.3.2005 n.10211;

Cass.sez. 4, 1.6.2005 n.20556). Anche la giurisprudenza successiva ha ribadito che "..il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo conseguentemente escludere la concedibilità dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità…" (cfr ex multis Cass.pen.sez.4 n.38879 del 29.9.2005; conf .Cass.sez.6 n.27052 del 14.4.2008).

Con valutazione completa ed argomentata adeguatamente la Corte di merito ha ritenuto non ipotizzatile siffatta attenuante per la elevata quantità della sostanza stupefacente (la percentuale di THC è solo di poco inferiore a quella mediamente presente in sostanze del tipo haschish), per la rete di rapporti illeciti, per la disponibilità dichiarata di quantità molto più elevate, per le rilevanti somme ricavabili dal traffico posto in essere.

3.4) Anche in ordine al reato di cui all’art. 337 c.p. i rilievi del ricorrente sono infondati. La Corte di merito ha, infatti, accertato che il M.llo Mo. mostrò in modo ben riconoscibile il distintivo di riconoscimento. Sicchè il M., che, come si è visto, già diffidava della identità dei compratori, si rese, in quel momento, perfettamente conto della identità del soggetto, che stava per procedere al suo arresto. E’ assolutamente evidente, quindi, che il pugno sferrato all’ufficiale di p.g. era finalizzato a darsi alla fuga ed a sottrarsi quindi all’arresto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente ai pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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