Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-07-2011) 04-11-2011, n. 39783

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza in data 21.2.2011 il Tribunale di Bologna, costituito ex art. 310 cod. proc. pen., ha rigettato l’appello proposto da D.S. avverso l’ordinanza con la quale la Corte di appello di Bologna il 28.1.2011 respingeva l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, applicata al predetto in relazione ai reati di cui agli artt. 110, 112, 81 cpv. cod. pen., D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12, comma 3, 3 bis e 3 ter, L. n. 75 del 1958, artt. 3 e 4, artt. 110 81, art. 61, n.2 e art. 497 bis cod. pen..

Il tribunale premetteva che all’Istante era stata applicata la misura cautelare dal 16.10.2008, che all’esito del giudizio di primo grado era stato condannato alla pena di anni sette di reclusione ridotta con la sentenza di secondo grado emessa il 14.1.2011 ad anni sei e mesi sei di reclusione.

Rilevava, quindi, che la prospettata applicazione del beneficio dell’indulto ex L. n. 241 del 2006 non rilevava nella specie ai fini della proporzione tra presofferto e pena irrogata, atteso che il D. aveva una posizione giuridica complessa in quanto imputato in almeno due processi per reati in relazione ai quali potrebbe godere dell’indulto (richiama Sez. 1, n. 19455, 23/04/2008, rv. 240290). Evidenziava, altresì, che l’istante è ristretto da anni due, mesi quattro e giorni sei, pertanto, il presofferto cautelare è ben lontano dalla soglia dei due terzi della pena inflitta.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il D., a mezzo del difensore di fiducia, deducendo la violazione dell’art. 273, comma 2 e art. 299 cod. proc. pen. non avendo il tribunale tenuto conto della causa estintiva della pena nella misura di tre anni per effetto dell’indulto violando, conseguentemente, il principio di proporzionalità della misura cautelare.

Denuncia, altresì, il vizio di motivazione del provvedimento impugnato per manifesta illogicità, laddove si aggira il principio di proporzionalità della misura cautelare facendo riferimento alla condanna di primo grado alla pena di anni sette di reclusione inflitta al ricorrente in relazione ad altro processo che è ancora sub ìudice non essendo stato fissato il giudizio di appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è manifestamente infondato.

La motivazione della ordinanza impugnata – come innanzi sintetizzata – si sottrae alle censure che le sono state mosse su tutti i punti contestati dal ricorrente. Il tribunale ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto affermati da questa Corte con specifico riferimento al criterio di proporzionalità della misura cautelare.

Come è noto, l’art. 275 cod. proc. pen., comma 2, stabilisce che la misura cautelare debba essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata. Tale disposizione, che non impone un vincolo tassativamente predeterminato alla durata della misura cautelare in rapporto all’entità della pena, lascia certamente un ampio margine di discrezionalità al giudice. L’applicabilità del principio di proporzionalità nel corso dell’esecuzione della custodia cautelare, proprio perchè rimessa al prudente apprezzamento del giudice, non può prescindere da un’attenta valutazione di tutte le circostanze del caso, con specifico riguardo all’indagine sulla persistenza o meno di quelle esigenze cautelari che hanno condotto in origine alla deliberazione della misura (Sez. 5, n. 21195, 12/02/2009, Occhipinti, rv. 243936).

Deve essere, altresì, ricordato che se è vero che non può essere adottata o mantenuta una misura cautelare se sussistono le condizioni che rendono probabile l’applicabilità dell’indulto alla pena che si ritiene possa essere irrogata (S. U-, n. 1235, 28/10/2010, Giordano rv. 248867), cionondimeno, quando la posizione giuridica del soggetto è complessa, con pluralità di procedimenti e di pendenze a suo carico, la semplice prospettiva di applicabilità di un provvedimento indulgenziale – la cui concreta incidenza in relazione ai reati per cui si procede può essere apprezzata soltanto in sede esecutiva – non rende operativo il divieto, stabilito dall’art. 273 cod. proc. pen.,, comma 2, di applicare o mantenere misure coercitive se sussiste una causa d’estinzione della pena che si ritiene possa essere irrogata (Sez. 1, n. 19455, 23/04/2008, Jovanovic, rv.

240290).

Orbene nel caso di specie il provvedimento impugnato proprio tale valutazione ha operato, trasfondendola in una motivazione completa su tutti i punti e priva di vizi logici, come tale non censurabile in questa sede.

La manifesta infondatezza del ricorso impone la declaratoria di inammissibilità dello stesso ai sensi degli artt. 591 e 606 cod. proc. pen., comma 3.

Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma ritenuta congrua di Euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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