Cons. Stato Sez. III, Sent., 07-12-2011, n. 6453 Giustizia amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Il dott. G. T., all’epoca prefetto collocato a disposizione, era stato nominato, con D.P.R. del 4 agosto 2008, Commissario per il coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso. Con successivo decreto del Ministro dell’Interno, in data 3 febbraio 2009, era stato poi nominato Presidente, per la durata di quattro anni, del ricostituito Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso.

Avendo avuto notizia che il Consiglio dei Ministri aveva deliberato, su proposta del Ministero dell’Interno, la nomina a Commissario, in sua sostituzione, del dott. Giosuè Marino, a decorrere dall’1 settembre 2009 (data del suo collocamento a riposo), il dott. T., ha impugnato davanti al T.A.R. per il Lazio tale determinazione nonché gli atti successivi e conseguenti.

2.- Il T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, con la sentenza della Sezione I Ter n. 3461 del 19 aprile 2011, avendo rilevato che il ricorso era stato consegnato all’Ufficiale giudiziario per le notificazioni alle parti evocate in giudizio il 17 novembre 2009; era stato poi depositato in "velina" presso il Tribunale il 1 dicembre 2009; e solo il 30 dicembre 2009 era stato depositato in "originale", con la prova delle eseguite notifiche (perfezionatesi, rispettivamente, il 17 novembre 2009 nei confronti delle intimate amministrazioni ed il 26 novembre 2009 nei confronti del dott. Marino), ha dichiarato tuttavia il ricorso irricevibile. Secondo il T.A.R., infatti, "il ricorso introduttivo del gravame avrebbe dovuto essere depositato entro il perentorio (e non rispettato nel caso di specie) termine dei trenta giorni successivi al perfezionamento di tale notificazione come già prescritto dalla legge n. 1034 del 1971 ed oggi ribadito dal comma 1 dell’art.45 del C.p.a.".

Né, secondo il T.A.R., era possibile riconoscere al ricorrente la scusabilità dell’errore ai fini della remissione in termini.

3- Il dott. T. ha appellato l’indicata sentenza ritenendola erronea ed ha quindi riproposto in sede di appello tutte le censure che erano state sollevate con il ricorso di primo grado e con i successivi motivi aggiunti.

4.- Sostiene, in particolare, il dr. T., che il suo ricorso non poteva essere dichiarato irricevibile in quanto la notificazione si perfeziona, per il notificante, con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario (nella specie effettuata il 17 novembre 2009) e da quel momento l’interessato può costituirsi in giudizio, come lui ha fatto tempestivamente il 1 dicembre 2009, con il deposito della copia conforme dell’atto, secondo quanto è ora disposto dal secondo comma dell’art. 45 del c.p.a.

La doglianza è fondata.

4.1.- Al riguardo si deve rilevare che l’art. 45 del c.p.a., che disciplina ora le modalità ed i termini per il deposito del ricorso, al comma 1, riproponendo le previgenti disposizioni in materia, prevede che "il ricorso e gli altri atti processuali soggetti a preventiva notificazione sono depositati nella segreteria del giudice nel termine perentorio di trenta giorni, decorrente dal momento in cui

l’ultima notificazione dell’atto stesso si è perfezionata anche per il destinatario".

Il successivo comma 2 consente, peraltro, alla parte "di effettuare il deposito dell’atto, anche se non ancora pervenuto al destinatario, sin dal momento in cui la notificazione del ricorso si perfeziona per il notificante".

Il successivo comma 3 stabilisce, in tal caso, che "la parte che si avvale della facoltà di cui al comma 2 è tenuta a depositare la documentazione comprovante la data in cui la notificazione si è perfezionata anche per il destinatario. In assenza di tale prova le domande introdotte con l’atto non possono essere esaminate".

4.2.- Ai sensi delle indicate disposizioni, il ricorrente è quindi tenuto, pena l’improcedibilità, a depositare il suo ricorso nel termine perentorio di 30 giorni (e di 15 giorni nei ricorsi per i quali i termini sono dimezzati, ai sensi dell’art. 119 del c.p.a.), dal perfezionamento (anche per il destinatario) dell’ultima notifica.

Con tale adempimento il ricorso viene iscritto a ruolo e, previa la presentazione della domanda di fissazione d’udienza, di cui all’art. 71 del c.p.a., è destinato alla trattazione (la domanda di fissazione d’udienza è necessaria anche per l’esame della domanda cautelare ai sensi degli articoli 55, comma 4, e 56, comma 1 del c.p.a.).

Il citato comma 2 dell’art. 45 consente, peraltro, il deposito, e quindi l’iscrizione a ruolo del ricorso, anche quando la notificazione si è perfezionata per il ricorrente ma non si è ancora perfezionata per il destinatario.

Costituisce in tal caso onere del ricorrente depositare successivamente l’originale del ricorso con la prova dell’avvenuto perfezionamento della notifica anche per il soggetto o i soggetti destinatari della stessa.

La norma in questione non impone tuttavia, qualora sia scelta tale modalità, un termine perentorio per il deposito anche dell’originale dell’atto comprovante il perfezionamento (anche per il destinatario) della notifica. E tale termine, del resto, non risulta nemmeno necessario, essendo già stato iscritto il ricorso a ruolo ed essendo stata quindi presentata al giudice la richiesta di pronunciarsi sulla domanda oggetto del ricorso.

La norma prevede invece (solo) che "in assenza di tale prova le domande introdotte con l’atto non possono essere esaminate", e quindi, come ora accade per il caso di mancata presentazione della domanda di fissazione di udienza, il giudice non può pronunciarsi sulle domande proposte per la mancata prova della corretta instaurazione del contraddittorio.

4.3.- In conseguenza, qualora il ricorrente abbia scelto, per il deposito del ricorso e la sua iscrizione a ruolo, la modalità disciplinata dai commi 2 e 3 dell’art. 45 del c.p.a., non può ritenersi causa di improcedibilità l’avvenuto deposito dell’originale del ricorso con la prova del perfezionamento delle avvenute notifiche oltre il termine perentorio di 30 giorni dall’avvenuto perfezionamento (anche per il destinatario) dell’ultima notifica.

Non possono pertanto essere condivise le conclusioni alle quali è giunto il giudice di primo grado, che ha ritenuto di dover applicare anche alle situazioni disciplinate dai commi 2 e 3 del’art. 45 il termine perentorio di cui al precedente comma 1, tenuto conto che proprio il comma 3 dell’art. 45 già prevede un rimedio (anche se non a carattere sanzionatorio) per l’eventuale tardivo deposito dell’originale del ricorso, vietando al giudice di pronunciarsi sulle domande proposte.

Del resto, mancando un espresso richiamo nel comma 3 al termine perentorio stabilito dal precedente comma 1, nella fattispecie deve farsi applicazione del principio secondo il quale i termini perentori (che comportano decadenze) devono essere specificamente indicati o devono essere chiaramente indicati gli effetti che derivano dalla sua inosservanza.

4.4.- Il motivo di appello risulta quindi fondato e la sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I Ter, n. 3461 del 2011, deve essere in conseguenza riformata.

5.- Considerato che, ai sensi di quanto disposto dall’art. 105 del c.p.a., l’erronea pronuncia di irricevibilità del ricorso non costituisce causa di rinvio della questione al giudice di primo grado, si deve ora passare all’esame del merito della questione sollevata.

6.- Il dr. T. sostiene che, ai sensi dell’art. 3, comma 2, della legge n. 512 del 1999 l’incarico a lui assegnato di Commissario per il coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso, e il connesso incarico di Presidente del Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso, avevano durata quadriennale e che in nessun modo la sua nomina era condizionata dalla sua permanenza in servizio, come del resto è stato dimostrato dal fatto che il dr. G. Marino, che lo ha sostituito, e poi dopo di lui il dr. G. Trevisano sono stati nominati nell’incarico di Commissario ed hanno esercitato le relative funzioni pur essendo stati collocati in quiescenza.

Del tutto immotivata e arbitraria è risultata quindi la sua sostituzione.

7.- Le doglianze del dr. T. sono fondate.

L’art. 3, comma 2, della legge n. 512 del 1999 prevede infatti l’istituzione presso il Ministero dell’interno del Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso che è "presieduto dal Commissario per il coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso, nominato dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’interno, anche al di fuori del personale della pubblica amministrazione, tra persone di comprovata esperienza nell’attività di solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso".

Il secondo comma dell’art. 3 stabilisce poi che "Il Commissario ed i rappresentanti dei Ministeri restano in carica per quattro anni e l’incarico non è rinnovabile per più di una volta".

7.1.- Dalla lettura delle indicate disposizioni risulta evidente che l’incarico di Commissario per il coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso (e quello connesso di Presidente del Comitato di solidarietà) aveva durata quadriennale e poteva essere assegnato, anche al di fuori del personale della pubblica amministrazione, tra persone di comprovata esperienza nell’attività di solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso.

In conseguenza l’avvenuto collocamento a riposo del dr. T. (dopo il periodo di collocamento a disposizione) non poteva costituire causa automatica di cessazione dagli incarichi in questione, come sostiene l’amministrazione nelle sue difese, non essendo la condizione del mantenimento in servizio (o dell’essere ancora a disposizione) un presupposto per lo svolgimento dell’incarico.

7.2- Ci si può chiedere peraltro se i detti incarichi fossero suscettibili di revoca, per ragioni di pubblico interesse, ai sensi dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990. Il Collegio tuttavia si ritiene dispensato dal risolvere tale questione. Ed invero, anche se si vuole ammettere che vi fosse una potestà discrezionale di revoca, è certo che questa poteva essere esercitata solo mediante congrua motivazione e con le garanzie procedimentali previste per i casi di esercizio dei poteri autotutela.

Nel caso in esame, non è stata esternata e neppure accennata alcuna motivazione, se non, come già detto, quella relativa all’avvenuto pensionamento dell’interessato. Ma questo evento non poteva giustificare la revoca dell’incarico e la nomina di un nuovo Commissario in sostituzione dell’appellante.

8.- Per tutti gli esposti motivi l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, la sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I Ter, n. 3461 del 19 aprile 2011, deve essere annullata. Deve essere quindi dichiarata l’illegittimità degli atti impugnati con i quali il dr. G. T. è stato sostituito, a far tempo dal 1 settembre 2009, nell’incarico di Commissario per il coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso e nel connesso incarico di Presidente del Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso.

L’amministrazione dovrà quindi provvedere all’adozione degli atti conseguenti.

Non può essere invece esaminata, per la sua assoluta genericità, la pure avanzata domanda di risarcimento dei danni.

9.- In considerazione della particolare natura della questione trattata si ritiene di disporre la compensazione fra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie

e, per l’effetto annulla la sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I Ter, n. 3461 del 19 aprile 2011 ed annulla gli atti con i quali il dr. G. T. è stato sostituito, a far tempo dal 1 settembre 2009, nell’incarico di Commissario per il coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso e nel connesso incarico di Presidente del Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso.

Dispone la compensazione fra le parti delle spese e competenze di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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