Cons. Stato Sez. III, Sent., 07-12-2011, n. 6436 Sicurezza pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

G. C. è stato ammesso, quale collaboratore di giustizia, al piano provvisorio di protezione con delibera del 17.11.2004.

Due anni dopo tale ammissione è stata revocata, respingendo la proposta di ammissione del C. al programma speciale di protezione avanzata dalla Procura della Repubblica di CatanzaroDirezione distrettuale antimafia.

Tale provvedimento, notificato all’interessato il 27.5.2006, è stato assunto ai sensi dell’art. 13 quater della l. 82/1991, motivando in ragione di una serie di violazioni al codice di comportamento che sarebbero state commesse dal C., da quando è stato ammesso nel sistema di protezione.

Su ricorso proposto avverso tale atto, impugnato per violazione, sotto vari profili, della l. 82/1991 e della l. 241/1990 oltre che per eccesso di potere, il Tar ha respinto ogni censura sul fondamentale rilievo che la revoca è ampiamente motivata e trova la sua giustificazione in "una serie di episodi oggettivi e incontestati (tra i quali su tutti i trenta trasferimenti di domicilio cui il Servizio ha dovuto procedere nei confronti del C., il suo ritorno arbitrario e ingiustificato in località di origine, la frequentazione di pregiudicati, in violazione della misura di sorveglianza speciale, le continue liti con il personale delle strutture ricettive in cui veniva alloggiato)".

Con il presente appello il ricorrente, per un verso, ha posto nuovamente la questione di costituzionalità relativa all’art. 13 della l. 241/1990 nella parte in cui sottrae all’applicabilità delle disposizioni in materia di partecipazione i procedimenti del tipo di quello qui in esame; e, per altro verso, ha contestato il peso e l’importanza dei fatti a lui addebitati.

Si è costituita l’Amministrazione dell’Interno, replicando con memoria difensiva.

Nella camera di consiglio del 15.4.2011 l’istanza cautelare di sospensione è stata respinta.

All’udienza pubblica del 18.11.2011, dove la parte appellante non è comparsa né in vista della quale ha depositato alcuna memoria scritta, la causa è passata in decisione.

Osserva il Collegio come la questione di legittimità costituzionale in ordine all’art. 13 della l. 241/1990 sia, prima ancora che infondata, inammissibile per difetto di rilevanza.

La questione mira infatti, attraverso l’incostituzionalità dell’art. 13, a rendere applicabile alla fattispecie in esame l’istituto della comunicazione dell’avvio del procedimento di cui all’art. 7, sul presupposto che la sua violazione comporterebbe per ciò solo l’illegittimità ed il conseguente annullamento del provvedimento di revoca.

Tale presupposto è, tuttavia, erroneo, in quanto comunque potrebbe farsi applicazione dell’art. 21 octies, co. 2, della l. 241/1990, avendo in questo caso l’Amministrazione dimostrato che, con ragionevole probabilità, il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, neppure se il suo destinatario fosse stato messo nella condizione di partecipare al procedimento.

Nel merito delle questioni dedotte, reputa il Collegio che non vi siano motivi per discostarsi dalle persuasive considerazioni svolte dal Giudice di primo grado, già poste a fondamento dell’ordinanza cautelare e da intendersi qui, per economia processuale, integralmente richiamate e fatte proprie.

Del resto, a fronte di un numero considerevole di violazioni commesse in un periodo di tempo contenuto, le contestazioni di parte ricorrente peccano di genericità e di credibilità, limitandosi ad una semplice e generale negazione di qualunque addebito.

Tale linea difensiva è peraltro contraddetta, oltre che dalla logica, da tutta la documentazione prodotta in atti (relazioni di servizio, verbale di dichiarazioni spontanee ai C.C., comunicazioni di notizie di reato) che dimostra come la condotta del C. sia stata del tutto noncurante delle prescrizioni di legge, della dignità delle forze dell’ordine, del rispetto per la magistratura, determinando continuamente situazioni di tensione e di pericolo, anche per l’incolumità di terze persone.

Né sembra che tale atteggiamento sia stato modificato nella pendenza di questo giudizio, come dimostrano l’arresto in flagranza e l’ordinanza cautelare della custodia in carcere eseguiti nei confronti del C. per il reato di rapina aggravata, delitto che sarebbe stato commesso in danno del titolare un distributore di benzina della località protetta in data 26.10.2010.

Quest’ultimo episodio, sebbene successivo al provvedimento di revoca qui in contestazione, evidenzia pur sempre come tutte le violazioni commesse in precedenza dal C. siano, a prescindere dalla loro rilevanza penale, indicative del fatto che la parte non si è mai allontanata davvero dal circuito criminale o che, se in principio se ne era allontanata, vi ha fatto successivamente rientro.

In conclusione, l’appello è infondato e va respinto.

Le spese di lite sono poste a carico dell’appellante soccombente e liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante a rifondere a controparte le spese di lite liquidate nell’importo complessivo di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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