Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-05-2012, n. 7175 Costruzioni in aderenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 15 marzo 1998 G.E. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bassano del Grappa, T.A. e T.L. esponendo di essere proprietaria di una casa a schiera sita in (OMISSIS), confinante con quella di proprietà di T.P.L., deceduta, cui erano succeduti i predetti convenuti.

L’attrice lamentava che, a causa dello stato fatiscente della casa confinante, il fabbricato di sua proprietà aveva riportato danni consistiti in infiltrazioni e chiedeva che i convenuti fossero condannati ad eseguire le opere necessarie a prevenire il protrarsi degli inconvenienti nonchè a risarcire il danno.

Si costituivano i convenuti chiedendo il rigetto della domanda e in via riconvenzionale: a) la demolizione della sopra-elevazione del fabbricato effettuata dall’attrice senza il rispetto delle norme previste dallo strumento urbanistico in materia di distanze; b) l’eliminazione degli scarichi fognari effettuati dall’attrice sulla corte comune; c) la chiusura di vedute realizzate sulle pareti est e ovest a distanza non regolamentare dal confine; d) l’eliminazione dello scarico della caldaia che impediva il transito sul marciapiedi della corte comune; e) l’eliminazione della terrazza e della recinzione costruita dall’attrice sulla corte comune a delimitazione dell’area di sua proprietà; f) l’eliminazione del pilastro a sostegno della terrazza posto sulla corte comune.

L’attrice, con memoria ex art. 183 cod. proc. civ., comma 5, chiedeva il rigetto delle domande riconvenzionali opponendo l’intervenuto acquisto per usucapione del diritto a mantenere le opere nello stato attuale.

Interveniva in causa R.L., acquirente dai convenuti e dagli altri eredi di T.P.L. dell’immobile oggetto di causa, facendo proprie le domande svolte dai convenuti.

Espletata una consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale rigettava la domanda della G. e accoglieva invece le domande riconvenzionali dei convenuti volte ad ottenere la demolizione della sopraelevazione del fabbricato della G., eseguita sul confine con la proprietà dei convenuti, la riduzione in pristino di tre vedute realizzate nel prospetto ovest dell’edificio della G.;

la demolizione della recinzione effettuata dalla G. sulla corte comune.

Avverso la sentenza proponeva appello la soccombente articolando sette censure. Si costituivano gli appellati T.L., T.M., T.R. e Te.Re., questi ultimi due quali eredi di T.A., chiedendo il rigetto all’appello e, in via di appello incidentale subordinato, la condanna dell’appellante ad arretrare il fabbricato per la parte che invadeva la loro proprietà. Si costituiva anche la R., chiedendo il rigetto dell’appello e, in via di appello incidentale, la riforma della sentenza relativamente al capo con cui era stata rigettata la domanda di eliminazione degli scarichi insistenti sulla corte comune e relativamente alla compensazione delle spese.

L’adita Corte d’appello di Venezia, con sentenza depositata in data 20 luglio 2009, rigettava l’appello principale e quelli incidentali, condannando l’appellante principale alla rifusione delle spese in favore degli appellati T. e compensando quelle tra appellante principale e R..

Con riferimento al motivo di gravame concernente il disposto abbattimento della sopraelevazione costruita sul confine della proprietà dei convenuti, la Corte d’appello osservava che il principio secondo cui il preveniente, nella sopraelevazione del fabbricato, deve attenersi alla scelta operata originariamente, per consentire al prevenuto di costruire in aderenza, presuppone che la sopraelevazione possa rispettare le norme sulle distanze vigenti al momento della sopraelevazione, mentre, se le nuove norme sulle distanze non possono essere osservate, la sopraelevazione a filo con la costruzione precedente non può essere effettuata con conseguente obbligo del preveniente di arretrare il corpo sopraelevato. Nel caso di specie la sopraelevazione era stata effettuata nel 1983 nella vigenza dell’art. 24 della variante al PRG del Comune di Marostica, in base alla quale le costruzioni nella zona di interesse dovevano rispettare la distanza di cinque metri dal confine, riconoscendosi tuttavia la possibilità di costruire in aderenza nel caso in cui si fosse ottenuto il consenso del proprietario confinante. La sopraelevazione oggetto di causa era stata eseguita senza rispettare la norma sul distacco delle nuove costruzioni dal confine e senza che il proprietario del fondo confinante avesse prestato il proprio consenso a costruire in aderenza, sicchè non poteva ritenersi operante la deroga prevista dallo strumento urbanistico.

Quanto al motivo di appello con cui l’appellante sosteneva la illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui il giudice aveva ordinato la riduzione in pristino delle tre vedute realizzate sul prospetto ovest, costituendo esse mero ampliamento di vedute preesistenti e non già trasformazione di luci in vedute, la Corte rilevava che le aperture preesistenti, come emergeva dalla c.t.u. e dalle fotografie in atti, erano più piccole ed erano munite di inferriata posta nell’asse della muratura che non consentiva, per la dimensione della maglia quadrata, di esporre il capo in ogni direzione; le originarie aperture dunque dovevano considerarsi luci, con conseguente infondatezza del motivo di appello.

Con riferimento all’ulteriore motivo di gravame, con cui l’appellante sosteneva che il giudice di primo grado avesse errato nell’ordinare la demolizione della recinzione realizzata sulla corte comune, perchè tale recinzione era stata effettuata dal Comune nel corso dei lavori di sistemazione della strada, la Corte d’appello osservava che l’affermazione dell’appellante era priva di riscontro probatorio, avendo il c.t.u. accertato che la recinzione stessa, realizzata dall’attrice sulla corte comune, aveva il solo scopo di delimitare la sua proprietà.

Quanto al motivo di appello, sempre concernente la disposta demolizione, argomentato sul rilievo che la stessa recinzione era stata realizzata previa autorizzazione da parte di T.P. L., la Corte territoriale osservava che la scrittura contenente tale dichiarazione era stata disconosciuta dagli eredi della T. e che l’appellante non aveva proposto istanza di verificazione.

La Corte d’appello rigettava poi il motivo di gravame concernente le spese processuali, dichiarava assorbito l’appello incidentale condizionato e rigettava invece l’appello incidentale della R..

Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso G. E. sulla base di cinque motivi, cui hanno resistito, con controricorso, T.L., T.M., T. R. e Te.Re..

Poichè il ricorso per cassazione non risultava notificato a R.L., questa Corte, con ordinanza emessa all’adunanza camerale del 10 dicembre 2010, ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di quest’ultima.

La ricorrente ha adempiuto a tale incombente e la discussione della causa è stata fissata per l’udienza pubblica del 30 gennaio 2012.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 873 e 877 cod. civ., nonchè delle norme del PRG del Comune di Marostica, dolendosi del fatto che il giudice d’appello abbia escluso che la normativa vigente al momento della sopraelevazione, applicabile nel caso di specie, contenesse un espressa eccezione all’obbligo di costruire a cinque metri dal confine, essendovi prevista la costruzione in aderenza, senza obbligo di atto di assenso del vicino.

La ricorrente sostiene che l’affermata necessità del consenso del proprietario confinante sarebbe un’aggiunta arbitraria e immotivata del giudice di appello il quale oltretutto sembrerebbe avere dimenticato il principio consolidato che ritiene nulli ed inefficaci i patti delle convenzioni che tendono ad aggirare le norme del PRG, integrative dell’art. 873 cod. civ.. In sostanza, la normativa o prevede la costruzione in aderenza o non la prevede; se non la prevede, il proprietario, anche nelle sopraelevazione, deve rispettare la distanza dai confini e dai fabbricati; se invece la prevede, il preveniente, al di là del consenso del confinante, può decidere di costruire a confine per primo, rimanendo altrimenti svuotata la previsione regolamentare che consente la costruzione in aderenza. Le pronunce di legittimità indicate nella sentenza impugnata a fondamento della decisione adottata, sostiene la ricorrente, non sarebbero poi utili ad affermare la necessità del consenso del vicino.

1.1. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha fatto applicazione del principio affermato da questa Corte, secondo cui "le disposizioni dei piani regolatori che stabiliscono una determinata distanza delle costruzioni tra loro o dai confini dei fondi appartengono alla categoria delle norme integrative del codice civile che, se violate, conferiscono al vicino la facoltà di ottenere la riduzione in pristino. Ne consegue che la regola che vincola il proprietario che ha costruito per primo sul confine, secondo il principio della prevenzione, alla scelta compiuta, imponendogli, nel caso di sopraelevazione, di rispettare il filo della precedente fabbrica, non è applicabile nel caso in cui lo strumento urbanistico locale, successivamente intervenuto, abbia sancito l’obbligo inderogabile di osservare una determinata distanza dal confine ovvero tra le costruzioni perchè tale nuova disciplina, integrativa di quella codicistica, vincola anche il preveniente, che è così tenuto, se vuole sopraelevare, alla osservanza della diversa distanza stabilita senza alcuna facoltà di allineamento (in verticale) alla originaria preesistente costruzione, a meno che la normativa regolamentare non preveda una espressa eccezione in proposito" (Cass. n. 8420 del 2003).

Nella specie, la Corte d’appello ha accertato che la sopraelevazione era stata effettuata nella vigenza dell’art. 24 della variante generale al PRG del Comune di Marostica approvato nel 1980, secondo cui le costruzioni da eseguirsi nella zona rilevante nel presente giudizio dovevano rispettare la distanza di metri cinque dal confine.

Che la sopraelevazione di un edificio preesistente, determinando un incremento della volumetria del fabbricato, sia qualificabile come nuova costruzione, è principio affermato in più occasioni da questa Corte (v., ad esempio, Cass. n. 74 del 2011; Cass. n. 15527 del 2008). Da tale rilievo discende altresì che alla sopraelevazione "è applicabile la normativa vigente al momento della modifica e non opera il criterio della prevenzione se riferito alle costruzioni originarie, in quanto sostituito dal principio della priorità temporale correlata al momento della sopraelevazione" (Cass. n. 74 del 2011, cit.).

Orbene la Corte d’appello, nel ritenere che la sopraelevazione integrasse una nuova costruzione che avrebbe potuto essere considerata legittima alla stregua dell’art. 24 del PRG applicabile al momento della esecuzione delle opere, atteso che la citata disposizione prevedeva la possibilità di costruire in aderenza a condizione che fosse provato il consenso del vicino, non si è discostata dai principi ora richiamati. Invero, nel concetto di costruzione in aderenza è insita la adiacenza della nuova costruzione ad una costruzione preesistente; ove venga realizzata una sopraelevazione, e cioè una nuova costruzione, o questa viene ad aderire ad un corpo preesistente, ovvero, per essere considerata legittima, deve essere accompagnata o dalla contestuale realizzazione di analoga sopraelevazione da parte del vicino confinante, onde consentire il mantenimento della situazione esistente tra le originarie costruzioni, ovvero deve essere accompagnata dal consenso del vicino, risultando altrimenti violata la distanza minima, non essendo configurabile l’ipotesi di costruzione in aderenza.

La sentenza impugnata si sottrae dunque alla proposta censura.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione delle già menzionate norme di diritto, dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui affermava che occorreva prendere in considerazione esclusivamente le norme vigenti al momento della realizzazione dell’opera, essendo irrilevanti eventuali mutamenti successivi.

In proposito, la ricorrente rileva che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, deve tenersi conto della normativa sulle distanze che via via viene approvata dai singoli comuni fino all’udienza di discussione, ben potendo quindi sopravvenire una nuova regolamentazione meno restrittiva, che deve essere tenuta presente dal giudice. Sia il Tribunale che la Corte d’appello avrebbero dunque omesso di prendere in esame la normativa regolamentare sopravvenuta.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Esso si fonda sulla asserita mancata considerazione, da parte dei giudici di merito e, per quanto qui più specificamente rileva, da parte della Corte d’appello, di una normativa urbanistica successiva, che avrebbe consentito l’intervento edilizio, sicchè non avrebbe potuto essere disposta la demolizione della sopraelevazione;

tuttavia, la ricorrente non ha allegato nè nei precedenti gradi del giudizio nè nel ricorso per cassazione l’esistenza di una norma regolamentare o tecnica specificamente individuata, in base alla quale la questione avrebbe potuto essere decisa in senso a lei favorevole.

In proposito, deve rilevarsi che se è vero che "le prescrizioni dei piani regolatori generali e degli annessi regolamenti comunali edilizi che disciplinano le distanze nelle costruzioni, anche con riguardo ai confini, sono integrative del codice civile ed hanno, pertanto, valore di norme giuridiche (anche se di natura secondaria), sicchè il giudice, in virtù del principio iura novit curia, deve acquisirne diretta conoscenza d’ufficio, quando la violazione di queste sia dedotta dalla parte" (Cass. n. 14446 del 2010), e se è vero che "è ammissibile la applicabilità della più favorevole disciplina dei regolamenti locali approvati medio tempore alla controversia in corso", è tuttavia necessaria "la allegazione in sede di legittimità del testo delle norme relative e delle conseguenze che derivano dal nuovo strumento", anche ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ. (Cass. n. 4234 del 2007; Cass. n. 4823 del 2000).

Orbene, pur in presenza di una specifica eccezione contenuta nel controricorso, secondo cui la ricorrente non avrebbe potuto limitarsi a dedurre l’esistenza di una norma sopravvenuta che avrebbe reso lecito l’intervento edilizio oggetto di causa, la ricorrente non ha nè specificato nè allegato quale fosse la norma in base alla quale la causa avrebbe dovuto essere decisa, mantenendo quindi la censura su un piano di inammissibile genericità. 3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione delle norme sulle vedute e sulle luci ( artt. 900, 901 e 904 cod. civ.), sostenendo che la Corte dr appello avrebbe erroneamente affermato che per aversi veduta debba esservi la possibilità non solo di inspicere nel fondo del vicino, ma anche di affacciarsi.

La ricorrente rileva che sulla questione sussisterebbe un contrasto di giurisprudenza, rinvenendosi anche sentenze nelle quali il requisito della mancanza della possibilità di affacciarsi, in determinate condizioni, non escluderebbe la configurabilità dell’apertura come veduta. Nella specie, quindi, la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che le preesistenza" ti aperture costituissero luci, anche perchè le inferriate sulle dette aperture del secondo piano erano state apposte non già per escludere la possibilità di affaccio, ma esclusivamente per motivi di sicurezza.

3.1. Il motivo è inammissibile, atteso che la censura, lungi dall’evidenziare un contrasto di giurisprudenza in ordine alle caratteristiche delle vedute e alla distinzione delle stesse dalle luci, si sostanzia nella richiesta di un diverso apprezzamento delle circostanze di fatto, adeguatamente svolto dalla Corte d’appello con motivazione congrua e immune dai denunciati vizi logico-giuridici.

La Corte d’appello, invero, raffrontando le caratteristiche delle aperture prima della esecuzione dei lavori di sopraelevazione e quelle delle aperture dopo la esecuzione di tali opere è giunta alla motivata conclusione che le aperture originarie erano delle luci, atteso che la preesistente inferriata aveva le maglie di dimensioni cosi ridotte da non consentire l’affaccio, mentre quelle realizzate all’esito dei lavori di sopraelevazione, come apprezzate dal c.t.u. e come apprezzate direttamente sulla base delle allegate fotografie, costituivano delle vedute. Di qui la infondatezza del motivo in esame.

4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione per avere la sentenza impugnata ritenuto che la recinzione fosse stata eseguita interamente da essa ricorrente e non in gran parte dal Comune, per separare e isolare la strada (OMISSIS), allargata dal Comune, dalla sua proprietà. Contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, nella relazione del c.t.u. si riferiva che essa ricorrente aveva sostituito l’attuale rete metallica posta sul confine nord con una ringhiera in tavole di legno e struttura in ferro; il medesimo c.t.u., nella relazione suppletiva, aveva poi precisato che la recinzione era stata costruita dal Comune. La statuizione relativa alla demolizione della recinzione sarebbe quindi illegittima.

4.1. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha rilevato che, secondo il condiviso giudizio del c.t.u., la recinzione in questione era stata realizzata dall’attrice sulla corte comune ed aveva il solo scopo di delimitare la sua proprietà. La Corte territoriale ha ritenuto altresì che l’assunto della appellante, secondo cui la recinzione sarebbe stata effettuata dal Comune nel corso dei lavori di sistemazione della strada, fosse rimasto del tutto sfornito di prova.

Orbene, le censure della ricorrente non appaiono idonee a scalfire la logicità e la adeguatezza dell’apprezzamento sul punto effettuato dalla Corte d’appello. Si deve solo aggiungere che la ricorrente introduce nel motivo in esame anche questioni che non risultano essere state trattate nella sentenza impugnata, quale ad esempio l’esistenza di un procedimento espropriativo di parte della corte comune in favore del Comune di Marostica, ma omette di specificare le fonti probatorie dalle quali le dette circostanze emergevano;

sicchè, per questo aspetto, il motivo si presenta anche privo del requisito di autosufficienza, rimanendo le indicate circostanze sul piano delle mere allegazioni della ricorrente, non supportate dalla dimostrazione della idonea introduzione delle stesse nel dibattito processuale.

5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza e del procedimento, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, in riferimento all’art. 2697 cod. civ. e alla disciplina della comproprietà, in quanto la controparte non avrebbe dimostrato nè il compossesso nè la comproprietà – oggetto di specifica contestazione nei gradi di merito – del terreno che si trovava in prossimità dell’entrata di essa ricorrente a ridosso della strada via (OMISSIS). La Corte d’appello, sostiene la ricorrente, avrebbe dunque dovuto respingere la richiesta di tutela di un diritto di comproprietà su una presunta corte comune non essendo stato dimostrato il relativo diritto.

5. Il motivo è inammissibile, in quanto prospetta una questione nuova, della quale non risulta che nel corso del giudizio le parti abbiano dibattuto. Nella sentenza impugnata, del resto, risultano specificamente indicati i motivi di appello proposti dalla odierna ricorrente e tra questi non ve ne è alcuno che affronti la questione oggetto del motivo in esame.

E’ noto che nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (Cass. n. 3881 del 2000; Cass. n. 20005 del 2005).

6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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