Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 21-10-2011) 07-11-2011, n. 40061

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 29/9/2010, la Corte di appello di Napoli, confermava la sentenza del Tribunale di Avellino, in data 12/5/2009, che aveva condannato R.G. alla pena di anni 5, mesi 6 e gg. 20 di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa per i reati di rapina aggravata e sequestro di persone in concorso.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti, ed equa la pena inflitta.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando un unico motivo di gravame con il quale deduce che la sentenza impugnata è totalmente priva di motivazione.

Al riguardo si duole che la Corte territoriale si sia limitata a ritrascrivere ovvero a richiamare per relationem la motivazione della sentenza di primo grado, senza effettuare alcuna disanima della documentazione prodotta dalla difesa e degli elementi probatori richiamati nei motivi di gravame (perizia medico-legale del dr. F. e CTP del dr. T.). Osserva inoltre che nel fascicolo d’ufficio non risultano presenti nè gli elaborati peritali, nè risulta trascritto il verbale dell’udienza del 12/5/2009 nel corso del quale in perito dr. F. fu a lungo sentito a chiarimenti dal Tribunale. Pertanto eccepisce che la decisione è viziata dalla mancata lettura di tali atti di cui la Corte non ha rilevato neppure l’assenza.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile in quanto fondato su motivi non consentiti nel giudizio per cassazione e comunque manifestamente inammissibili.

In punto di diritto occorre rilevare che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Pertanto, il giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4827 del 28/V1994 (ud. 18=1994) Rv. 198613, Lo Parco; Sez. 6, Sentenza n. 11421 del 25/13/1995 (ud. 29/9/1995), Rv. 203073, Baldini). Inoltre, la giurisprudenza di questa Suprema Corte ritiene che non possano giustificare l’annullamento minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero potuto dar luogo ad una diversa decisione, semprechè tali elementi non siano muniti di un chiaro e inequivocabile carattere di decisività e non risultino, di per sè, obiettivamente e intrinsecamente idonei a determinare una diversa decisione. In argomento, si è spiegato che non costituisce vizio della motivazione qualsiasi omissione concernente l’analisi di determinati elementi probatori, in quanto la rilevanza dei singoli dati non può essere accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che soltanto una valutazione globale e una visione di insieme permettono di verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell’impianto argomentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo caso, implicitamente confutati. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3751 del 23/3/200 (ud. 15/2/2000), RV. 215722, Re Carlo; Sez. 5, Sentenza n. 3980 del 15/10/2003 (Ud. 23/9/2003) Rv.

226230, Fabrizi; Sez. 5, Sentenza n. 7572 del 11/6/1999 (ud.

22/4/1999) Rv. 213643, Maffeis).

Le posizioni della giurisprudenza di legittimità rivelano, dunque, che non è considerata automatica causa di annullamento la motivazione incompleta ne1 quella implicita quando l’apparato logico relativo agli elementi probatori ritenuti rilevanti costituisca diretta ed inequivoca confutazione degli elementi non menzionati, a meno che questi presentino determinante efficienza e concludenza probatoria, tanto da giustificare, di per sè, una differente ricostruzione del fatto e da ribaltare gli esiti della valutazione delle prove.

In applicazione di tali principi, può osservarsi che la sentenza di secondo grado recepisce in modo critico e valutativo la sentenza di primo grado, correttamente limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni aspetti del complesso probatorio oggetto di valutazione critica da parte della difesa, omettendo, in modo del tutto legittimo in applicazione dei principi sopra enunciati, di esaminare quelle doglianze degli atti di appello che avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice.

Per quanto riguarda, poi, l’eccepito vizio derivante dalla mancata lettura di specifici atti non presenti nel fascicolo d’ufficio (la perizia del dr. F. e la Consulenza di parte del dr. T.), di cui la Corte ha dovuto necessariamente tenere conto nello sviluppo della motivazione, va rilevato che la censura non è ammissibile in quanto si riferisce a fatti successivi alla decisione della Corte d’appello, pronunziata in data 29/09/2010 e persino al deposito della sentenza, avvenuto in data 13/10/2010. Infatti il certificato della Cancelleria che attesta la mancanza di tali atti reca la data del 15/11/2010. Il fatto che la Corte d’appello non abbia rilevato la mancanza di tali atti dal fascicolo d’ufficio, lascia presumere che gli stessi siano andati smarriti successivamente alla decisione.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *