T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 07-12-2011, n. 1023

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato l’11.1.2011, tempestivamente depositato, il dott. G.P., titolare di uno studio medico in Gaeta, ha impugnato l’ordinanza in epigrafe con cui il Dirigente del VI° Settore LL.PP. del Comune di Gaeta, gli ha intimato la cessazione dell’esercizio dell’attività sanitaria, nonché la chiusura della struttura in cui viene esercitata detta attività.

Il provvedimento è stato così motivato:

"Vista la nota N. 11296/11 "P" datata 24 luglio 2010 del Comando Carabinieri per la Tutela della

Salute – N.A.S. di Latina, acquisita agli atti del Comune in data 29/7/2010 prot. Gen.. 37031, con la si chiede di emettere provvedimento di cessazione dell’esercizio e la chiusura della struttura

adibita ad attività sanitaria sita via Piave n. 16, ai sensi dell’art.. 12, comma 2, della L.R. n. 4/2003, in quanto sprovvista del prescritto titolo autorizzatorio ed in carenza di denuncia di attività nella sede in oggetto;

Visto il verbale di accertamento, controllo e ispezione igienicosanitaria eseguito presso lo studio medico dermatologico del Dr. G.P., sito in via Piave 16, redatto dal NA.S. di Latina in data 4.6.2010 ed allegato alla nota succitata;

Vista la nota prot. 38282 del 5.7.2010 a firma del dirigente del VI settore di questo Comune, con

quale veniva trasmessa copia della nota N.1 1296/11 "P" 2010 alla ASL Latina – Comprensorio -Meridionale di SS. Cosma e Damiano, con invito a provvedere per quanto di competenza;

Vista la nota prot. 112613 D4/59/06 del 24 settembre 2010 della Regione Lazio – Dip.to Sociale, Direzione Regionale, acquisita agli atti comunali in data 4 ottobre 2010 prot. gen. 50678,

con la quale, in relazione alla visita ispettiva del comando N.A.S. di cui sopra, effettuata presso lo studio medico del dott. P.G. e dott. J.L.M. sito in via Piave 16, si fa presente che non risulta agli atti degli uffici della Regione Lazio alcuna documentazione o richiesta in merito al suddetto studio medico e pertanto in virtù delle normative vigenti si invitano le amministrazioni competenti all’applicazione di quanto previsto per le inadempienze rilevate;

Richiamata la propria nota in atti prot. gen. 51819 del 7.10.2010 con la quale è stata sollecitata la ASL di Latina – Dipartimento di Prevenzione, quale struttura competente; alla espressione del parere tecnico in ordine alla esatta classificazione della attività sanitaria in trattazione ai sensi dell’art. 4 della LR 4/03…(omissis) ordina…la immediata cessazione dell’esercizio e la chiusura della struttura"… omissis.

A sostegno del prodotto ricorso l’istante deduce le seguenti censure alla statuizione impugnata: violazione degli artt. 4 e 12 della L. R. del Lazio n. 4/03, eccesso di potere sotto vari profili, posto che per l’esercizio della attività medica svolta dal ricorrente non sarebbe stata necessaria alcuna autorizzazione

Il Comune di Gaeta, ritualmente costituitosi in giudizio, ha concluso per la reiezione del ricorso.

Con ordinanza n. 154, emessa nella camera di consiglio del 24.3.2011, il collegio respingeva la domanda incidentale di sospensione.

Successivamente, alla pubblica udienza del 20.10.2011, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo di censura dedotto il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 4 e 12 della L. R. del Lazio 3.3.2003, n. 4,oltre al vizio di eccesso di potere sotto vari profili, posto che l’attività medica esercitata dal ricorrente non avrebbe richiesto il rilascio di alcun provvedimento autorizzatorio.

Il ricorso appare fondato.

Il quadro normativo di riferimento è costituito, anzitutto, del d. lgs. n. 502/92 e successive modifiche che ha espressamente sottoposto a specifica autorizzazione l’esercizio, tra l’altro, degli studi medici…"ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente ".

Tale previsione è stata in toto recepita dal Legislatore regionale che, al comma 2 dell’art. 4 della citata L.R. n. 4/2003 e successive modifiche, ne ha integralmente riproposto il contenuto.

Stabilisce, testualmente, il citato art. 4 che: "sono soggette alle autorizzazioni alla realizzazione e all’esercizio: a) le strutture che erogano prestazioni di assistenza specialistica, in regime ambulatoriale ivi comprese quelle riabilitative; b) le strutture che erogano prestazioni in regime di ricovero ospedaliero a ciclo continuativo e/o diurno per acuzie e/o postacuzie; c) le strutture sanitarie e sociosanitarie che erogano prestazioni in regime residenziale e semiresidenziale; d) gli stabilimenti termali; Sono soggette all’autorizzazione all’esercizio, altresì, le attività di assistenza domiciliare, gli studi odontoiatrici, medici e di altre professioni sanitarie, ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, nonché le strutture esclusivamente dedicate ad attività diagnostiche"

Viene, poi, in considerazione la delibera 8 febbraio 2008, n. 73 con cui la G.R ha approvato le "linee guida propedeutiche al rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività sanitaria in favore degli studi medici di cui all’art. 4, comma 2, legge regionale n. 4/2003 nonché all’esercizio dell’attività sanitaria per le ulteriori tipologie di studi medici non riconducibili a predetta fattispecie", fissazione termini presentazione istanze autorizzative".

Dalle surriferite coordinate ermeneutiche risulta evidente come il Legislatore abbia ritenuto opportuno focalizzare l’attenzione non tanto sulla definizione di studio medico, quanto piuttosto sulla tipologia di prestazioni sanitarie erogate da quest’ultimo, individuando le stesse quali discriminanti propedeutiche all’identificazione delle strutture sottoposte ad autorizzazione.

Ai fini del rilascio del provvedimento di autorizzazione, i parametri di riferimento richiamati dal Legislatore, riguardano perciò l’erogazione, presso le strutture in questione: a) di prestazioni di chirurgia ambulatoriale; b) di procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente.

Di qui è possibile identificare due diverse tipologie di studio medico: la prima, non sottoposta ad autorizzazione all’esercizio, in quanto non erogante prestazioni sanitarie riconducibili alle succitate categorie; la seconda, invece, oggetto del citato provvedimento, in quanto erogante prestazioni sanitarie riconducibili alle tipologie di cui sopra.

Non va peraltro sottaciuto che, l’art. 193 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie, ha sottoposto a specifica autorizzazione le strutture ambulatoriali, nulla peraltro prevedendo per gli studi medici che, conseguentemente, sono stati implicitamente esclusi dalla necessità di acquisire il citato titolo.

Tale situazione non ha subito mutamenti neppure a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 833/78 che ha, tra l’altro, attribuito alle regioni la competenza in materia di autorizzazione sanitaria, senza peraltro apportare innovazioni in ordine alla questione di cui trattasi.

Ne deriva che la principale questione, al fine di risolvere il caso in esame, è quella di delimitare le tipologie strutturali per le quali si renda necessaria l’acquisizione della vista autorizzazione.

In proposito si deve rilevare che, la prassi amministrativa, si è trovata a dirimere la problematica della distinzione tra "studio medico" ed "ambulatorio medico", in assenza di specifiche disposizioni legislative, individuando in via generale solamente la seconda quale destinataria del provvedimento stesso.

In proposito ha acquisito specifica rilevanza la diversa complessità organizzativa e tecnologica delle due tipologie strutturali, nonché la prevalenza, nell’una, del profilo organizzativo rispetto a quello tipicamente professionale, tratto distintivo dell’altra.

Con la circolare n. 7630 del 21 ottobre 1998, la Regione Lazio si è occupata di tale specifica questione, definendo ambulatorio per il cui esercizio è richiesta l’autorizzazione "ogni struttura aziendale destinata alla diagnostica e/o alla terapia medica extraospedaliera"; caratterizzando, invece, lo studio medico nella struttura "in cui si esercita un’attività sanitaria, nella quale in altri termini il profilo professionale prevale assolutamente su quello organizzativo".

In definitiva alla stregua del visto atto interno "tutti coloro che sono in possesso di valido titolo, che abiliti per legge a svolgere un’attività sanitaria, anche in via autonoma, possono aprire il proprio studio professionale", senza obbligo di conseguire preventivamente la relativa autorizzazione all’esercizio.

A questo proposito si consideri, altresì, che il codice civile prevede l’obbligo di conseguire il titolo autorizzativo all’esercizio nel caso in cui l’attività sanitaria sia organizzata in forma d’impresa (cfr art. 2238 e artt. 2082 e s.s. del C.C.), risultando in tal senso sempre prevalente la componente organizzativa rispetto a quella di professione intellettuale.

Se tali sono i riferimenti da applicarsi al caso di specie, è innegabile tuttavia che, con l’evolversi della tecnologia in campo sanitario, il termine "studio professionale medico" si è venuto ad applicare ad attività molto diverse: da quelle di carattere strettamente diagnostico, improntate sul rapporto professionistautente, senza la necessità dell’utilizzo di particolari attrezzature, a quelle di carattere più complesso, riguardanti – ad esempio – l’utilizzo di tecniche chirurgiche.

Il Legislatore, nel disciplinare le tipologie di studi medici sottoposti ad autorizzazione – trascura peraltro di soffermarsi sulla generale definizione degli stessi – concentrando la propria attenzione sulla complessità e pericolosità per il paziente sulle tipologie di prestazioni erogate presso la struttura, indipendentemente dalla categoria astratta di relativa assegnazione.

Risulta, perciò, in parte ridimensionata la questione sin qui trattata circa la differenza tra lo studio e l’ambulatorio medico, dovendosi piuttosto ritenere, sottoposta a specifica autorizzazione all’esercizio, ogni struttura che eserciti prestazioni di chirurgia ambulatoriale ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente.

In effetti, ai sensi del citato art. 4, comma 2, della L.R. n. 4/2003, sono sottoposti ad autorizzazione all’esercizio di attività sanitaria, tra gli altri, gli studi medici, "ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente".

Segnatamente, rientra nell’ambito di applicazione di detta previsione e risulta conseguentemente sottoposto a specifica autorizzazione all’esercizio, ai sensi dell’art. 7 della stessa legge, lo studio medico ove il singolo professionista medico o più professionisti medici associati esercitano, ciascuno in forma autonoma e sotto la propria responsabilità, l’attività professionale, erogando prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche considerate invasive, e/o comportanti l’esecuzione di atto anestesiologico che vada oltre l’anestesia topica o locale.

Sono peraltro considerate non invasive le seguenti procedure mediche:

medicazione; sutura di ferita superficiale; rimozione di punti di sutura e medicazione; fleboclisi; iniezioni endovenose; lavanda gastrica; iniezione di gammaglobuline o vaccinazioni; agopuntura; mesoterapia; iniezione cutanea desensibilizzante; infiltrazione peri e intra articolari; esami citologici e colturali; rimozione di tappo di cerume; drenaggio di ascesso sottocutaneo; asportazione di verruche; trattamento provvisorio di frattura o lussazione mediante immobilizzazione con materiale idoneo – piccoli segmenti – grandi segmenti; atti anestesiologici che non vadano oltre l’anestesia topica o locale; ogni altra prestazione professionale assimilabile alle sopra indicate, secondo le evidenze scientifiche o le vigenti discipline di settore.

Alla stregua di dette coordinate ermeneutiche è possibile ora vagliare la natura dell’attività svolta nello studio medico del ricorrente, al fine di stabilire se, per la stessa, sia o meno necessaria l’autorizzazione all’esercizio.

In primo luogo va rilevato che, dall’esame delle singole apparecchiature rinvenute nello studio del ricorrente ed espressamente elencate dagli organi accertatori nel foglio allegato al verbale 4.6.2010 (computer per epiluminescenza, luce pulsata per depilazione, apparecchio per radiofrequenza), non sembra ragionevolmente potersi pervenire alla conclusione che tali apparecchiature elettromedicali vadano annoverate tra quelle richiedenti autorizzazioni all’esercizio, anche alla stregua delle surriferita elencazione di cui alle linee guida.

Analogamente, le prestazioni sanitarie, eseguite rispettivamente dal dott. P. (laureato in medicina e chirurgia), e dal dott. M., risultano certamente compatibili con i titoli professionali dagli stessi posseduti ed esibiti in sede di controllo effettuato dai NAS.

Può, quindi, ragionevolmente escludersi che, presso il richiamato studio, si siano erogate prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche considerate invasive, e/o che abbiano comportato l’esecuzione di attività anestesiologico superiori all’anestesia topica o locale.

In conclusione il ricorso deve essere accolto.

Sussistono peraltro giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, stante la complessità della materia trattata.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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