Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-10-2011) 07-11-2011, n. 40051 Stupefacenti attività illecita

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 21.2.11 la Corte d’Appello di Bari confermava la condanna emessa in data 8.3.01 all’esito di rito abbreviato dal GUP del Tribunale della stessa sede nei confronti di C.S. per i delitti di cessione continuata di sostanze stupefacenti (eroina), con l’attenuante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5), estorsione e tentata estorsione.

Tramite il proprio difensore il C. ricorreva contro la sentenza, di cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

a) violazione dell’art. 649 c.p.p., poichè per lo stesso fatto il ricorrente era stato già giudicato con precedente sentenza n. 272/99 emessa ex art. 444 c.p.p. per detenzione a fini di spaccio di svariate dosi di eroina; a riguardo la Corte territoriale aveva escluso l’identità del fatto perchè quello già giudicato con tale pronuncia risaliva al 27.5.99, mentre la cessione di eroina oggetto del presente procedimento era connessa alla morte del tossicodipendente Ci.Le. (rifornito dal C.), avvenuta il 3.4.99, sicchè in nessun caso tale cessione poteva avere avuto ad oggetto la droga di cui il ricorrente era stato trovato in possesso in data 27.5.99; in realtà – si obiettava nell’atto di impugnazione – i due procedimenti (pur distintamente rubricati) erano stati originati da un’unica notitia criminis conseguente all’arresto del C. in data 27.5.99 e all’esito della perquisizione nella sua abitazione, che aveva portato al ritrovamento di monili in oro che il Ci. gli aveva dato in pagamento delle dosi di eroina fornitegli, sicchè l’arresto eseguito il 27.5.99 rappresentava il momento finale d’una attività già in essere alla data del decesso del Ci. (3.4.99);

b) vizio di motivazione nella parte in cui la gravata pronuncia aveva omesso di considerare che non vi erano riscontri oggettivi all’ipotizzata condotta di cessione di eroina da parte del C. al Ci., anche perchè dall’esame autoptico era emersa la presenza di cocaina nel sangue del C. medesimo;

c) vizio di motivazione sul requisito della violenza e/o minaccia del delitto di estorsione, tale non potendosi considerare la mera dazione di braccialetti e d’un telefonino cellulare, che costituiva soltanto una modalità di pagamento della sostanza stupefacente acquistata dal Ci.; nè la deposizione delle testi D. e P. aveva fatto emergere alcunchè a riguardo.

Motivi della decisione

1 – Il ricorso è infondato.

Il motivo che precede sub a) si basa, in sostanza, sulla illazione che il C. detenesse fin dal 3.4.99 (data della cessione di stupefacente al Ci., che poco dopo morì per una overdose di eroina e cocaina) l’eroina di cui fu poi trovato in possesso 54 giorni dopo – vale a dire il 27.5.99 – e per la quale è già stato giudicato ex art. 444 c.p.p..

Si tratta di mera indimostrata illazione – peraltro spendibile, semmai, in sede di merito, ma non certo di legittimità – che trascura che la detenzione di sostanze stupefacenti che si protragga oltre la cessione di una parte di essa, lungi dal restare assorbita in tale ultima condotta, costituisce ulteriore autonomo reato la cui permanenza cessa solo con il sequestro delle sostanze medesime.

Invero, come questa S.C. ha già avuto modo di statuire (cfr. Cass. Sez. 4 n. 34332 del 3.6.09, dep. 4.9.09), il delitto di detenzione di sostanze stupefacenti ha natura permanente e la sua consumazione si protrae sino a quando è in essere la relazione di disponibilità della sostanza in capo al detentore, mentre il delitto di cessione di sostanze stupefacenti ha natura istantanea e si consuma nel momento in cui la cessione medesima viene posta in essere.

Dunque, in nessun caso la detenzione di eroina protrattasi fino al 27.5.99 potrebbe integrare lo stesso reato o comunque restare assorbita nella cessione di altra eroina avvenuta in precedenza, ossia il 3.4.99, il che esclude l’identità del fatto necessaria per potersi fare luogo a divieto di bis in idem ex art. 649 c.p.p..

2- Il motivo che precede sub b) si colloca al di fuori del novero di quelli consentiti ex art. 606 c.p.p., perchè in esso sostanzialmente si svolgono mere (generiche) censure sulla valutazione di merito operata dai giudici del gravame, che con motivazione esauriente, logica e scevra da contraddizioni hanno evidenziato che la prova della cessione si rinviene nelle coerenti dichiarazioni delle testi D. e P., rispettivamente madre e sorella del Ci., da cui si evince che il C. pretese a titolo di garanzia del futuro pagamento della sostanza stupefacente la consegna di quegli stessi braccialetti in oro (compiutamente descritti) che furono poi trovati in casa dell’odierno ricorrente e riconosciuti dalle summenzionate testimoni.

Ogni contrario argomento speso a riguardo in ricorso si traduce in mera sollecitazione di nuovo apprezzamento in punto di fatto del materiale probatorio, il che è precluso innanzi a questa S.C..

3- Il motivo che precede sub c) è infondato: come esattamente statuito dai giudici del merito, i suddetti monili in oro costituivano non già il pagamento della fornitura di sostanza stupefacente, bensì la relativa garanzia, nel senso che il C., per ottenere l’ingiusto profitto consistente nel pagamento della fornitura (ingiusto a cagione dell’illiceità del contratto), minacciò di non restituirli al Ci. se non fosse stato pagato.

Rebus sic stantibus, la conclusione in punto di diritto cui è pervenuta l’impugnata sentenza è coerente con l’insegnamento di questa Corte Suprema, secondo cui, avendo causa illecita il contratto di acquisto di sostanze stupefacenti (al di fuori delle ipotesi consentite D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 17), ogni violenza o minaccia finalizzata ad ottenere la restituzione di quanto eventualmente versato integra il delitto di estorsione (cfr., Cass. Sez. 4 n. 13037 del 21.10.99, dep. 12.11.99), trattandosi di pretesa non tutelabile innanzi all’A.G..

A fortiori, ricorre la figura incriminatrice di cui all’art. 629 c.p. nell’ipotesi reciproca, vale a dire quando violenze o minacce siano esercitate per ottenere il pagamento di una già eseguita fornitura di sostanza stupefacente.

A tal fine basti ricordare che la causa illecita per contrarietà al buon costume (art. 1343 c.c.) di tale contratto comporta non solo l’irripetibilità ex art. 2035 c.c. della prestazione eventualmente eseguita, ma – a maggior ragione – l’impossibilità di adire il giudice per ottenere l’adempimento coattivo o (come nel caso in oggetto) per escutere o ritenere la garanzia prestata dall’acquirente.

4- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi. Consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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