Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-05-2012, n. 7151

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.L. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi illustrati anche da memoria, avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona, in epigrafe indicata, che ha rigettato l’appello da lei proposto avverso la sentenza resa dal Tribunale di Ancona il 13.5.2002. Con tale sentenza era stata rigettata la domanda proposta, a norma dell’art. 2395 cod. civ., dalla P. nei confronti di alcuni degli amministratori della fallita CEMIM s.c.p.a., alla quale l’attrice aveva promesso di vendere, e materialmente consegnato, un ampio appezzamento di terreno al prezzo di L. 478.201.000 da versarsi al momento della stipula dell’atto pubblico, prezzo in effetti mai percepito se non in minima parte per la mancata stipula.

Amministratori che erano stati condannati, con sentenza a norma dell’art. 444 cod. proc. pen., per reati connessi alla appropriazione ed alla distrazione di risorse e capitali della società.

La Corte d’appello ha, in sintesi, condiviso i rilievi del Tribunale secondo cui la domanda di risarcimento dei danni che si assumono causati dai predetti comportamenti illeciti degli amministratori convenuti – per avere cioè provocato il fallimento della società, e quindi l’inadempimernto della medesima al contratto preliminare concluso con l’attrice – ha ad oggetto un danno incidente solo indirettamente sul patrimonio della parte attrice, e non è quindi sussumibile nella previsione normativa dell’art. 2395 cod. civ. Ha inoltre ritenuto inammissibile, in quanto tardiva e comunque generica, la domanda di risarcimento di danni non patrimoniali.

Al ricorso resistono, con controricorso, gli intimati, eredi di F.F., uno degli originari convenuti.

Motivi della decisione

1. Con i due motivi di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, rispettivamente, l’omessa o insufficiente e contraddittoria motivazione delle Delib. G.R. Marche n. 8555 del 1989 e Delib.G.M. Marche n. 5448 del 1990 e l’aver omesso di valutare, o in ogni caso aver valutato superficialmente ed illogicamente, la richiesta di liquidazione del danno non patrimoniale. La pronuncia di rigetto di tale istanza viene censurata anche sotto il diverso profilo della violazione di legge ( artt. 2043, 2059, 2727 e 2729 c.c.).

2. Deve preliminarmente rilevarsi come, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile nella specie trattandosi di impugnazione avverso provvedimento depositato nel novembre 2008 e quindi nel periodo di vigenza della norma), l’illustrazione di ciascun motivo, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. da 1 a 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame. Analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr. ex multis: Cass. S.U. n. 20603/2007; Sez. 3 n. 16002/2007; n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

Ciò posto, si osserva che, nel caso in esame, l’illustrazione del primo motivo si conclude con un quesito di diritto del tutto inidoneo, alla stregua dei principi qui enunciati, in quanto in esso manca il richiamo alla ratio della statuizione sottoposta a critica, e la conseguente contrapposizione ad essa di una ratio diversa.

Analoghe considerazioni valgono per il quesito con il quale si conclude l’illustrazione del secondo motivo, quesito che affronta incongruamente questioni non esaminate dalla sentenza impugnata.

La declaratoria della inammissibilità del ricorso ne deriva dunque di necessità, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 6.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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