Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-10-2011) 07-11-2011, n. 40048

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con sentenza n. 110 del 25.01.2011 la Corte di Appello di Cagliari, decidendo in sede di rinvio, a seguito di sentenza di questa Corte in data 7.10.2008, di annullamento della sentenza della Corte di Appello di Cagliari del 20/09/2007, ha confermato la confisca disposta ai sensi del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies in primo grado nei confronti degli odierni ricorrenti. Avverso la pronunzia resa in sede di rinvio hanno presentato ricorso l’imputato e i suoi familiari sollevando un unico motivo, sulla violazione dell’art. 111 Cost., art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 627 c.p.p., n. 3, con riferimento alla confisca dei beni di proprietà di P. G., nonchè di quelli di pertinenza della moglie e dei figli e dei quali P.G. avrebbe disposto per interposta persona.

In particolare, i ricorrenti censurano la sentenza sostenendo che i giudici di merito non si sono attenuti al principio di diritto stabilito da questa Corte e precisato in sede di rinvio secondo cui al fine di disporre la confisca conseguente a condanna per uno dei reati indicati nel D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies, commi 1 e 2, conv. con modificazioni nella L. 7 agosto 1992, n. 356 (modifiche urgenti al nuovo c.p.p. e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa) allorchè sia provata l’esistenza di una sproporzione tra il reddito dichiarato dal condannato o i proventi della sua attività economica e il valore economico dei beni da confiscare e non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di essi, è necessario, da un lato, che, ai fini della "sproporzione", i termini di raffronto dello squilibrio, oggetto di rigoroso accertamento nella stima dei valori economici in gioco, siano fissati nel reddito dichiarato o nelle attività economiche non al momento della misura rispetto a tutti i beni presenti, ma nel momento dei singoli acquisti rispetto al valore dei beni di volta in volta acquisiti, e, dall’altro, che la "giustificazione" credibile consista nella prova della positiva liceità della loro provenienza e non in quella negativa della loro non provenienza dal reato per cui è stata inflitta condanna.

In particolare, lamentano i ricorrenti che per quanto concerne gli immobili oggetto di confisca, gli stessi sarebbero stati edificati in un arco di tempo estremamente lungo, e pari a venti anni, a mezzo dell’opera gratuitamente fornita in questo lasso di tempo dalle maestranze, di modo che l’operazione economica non si mostrerebbe sproporzionata neppure rispetto alla esigua consistenza dei redditi degli imputati, anche in considerazione del presumibile ambito di evasione fiscale nel quale deve aver operato la A., moglie dell’imputato, nella sua trentennale attività di piccola imprenditrice.

Con riguardo alle disponibilità integrate dal libretto nominativo e dal dossier titoli confiscati alla A. sarebbe parimenti mancata una comparativa valutazione tra le reali disponibilità economiche della stessa e i progressivi accumuli di somme di denaro costituenti le disponibilità in oggetto.

2. – Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

La Corte di Appello esprime una dettagliata ed esaustiva motivazione del suo convincimento, fondando lo stesso – quanto ai cespiti immobiliari – sulle risultanze di una perizia appositamente realizzata e prendendo chiaramente posizione sulle dichiarazioni testimoniali in contrasto con detta perizia e sopra riportate, giudicando non credibile un apporto gratuito di manodopera anche specializzata protrattosi per venti anni, anche alla luce delle contrapposte risultanze esposte dal perito in ragione della modernità dei materiali utilizzati; e – quanto ai depositi titoli – articolando il ragionamento nel raffronto tra le emersioni documentali dei modesti redditi dichiarati dalla A. e le necessità familiari con la sproporzionata entità dei risparmi realizzati dalla stessa.

Nemmeno deve sottovalutarsi il richiamo, da parte della difesa, di una possibile evasione fiscale della A., in sè non dimostrata nel processo e indicativa della impossibilità di altrimenti giustificare la riscontrata sproporzione tra redditi e beni nel periodo rilevante.

Ciò anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo cui in presenza della sproporzione tra redditi dichiarati dall’imputato o proventi della sua attività economica e consistenza economica dei beni confiscati sia onere dell’imputato esporre un giustificazione credibile, ossia la prova positiva della provenienza di quei beni o delle sostanze necessarie all’acquisto o alla costruzione degli stessi (cfr. Cass. Sez. Un. 17.12.2003, n. 920). Con la precisazione che i termini di raffronto dello squilibrio sono indicati, nella norma di legge, in via alternativa, nel reddito dichiarato o nella attività economica svolta; di modo che, in presenza di reddito dichiarato, ossia di un dato ufficiale, il giudice non deve ulteriormente indugiare in una indagine sulla sproporzione che risulta già acclarata dal dato documentale a meno che l’imputato non dimostri in modo serio la titolarità di un’attività economica che superi di fatto l’immagine reddituale rappresentata al fisco: nel qual caso il giudice deve adeguatamente motivare il suo convincimento anche con riguardo a tale dato della realtà (cfr. Cass., sez. 5, 25.9.2007, n. 39048).

Può dunque concludersi che il ragionamento della Corte di Appello si svolge in maniera logica e coerente, con dettagliata considerazione di tutte le premesse armonicamente confluenti in un esito maturato in rigorosa applicazione del principio di diritto pronunciato da questa Corte, disattendendo le giustificazioni sulla sproporzione fornite dall’imputato giudicandole con impeccabile percorso argomentativo non credibili (così le testimonianze sulla manodopera gratuita per venti anni) o irrilevanti (perchè integrate da mere supposizioni: così per l’argomento sulla probabile evasione fiscale).

Le prospettazioni svolte nel ricorso, tutte fondate su una diversa ricostruzione del fatto (come soprattutto denuncia il richiamo al contenuto delle testimonianze dichiarate non credibili dai giudici di appello) sono sottratte alla valutazione di questa Corte di legittimità, restando del tutto irrilevante se la decisione di merito proponga o meno la migliore ricostruzione dei fatti, bastando invece che essa sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v. Cass. 3 ottobre 2006, n. 36546; Cass. 10 luglio 2007, n. 35683; Cass. 11 gennaio 2007, n. 7380).

3. – All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che si stima equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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