Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-10-2011) 07-11-2011, n. 40046

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con sentenza n. 1173 del 26.11.2010 la Corte di Appello di Messina ha confermato la sentenza emessa in data 29.11.2007 dal GUP del Tribunale di Messina che aveva condannato l’imputato per il delitto di appropriazione indebita avendo lo stesso, abusando dei ruoli gestori ricoperti nelle associazioni sportive Età Beta ed Ad Altiora, prelevato somme dai conti correnti delle stesse appropriandosene. Avverso la pronunzia della Corte di Appello l’imputato a mezzo di avvocato propone ricorso per cassazione articolando tre motivi.

Il primo per vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge per avere i giudici di merito basato la propria decisione sulle dichiarazioni autoindizianti dell’imputato in realtà non utilizzabili perchè rese, in sede ispettiva, in presenza di indizi di reità e in assenza delle garanzie stabilite nel codice di procedura penale.

Il secondo motivo contesta la illogicità e la contraddittorietà della motivazione per essere la stessa basata su assunti circa la ricostruzione del fatto che avrebbero dovuto determinare la esclusione della figura di reato contestata (appropriazione indebita) e invece, e qualora tali fatti fossero stati effettivamente provati, la rilevanza di altra e diversa fattispecie penale (e precisamente la truffa). In particolare, osserva il ricorrente che i giudici di merito da un lato argomentano la propria decisione sull’assunto della fittizietà delle due associazioni sportive gestite dall’imputato, precisando pure che la sussistenza di dette associazioni sarebbe stata funzionale all’ottenimento da parte della società F.C. Messina Peloro delle somme di denaro finalizzate all’attività associativa (educare e selezionare i giovani calciatori per la società finanziante); dall’altro lato, sostengono che il prelievo di dette somme dalle casse di tali inesistenti associazioni avrebbe integrato il delitto di appropriazione indebita. E invece, presupponendo questa fattispecie la liceità del bene oggetto di reato, liceità da escludersi sull’assunto che dette somme erano state ricevute a seguito dell’inganno perpetrato ai danni dell’F.C. Messina Peloro, avrebbe dovuto coerentemente escludersi l’ipotesi di appropriazione indebita e al limite coltivarsi l’ipotesi della truffa.

Il terzo motivo contesta la mancanza e la illogicità della motivazione con riguardo al riconoscimento dell’aggravante descritta nell’art. 61 c.p., n. 11 per avere l’imputato commesso il fatto con abuso di prestazione d’opera; giacchè la fattispecie concreta non sarebbe in alcun modo sussumibile in quella astratta, non risultando quali obblighi di prestazione effettivamente gravassero sull’imputato rispetto alla sua qualità di socio fondatore dell’una associazione e di legale rappresentante dell’altra oltre al mero potere di operare in via esclusiva sui conti correnti di entrambe.

2. – Il ricorso è infondato e va rigettato.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che si ha vizio di motivazione illogica o contraddittoria solo quando emergono elementi di illogicità o contraddizioni di tale macroscopica evidenza da rivelare una totale estraneità fra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale (Cass. 25 maggio 1995, n. 3262). In altri termini, occorre che sia mancata del tutto, da parte del giudice, la presa in considerazione del punto sottoposto alla sua analisi, talchè la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui la decisione è fondata e non contenga gli specifici elementi esplicativi delle ragioni che possono aver indotto a disattendere le critiche pertinenti dedotte dalle parti (Cass. 15 novembre 1996, n. 10456).

Queste conclusioni restano ferme pur dopo la L. n. 46 del 2000 che, innovando sul punto l’art. 606 c.p.c., lett. e), consente di denunciare i vizi di motivazione con riferimento ad "altri atti del processo": alla Corte di cassazione resta comunque preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito, (ex plurimis: Cass. 1 ottobre 2008 n. 38803).

Quindi, pur dopo la novella, non hanno rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità e la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite. La Corte, infatti, non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v. Cass. 3 ottobre 2006, n. 36546;

Cass. 10 luglio 2007, n. 35683; Cass. 11 gennaio 2007, n. 7380).

La motivazione è invece mancante non solo nel caso della sua totale assenza, ma anche quando le argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della fondatezza del suo convincimento siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate dall’interessato con i motivi d’appello e dotate del requisito della decisività (Cass. 17 giugno 2009, n. 35918).

Nessuno di tali vizi ricorre nel caso di specie, dal momento che il giudice di appello ha esposto un ragionamento argomentativo coerente, completo e privo di discontinuità logiche giungendo per tale via ad una adeguata ricostruzione dei fatti e conseguentemente respingendo l’alternativa ricostruzione prospettata dalla difesa. In particolare, dalla lettura della sentenza emerge una precisa e dettagliata ricostruzione dei fatti contestati all’imputato ed una giuridica qualificazione degli stessi assolutamente conseguente ed in esatta applicazione della legge.

Circa la prima censura, è esaurientemente motivata la ragione per cui le dichiarazioni autoindizianti rese dall’imputato in sede ispettiva fossero suscettibili di utilizzazione nel giudizio abbreviato e dunque potessero essere poste legittimamente a fondamento della più complessiva ricostruzione dei fatti di reato svolta in primo grado e confermata in appello.

Rileva infatti la Corte territoriale che l’imputato fu invitato a rendere dichiarazioni alla polizia giudiziaria nell’ambito di indagine coinvolgente esclusivamente la società F.C. Messina Peloro e non le due associazioni sportive gestite dall’imputato. La richiesta di dichiarazione era peraltro giustificata dall’avere le due associazioni private intrattenuto rapporti economici con la società coinvolta nell’indagine. Pertanto, nessun concreto indizio di reità emergeva all’epoca nei confronti dell’imputato. Di conseguenza, le dichiarazioni rese dallo stesso, escludendosi la sussistenza di indizi di reato, permangono utilizzabili nel successivo processo pur non essendo state acquisite secondo le disposizioni stabilite nel codice di procedura penale per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire ai fini dell’applicazione della legge penale. Tale ragionamento, oltre a testimoniare una assoluta linearità, applica esattamente un preciso indirizzo interpretativo di questa Corte secondo cui l’inutilizzabilità assoluta delle dichiarazioni rese da chi doveva essere sentito sin dall’inizio come indagato o imputato sussiste solo se al momento delle dichiarazioni il soggetto che le ha rese non era estraneo alle ipotesi accusatorie allora delineate, in quanto tale inutilizzabilità richiede, a norma dell’art. 63 c.p.p., comma 2, che a carico di detto soggetto risulti l’originaria esistenza di precisi, anche se non gravi, indizi di reità, senza che tale condizione possa farsi derivare automaticamente dal solo fatto che il dichiarante possa essere stato in qualche modo coinvolto in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formazione di addebiti penali a suo carico (cfr. Cass. sez. 5, 15.5.2009, n. 24953).

Quanto poi alla effettiva sussistenza di indizi di reità nel momento delle rilasciate dichiarazioni, esso è oggetto di giudizio di merito come tale insindacabile in questa sede di legittimità a fronte della coerenza argomentativa riscontrata nella sentenza impugnata (cfr.

Cass., sez. 3, 30.9.2003, n. 43135).

Rileva inoltre logicamente la corte di merito che, nel caso di specie, la prova ritenuta inutilizzabile avrebbe ricoperto comunque uno scarso rilievo, fondandosi la ricostruzione processuale del fatto di reato su di una pluralità di convergenti elementi di prova, costituiti in particolare dalla documentazione bancaria acquisita e dalle dichiarazioni rese da vari soggetti informati dei fatti.

Nemmeno il secondo motivo coglie nel segno, travisandosi nel ricorso la reale ricostruzione del fatto e l’effettivo iter argomentativo svolto dalla Corte di Appello. Il tutto può così sintetizzarsi:

premesso che tra la FC Messina Peloro e le due associazioni sportive riferibili all’imputato era intercorso un contratto a titolo oneroso di educazione e selezione di giovani calciatori da parte di queste ultime e nell’interesse della prima; premesso inoltre che la società calcistica retribuì la prestazione delle due associazioni versando nelle casse delle stesse somme di denaro, le quali furono oggetto di prelievo dai conti di dette associazioni da parte dell’imputato;

premesso infine che tali somme non risultano essere state utilizzate per l’attività delle predette associazioni, anche per il fatto decisivo che le stesse non risultano aver mai effettivamente operato in esecuzione del descritto accordo con la società calcistica; tutto ciò premesso, deve concludersi che detti prelievi – per i quali non appare dunque comprovata nessuna utilizzazione e che pertanto risultano essere confluiti nel patrimonio dell’imputato – costituiscono il provento del delitto di appropriazione indebita.

Dunque, la cd. "fittizietà" delle associazioni sportive è chiaramente intesa dai giudici del merito non nel senso della finzione delle stesse, ma nel diverso senso della inoperatività delle stesse: e ciò al fine di escludere anche in astratto ed oltre ogni ragionevole dubbio che i prelievi realizzati dall’imputato fossero stati determinati dalla esigenza di effettuare pagamenti nell’interesse delle associazioni in parola. Anche il terzo motivo è infondato, avendo coerentemente argomentato la Corte territoriale la sussistenza della contestata aggravante sul rilievo che l’imputato aveva il potere di operare autonomamente sui conti correnti delle due associazioni e rivestiva nell’ambito delle stesse posizioni di assoluta preminenza. L’attribuzione di responsabilità e poteri reca evidentemente l’obbligo di determinarsi legittimante nella realizzazione degli stessi: ossia quel preciso obbligo di fare presente nella fattispecie e infondatamente contestata come insussistente dall’imputato.

Ai fini dell’aggravante in oggetto, insegna del resto questa Corte, la prestazione d’opera – che non corrisponde al concetto civilistico di locazione d’opera – consiste in un rapporto anche di fatto costituente occasione o ragione di quello possessorio. Tale circostanza ricorre ogni qual volta l’agente profitti della particolare fiducia in lui riposta attraverso l’affidamento, a qualsiasi titolo, nel disimpegno di un’attività che lo ponga in condizioni di commettere più facilmente il reato (Cass., sez. 2, 13.12.2005, n. 5257. RV 233572).

3. – Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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