Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-10-2011) 07-11-2011, n. 40040 Motivazione contraddittoria, insufficiente, mancante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con sentenza n. 6033 del 22.09.2010 la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Roma, in data 23.01.2009 di condanna dell’imputata per il delitto di cui all’art. 628 c.p..

Avverso la pronunzia della Corte di Appello l’imputata a mezzo di avvocato propone ricorso per cassazione articolando tre motivi: il primo sulla carenza della motivazione in ordine alla valutazione delle prove assunte, con particolare riguardo alla indebita valorizzazione della versione offerta dalla parte offesa, già in lite con l’imputata; il secondo sulla illogicità della motivazione, sempre in ordine alla valutazione delle prove assunte; il terzo sulla violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. d) per la mancata assunzione di una prova decisiva costituita da una testimonianza, non ammessa, che avrebbe potuto confermare la presenza dell’imputata in luogo diverso da quello della consumazione del reato.

2. – Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che ricorre il vizio di motivazione illogica o contraddittoria solo quando emergono elementi di illogicità o contraddizioni di tale macroscopica evidenza da rivelare una totale estraneità fra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale (Cass. 25 maggio 1995, n. 3262). In altri termini, occorre che sia mancata del tutto, da parte del giudice, la presa in considerazione del punto sottoposto alla sua analisi, talchè la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui la decisione è fondata e non contenga gli specifici elementi esplicativi delle ragioni che possono aver indotto a disattendere le critiche pertinenti dedotte dalle parti (Cass. 15 novembre 1996, n. 10456).

Queste conclusioni restano ferme pur dopo la L. n. 46 del 2000 che, innovando sul punto l’art. 606 c.p.c., lett. e) consente di denunciare i vizi di motivazione con riferimento ad "altri atti del processo": alla Corte di cassazione resta comunque preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito, (ex plurimis: Cass. 1 ottobre 2008 n. 38803).

Quindi, pur dopo la novella, non hanno rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità e la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite. La Corte, infatti, non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v. Cass. 3 ottobre 2006, n. 36546;

Cass. 10 luglio 2007, n. 35683; Cass. 11 gennaio 2007, n. 7380).

La motivazione è invece mancante non solo nel caso della sua totale assenza, ma anche quando le argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della fondatezza del suo convincimento siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate dall’interessato con i motivi d’appello e dotate del requisito della decisività (Cass. 17 giugno 2009, n. 35918).

Nessuno di tali vizi ricorre nel caso di specie, dal momento che il giudice di appello ha esposto un ragionamento argomentativo coerente, completo e privo di discontinuità logiche giungendo per tale via ad una adeguata ricostruzione dei fatti e conseguentemente respingendo l’alternativa ricostruzione prospettata dalla difesa.

In particolare, la valorizzazione della deposizione della parte offesa, contestata dalla ricorrente, è adeguatamente argomentata sulla coerenza intrinseca di tali dichiarazioni; sulla irrilevanza dell’impedimento fisico, dedotto da quest’ultima, ai fini di una credibile ricostruzione dei fatti (non potendo un lievissimo impedimento fisico – infortunio guaribile in quattro giorni – rendere impossibile la realizzazione della condotta violenta imputata dalla ricorrente); prendendo posizione sulla pregressa conflittualità tra le parti e giudicandola irrilevante ai fini del giudizio di attendibilità della parte offesa in assenza di altre e fondate ragioni di dubbio sulla veridicità della deposizione resa.

Circa la mancata assunzione di una prova decisiva, deve preliminarmente osservarsi che – assumendo come decisiva la prova di per se stessa idonea e sufficiente a risolvere il thema decidendum – non può ritenersi decisiva una prova testimoniale, che di per se stessa avrebbe dovuto essere posta in valutazione con altre risultanze istruttorie.

Inoltre, nel giudizio di appello le parti conservano il diritto alla prova attribuito dagli artt. 190 e 495 c.p.p. solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la pronunzia di primo grado; cosicchè la mancata assunzione della prova è censurabile in cassazione non sotto la prospettiva dell’art. 606 c.p.p., lett. d), ma unicamente sotto il profilo dell’art. 606 c.p.p., lett. e), relativamente alla motivazione di rigetto dell’istanza. Al riguardo, la Corte territoriale ha cura di motivare – correttamente – la sua decisione sul rilievo che la difesa della ricorrente rinunziò all’escussione nel dibattimento di primo grado, onde la successiva richiesta di audizione in sede di appello – per l’incoerenza tra tali successive decisioni della difesa – non meritava una positiva considerazione.

Il ricorso espone, per il resto, una dettagliata ricostruzione dei fatti alternativa a quella accertata dai giudici. Risolvendosi quest’ultima in un giudizio di merito, esso è in questa sede insindacabile a fronte della coerenza della alternativa ricostruzione oggetto della sentenza impugnata. 3. – All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che si stima equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000, nonchè alla rifusione in favore della parte civile come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende nonchè alla rifusione in favore della parte civile R. M. delle spese del grado che liquida in complessivi Euro 1500,00 oltre spese generali IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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