Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-10-2011) 07-11-2011, n. 40039 Motivazione contraddittoria, insufficiente, mancante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con sentenza n. 58 del 25.01.2011 la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Paola, sez. distaccata di Scalea, in data 29.05.2008 che condannava l’imputato per il delitto di cui all’art. 648 c.p..

Avverso la pronunzia della Corte di Appello l’imputato a mezzo di avvocato proponeva ricorso per cassazione articolando un unico complesso motivo sulla inosservanza ed erronea applicazione: degli artt. 648 e 712 c.p. per la insussistenza delle fattispecie criminose; dell’art. 62 c.p., n. 4, per essere stata esclusa la circostanza attenuante della speciale tenuità del danno; dell’art. 530 c.p.p., comma 2 e art. 533 c.p.p., per essere stata pronunciata condanna in presenza di ragioni per la assoluzione; sulla contraddittorietà ed illogicità della motivazione e sulla omissione della stessa con riguardo ad aspetti decisivi del fatto.

2. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che ricorre il vizio di motivazione illogica o contraddittoria solo quando emergono elementi di illogicità o contraddizioni di tale macroscopica evidenza da rivelare una totale estraneità fra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale (Cass. 25 maggio 1995, n. 3262). In altri termini, occorre che sia mancata del tutto, da parte del giudice, la presa in considerazione del punto sottoposto alla sua analisi, talchè la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui la decisione è fondata e non contenga gli specifici elementi esplicativi delle ragioni che possono aver indotto a disattendere le critiche pertinenti dedotte dalle parti (Cass. 15 novembre 1996, n. 10456).

Queste conclusioni restano ferme pur dopo la L. n. 46 del 2000 che, innovando sul punto l’art. 606 c.p.c.,lett. e), consente di denunciare i vizi di motivazione con riferimento ad "altri atti del processo": alla Corte di cassazione resta comunque preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito, (ex plurimis: Cass. 1 ottobre 2008 n. 38803).

Quindi, pur dopo la novella, non hanno rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità e la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite. La Corte, infatti, non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v. Cass. 3 ottobre 2006, n. 36546;

Cass. 10 luglio 2007, n. 35683; Cass. 11 gennaio 2007, n. 7380).

La motivazione è invece mancante non solo nel caso della sua totale assenza, ma anche quando le argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della fondatezza del suo convincimento siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate dall’interessato con i motivi d’appello e dotate del requisito della decisività (Cass. 17 giugno 2009, n. 35918).

Nessuno di tali vizi ricorre nel caso di specie, dal momento che il giudice di appello ha esposto un ragionamento argomentativo coerente, completo e privo di discontinuità logiche giungendo per tale via ad una adeguata ricostruzione dei fatti e conseguentemente respingendo l’alternativa ricostruzione prospettata dalla difesa.

A fronte dell’affermazione che non vi sarebbe stata prova del possesso da parte dell’imputato di un assegno di provenienza illecita poi portato all’incasso, non essendo sufficiente a tale qualifica una mera denuncia di smarrimento ed essendosi recato l’imputato in banca non per negoziare l’assegno ma solo per chiedere informazioni, i giudici hanno rilevato che l’imputato non ha, nel corso del dibattimento di primo grado, fornito una propria versione dei fatti, con ciò omettendo di offrire una plausibile spiegazione sul possesso di un assegno smarrito da terzi. In tal modo, e secondo l’insegnamento di questa Corte, può ritenersi pienamente integrata la prova dell’elemento psicologico: la quale si raggiunge anche in base alla omessa (o non attendibile) indicazione della provenienza della cosa ricevuta (Cass., sez. 2^, sent: 13.3.1997, n. 2436;

19.9.2000, n. 9861; 10.4.2003, n. 16949). Inoltre – secondo quanto confermato dal teste L. – l’imputato risulta essersi recato in banca nel tentativo di riscuotere l’assegno, e non allo scopo di richiedere non meglio precisate informazioni. Così accertato il fatto, coerentemente i giudici lo hanno qualificato come delitto di ricettazione.

Nè l’indagine sulla conoscenza della illecita provenienza della cosa -integrativa dell’elemento intenzionale del reato in esame – quale accertamento di fatto può trovare ingresso in questa sede di legittimità (Cfr. Cass. sez. 2^, 16.3.1990, n. 3715).

Il ricorso espone, per il resto, una dettagliata ricostruzione dei fatti alternativa a quella accertata dai giudici. Risolvendosi quest’ultima in un giudizio di merito, esso è in questa sede insindacabile a fronte della coerenza della alternativa ricostruzione oggetto della sentenza impugnata. 3. – Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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