Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-05-2012, n. 7111 Pensione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’INPS proponeva ricorso per la cassazione della sentenza n. 495/99 del Tribunale del lavoro di Bologna, giudice d’appello, che, rigettata la sua eccezione di decadenza dall’azione giudiziaria formulata ai sensi del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 come autenticamente interpretato dal D.L. n. 103 del 1991, art. 6 (convertito nella L. n. 166 del 1991), l’aveva condannato ad attribuire agli odierni controricorrenti la integrazione al trattamento minimo delle pensioni di cui essi stessi (o i loro danti causa) erano titolari in cumulo con altro trattamento già integrato, con decorrenza dai dieci anni antecedenti la presentazione, per ciascuno, della domanda amministrativa. Precisava l’Istituto ricorrente che, essendo state presentate le domande amministrative di integrazione nel periodo compreso fra il 1981 ed il 1982, l’eccepita decadenza era certamente maturata, in quanto le azioni giudiziarie erano state esercitate da tutti i pensionati nel 1993.

Questa Corte, con sentenza n. 5208/2003, cassava con rinvio, nei limiti di cui in motivazione, la sentenza impugnata, fissando i seguenti principi: 1) le disposizioni di legge sopra citate dovevano interpretarsi nel senso che il dies a quo del termine di decadenza è diverso a seconda che, dopo la presentazione della domanda amministrativa, sia stato (o non sia stato) proposto ricorso amministrativo, dovendo, nel primo caso, farsi riferimento alla data della decisione del ricorso stesso ovvero alla scadenza del termine a tal fine previsto dalla L. n. 88 del 1989, art. 46 e, nel secondo caso, al momento della maturazione dei singoli ratei (spettando solo quelli ricadenti nel decennio anteriore alla domanda giudiziaria); 2) il giudice d’appello non si era attenuto ai detti principi, avendo riconosciuto il diritto ai ratei di integrazione per l’intero decennio precedente la domanda amministrativa del beneficio; 3) al giudice di rinvio si demandava di accertare se, dopo la domanda di integrazione, fossero stati (o meno) presentati i ricorsi amministrativi e, correlativamente, se e quali effetti estintivi si fossero verificati, tenendo conto della data di proposizione della domanda giudiziale.

La Corte d’appello di Bologna, giudice di rinvio, ha accertato che i ricorrenti avevano presentato nel 1981 – senza ricevere risposta – un ricorso al Comitato provinciale dell’INPS per l’applicazione della sentenza costituzionale n. 34/1981, mentre nel 1986 avevano presentato altro ricorso allo stesso Comitato provinciale per ottenere la già richiesta integrazione ai sensi della sentenza costituzionale n. 314/1985 (solo R.A. ed A.A. avevano presentato analogo ricorso, rispettivamente, nel 1988 e nel 1987). Ha osservato, quindi, con riferimento ai ricorsi amministrativi del 1986, 1987 e 1988, che, rispetto ad essi, l’azione giudiziaria doveva considerarsi tempestiva (essendo stata esercitata nel 1993, vale a dire prima della scadenza del termine di decadenza, all’epoca decennale, previsto dal D.P.R. n. 639, art. 47) si che alla data della loro presentazione si erano riallineati tutti i ratei di integrazione ricadenti nel precedente decennio, che si erano, così, salvati. Ha, quindi, concluso la Corte ( così rigettando l’appello dell’INPS avverso la sentenza del Pretore di Bologna del 16 dicembre 1993) che i pensionati avevano diritto, fino al 30 settembre 1983, alle quote di integrazione al minimo della pensione non integrata a decorrere dal decennio antecedente la data di presentazione dei ripetuti ricorsi amministrativi del 1986,1987 e 1988, nonchè alla corresponsione, dal 1 ottobre 1983, dell’importo "cristallizzato" di tali quote, fino al suo riassorbimento nell’importo della pensione base ( L. n. 638 del 1983, art. 6, comma 7). Ha, infine, condannato l’INPS al pagamento delle spese di tutti i giudizi di merito e di quello di legittimità.

Per la cassazione di questa sentenza l’INPS ha proposto ricorso fondato su due motivi. Resistono i pensionati con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Denunciando violazione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 6, comma 7, nel testo sostituito dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4 convertito nella L. n. 438 del 1992, e dell’art. 6 di cui al D.L. n. 103 del 1991, n. 103, convertito nella L. n. 166 del 1991 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) l’INPS sostiene che la sentenza impugnata non è coerente con il decisum di legittimità. La sentenza rescindente ha infatti affermato che l’ente deve essere posto in condizione di pronunciarsi in ordine al diritto alle prestazioni: e, nella specie, i ricorsi al Comitato provinciale proposti dai pensionati dovevano, ontologicamente, qualificarsi come "domande" e non come "ricorsi" in senso proprio, onde ha errato la Corte territoriale nel non fare applicazione – giusta quanto indicato dalla Cassazione – della disciplina di legge operante nel caso di mancata proposizione dei ricorsi amministrativi. Del pari, ha errato la Corte di Bologna nel riallineare i ratei integrati alla data del decennio anteriore al primo "ricorso" dei pensionati (quelli del 1981-1982) e nel ritenere utili, ai fini del computo del termine decadenziale per l’esercizio dell’azione giudiziaria, i "ricorsi" del 1986-87-88 (in quanto, in realtà, nuove "domande"), omettendo così di adempiere al compito di verificare quale delle diverse ipotesi decadenziali si fosse realizzata in relazione all’avvenuta proposizione (o meno) dei ricorsi amministrativi. Conclude l’INPS sostenendo che, non essendo stati proposti i ricorsi amministrativi nei 300 giorni successivi alle domande di integrazione al minimo del 1981-82, la domanda giudiziaria sarebbe irrimediabilmente tardiva.

Il motivo non è fondato.

E’ da escludere, in primo luogo che, nella specie, trovi applicazione (come, invece, sostiene l’INPS, deducendone la violazione) il D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 nel testo sostituito dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4 (convertito nella L. n. 438 del 1992), essendo tale disposizione normativa, per giurisprudenza consolidata di questa Corte (vedi, tra tante, Cass. n. 536/1999, n. 6919/2000, n. 24131/2004, n. 18472/2007), applicabile nel solo caso di domande amministrative di trattamenti pensionistici (o di altre prestazioni previdenziali) presentate successivamente alla data della sua entrata in vigore (19 settembre 1992), il che non è nella presente controversia; conseguendone la non operatività dei termini ivi previsti per la proposizione dell’azione giudiziaria (e delle decadenze comminate in caso di loro mancato rispetto).

Tanto precisato, osserva la Corte che la sentenza rescindente considera incontroversa la circostanza dell’avvenuta presentazione negli anni 1981-1982 delle domande amministrative del beneficio oggetto di causa, nulla avendo obiettato, dopo aver riassunto il motivo di ricorso dell’INPS, alla tesi dell’Istituto ricorrente, secondo cui, appunto, i pensionati avevano presentato le loro domande nel periodo in questione. Ed è proprio con riferimento a tali domande che affida al giudice di rinvio il compito di accertare se, successivamente, gli interessati avessero (o meno) presentato ricorso amministrativo.

In proposito, deve ritenersi giuridicamente corretto quanto affermato dalla Corte di Bologna, e cioè che per tali dovevano qualificarsi le istanze al Comitato provinciale dell’INPS presentate dai pensionati tra il 1986 e il 1988 e tutte rigettate dall’autorità adita. Certo è, infatti, che il beneficio del quale, con i ricorsi in questione, si lamentava la mancata attribuzione era quello stesso richiesto con le domande del 1981-82 – ossia l’integrazione al minimo sulla pensione fruita in concorso con altra già integrata – e sostanzialmente identico era il titolo invocato a fondamento del diritto alla prestazione, questo essendo costituito dalla eliminazione (ad opera della Corte costituzionale) della previsione della L. n. 1338 del 1962, riguardante il divieto di integrazione al minimo di più pensioni qualora, per effetto del cumulo, il pensionato fruisse di un trattamento complessivo superiore al minimo garantito dalla legge).

Conforme, dunque, al decisum della sentenza rescindente – nella parte in cui demandava al giudice di rinvio di accertare se , rispetto alla data di decisione degli (eventualmente) proposti ricorsi amministrativi ovvero rispetto alla scadenza del termine per provvedervi, l’azione giudiziaria fosse stata tempestivamente esercitata – deve considerarsi la verifica operata dalla Corte d’appello di Bologna e conclusasi positivamente, per essere stati i ricorsi giurisdizionali depositati tutti nel 1993 e, quindi, anteriormente alla scadenza del termine (allora decennale) previsto dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 sia a collocarne il dies a quo di decorrenza al momento delle decisioni di rigetto dei ricorsi proposti dai vari pensionati, sia a far risalire tale decorrenza al momento della loro avvenuta presentazione.

Nè poteva il giudice di rinvio rilevare di ufficio la eventuale intempestività dei ricorsi amministrativi in questione, avendogli la sentenza rescindente demandato solamente il compito di verificare se gli stessi fossero stati (o meno) presentati (e non anche di accertare se tale presentazione fosse, o meno, tempestiva) ostandovi il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (vedi, tra tante, Cass. n. 9539/2002, n. 14075/2002, e, da ultimo, n. 327/2010 n. 7656/201), secondo cui neppure le questioni conoscibili di ufficio, ma non rilevate dalla sentenza rescindente, possono in sede di rinvio essere dedotte o comunque esaminate, giacchè il loro riesame tende a porre nel nulla o a limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità (in applicazione di tale principio si è ritenuta preclusa al giudice di rinvio addirittura la possibilità di rilevare l’improponibilità della domanda, dipendente da qualunque causa, anche, cioè, da inosservanza di modalità o di termini, pur essendo la stessa rilevabile di ufficio in qualunque stato e grado del processo).

Pienamente coerente con il compito affidatogli da questa Corte deve, pertanto, considerasi l’operazione, compiuta dal giudice di rinvio, consistente nel riallineare alle date di proposizione dei ripetuti ricorsi amministrativi tutti i ratei precedenti.

Al riguardo, del tutto infondata è la censura dell’Istituto ricorrente, secondo cui il giudice di rinvio, contravvenendo alla sentenza rescindente, avrebbe riallineato alla data di proposizione dei ricorsi amministrativi anche i ratei di integrazione compresi nel decennio anteriore alla presentazione delle domande amministrative del 1981-1982. Risulta, infatti, con tutta evidenza, dalla motivazione della sentenza impugnata – ed è, comunque, espressamente specificato nel dispositivo – che il diritto alle quote di integrazione al minimo della pensione non integrata è stato dal giudice di rinvio riconosciuto – e fino al 30 settembre 1983 – per i soli ratei ricadenti nel decennio antecedente la data di proposizione dei ricorsi amministrativi sopra indicati.

In definitiva, le affermazioni della sentenza impugnata non meritano le censure che le sono rivolte dall’INPS, non avendo omesso il giudice di rinvio (giusta il compito assegnatogli dalla Cassazione) di accertare quale delle diverse ipotesi decadenziali fosse, nella specie, configurabile, salvo affermare – rispetto a quella in concreto ritenuta sussistente – che nessuna decadenza si era verificata in danno dei pensionati rispetto alle azioni giudiziarie dai medesimi esercitate.

Il primo motivo di ricorso va, pertanto rigettato.

Nel secondo motivo, con denuncia di violazione dell’art. 336 c.p.c., comma 1, nonchè della L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 181 e 182, e della L. n. 448 del 1998, art. 36, comma 5, l’INPS, per quanto sembra di capire, lamenta che la Corte non abbia fatto buon governo delle indicazioni contenute nella sentenza di cassazione rescindente in punto di regolamentazione delle spese di lite, avendo condannato l’Istituto al relativo pagamento, nonostante l’art. 36 sopra citato ne imponga la compensazione, con riferimento anche ai precedenti gradi di giudizio, nel caso in cui sussistano le condizioni per l’estinzione del giudizio medesimo ai sensi della indicata L. n. 662 del 1996, art. 1.

Anche questo motivo è da rigettare.

L’INPS, con il ricorso per cassazione a suo tempo proposto contro la sentenza del Tribunale di Bologna – che aveva dichiarato estinto il giudizio relativamente al capo di domanda concernente la cosiddetta "cristallizzazione" dell’importo della integrazione (riconosciuto) spettante al 30 settembre 1983 – aveva censurato la statuizione di compensazione delle spese di lite ( prevista dalle disposizioni di legge sopra citate correlativamente alla pronuncia di estinzione) perchè disposta solamente per il grado di appello e non anche per il primo grado di giudizio.

Questo motivo è stato ritenuto fondato dalla sentenza rescindente.

Tuttavia, la Corte d’appello di Bologna, ignorando tale parte del decisum della Corte di legittimità e il giudicato (interno) formatosi sulla declaratoria di estinzione del giudizio relativo alla domanda di cristallizzazione – ha affermato, in contrasto con tale declaratoria, il diritto dei pensionati a conservare, a decorrere dal 1 ottobre 1983 – l’importo delle quote di integrazione raggiunto alla data suddetta, condannando, quindi, PINPS a corrisponderle (ai sensi del D.L. n. 463 del 1983, art. 6, comma 7 convertito nella L. n. 638 del 1983) fino al loro riassorbimento nella pensione base.

Questa statuizione non ha formato oggetto di impugnazione da parte dell’Istituto previdenziale odierno ricorrente e, pertanto, stante la mancata conferma della declaratoria di estinzione, non può accogliersene la doglianza, per essere la (obbligata) regolazione delle spese mediante compensazione necessariamente correlata, come già detto, alla declaratoria in questione.

In conclusione il ricorso va rigettato, conseguendone la condanna dell’INPS al pagamento, in favore dei pensionati (o loro aventi causa) odierni controricorrenti, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo e da distrarsi a favore del difensore dei controricorrenti medesimi, avv. Giuseppe Sante Assennato, dichiaratosi antistatario. Nulla nei confronti degli intimati non costituiti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’INPS al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 50,00, per esborsi e in complessivi Euro 3000,00 (tremila/00) per onorari, oltre spese generali IVA e CPA, distratte a favore dell’avv. Assennato, antistatario. Nulla nei confronti dei restanti intimati.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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