Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-05-2012, n. 7109 Carriera inquadramento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- La sentenza attualmente impugnata, in riforma della sentenza del Tribunale di Torino n. 6561/2007 dell’8 febbraio 2008, respinge tutte le domande proposte da B.E. nei confronti del Ministero della Giustizia, volte ad ottenere un inquadramento superiore rispetto a quello di appartenenza, con le conseguenti differenze retributive.

La Corte d’appello di Torino, per quel che qui interessa, precisa che:

a) può considerarsi pacifico l’espletamento da parte della B. – dipendente del Ministero della Giustizia dal 1980 con qualifica di "operatore giudiziario" inserita nell’Area funzionale B, posizione economica B2, in servizio presso la Procura della Repubblica di Torino con le mansioni di "assistente del PM" – di tutte le incombenze proprie della segreteria del PM, indicate dall’interessata medesima;

b) il Tribunale ha ritenuto che lo svolgimento delle suddette incombenze desse diritto alla lavoratrice di ottenere le differenze retributive in relazione al superiore inquadramento di cancelliere Area funzionale B, posizione economica B3, con decorrenza dal 20 giugno 2001 (essendo questo il limite della prescrizione quinquennale), mentre ha escluso il diritto )c all’inquadramento come cancelliere, posizione economica C1, richiesto in via principale dalla B.;

c) il Ministero contesta le suddette conclusioni del primo giudice, mentre la lavoratrice insiste per la conferma della sentenza di primo grado e non presenta ricorso incidentale;

d) conseguentemente l’unico punto ancora controverso è quello relativo alla inquadrabilità, o meno, dell’attività svolta dalla B. nella suddetta posizione economica B3 individuata dal Tribunale;

e) al riguardo, va precisato che è da ritenere che i compiti svolti dalla lavoratrice, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, rientrino nel profilo B2, nel quale ella è inquadrata e non nel superiore profilo B3;

f) infatti, si tratta di compiti sforniti dell’elemento che caratterizza il profilo B3, rappresentato dalla collaborazione "qualificata", per la cui sussistenza non è di per sè sufficiente la coadiuvazione del magistrato nella conduzione e nel funzionamento dell’ufficio, ma è necessario che la natura stessa dell’attività prestata ovvero le particolari modalità con cui viene resa siano tali da fare sì che si tratti di attività che non è possibile svolgere con livelli differenti di complessità e autonomia;

g) in particolare, non è esatto che la B. conduce l’ufficio intero in modo autonomo perchè in realtà ella si limita a svolgere tutti gli adempimenti richiesti dall’incarico di segreteria del singolo magistrato che sono adempimenti esecutivi realizzati sulla base di istruzioni generale (per gli atti ripetitivi) oppure specifiche del singolo magistrato (e, in questo ultimo caso, seppure le istruzioni provengono da un magistrato anzichè da un funzionario superiore, ciò non muta la natura delle mansioni);

h) d’altra parte, il profilo B3 riguarda i lavoratori che operano in strutture non immediatamente coinvolte nelle fasi specifiche del procedimento giurisdizionale e che svolgano attività di coordinamento delle professionalità di livello inferiore;

i) la B., invece, opera in una struttura direttamente coinvolta nelle fasi dei procedimento giurisdizionale e non risulta che svolga o abbia svolto attività di coordinamento di sorta.

2 – Il ricorso di B.E. domanda la cassazione della sentenza per un motivo; resiste, con controricorso, il Ministero della Giustizia.

Motivi della decisione

1 Con l’unico motivo di ricorso, illustrato da quesiti di diritto, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 del contratto collettivo integrativo nazionale per i dipendenti del Ministero della Giustizia, stipulato il 28 dicembre 1999.

Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato la suindicata norma contrattuale perchè, diversamente dal primo giudice, non ha riconosciuto la corrispondenza dei compiti affidati alla lavoratrice al profilo professionale del cancelliere, Area funzionale B, posizione economica B3, pur avendo accertato che la B. ha svolto, per tutto il periodo di cui si tratta mansioni di assistente del Pubblico Ministero, occupandosi in maniera del tutto autonoma e senza alcun controllo da parte dei superiori gerarchici, del disbrigo di tutte le incombenze riguardanti l’ufficio di appartenenza.

2. Il ricorso non è da accogliere.

2.1.- In via preliminare e con riferimento all’impostazione del ricorso stesso, va ricordato che in base ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte:

"è inammissibile la denuncia, con ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, della violazione o falsa applicazione del contratto collettivo integrativo (nella specie collettivo integrativo di amministrazione del 3 luglio 2000), posto che detta disposizione si riferisce ai soli contratti collettivi nazionali di lavoro, mentre i contratti integrativi, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, se pure parametrati al territorio nazionale in ragione dell’amministrazione interessata, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto, e per essi non è previsto, a differenza dei contratti collettivi nazionali, il particolare regime di pubblicità di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8;

conseguentemente l’interpretazione di tali contratti è censurabile, in sede di legittimità, soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione (Cass. 19 marzo 2010, n. 6748; Cass. 19 marzo 2007, n. 6435; Cass. 20 gennaio 2011, n. 1245; Cass. 11 aprile 2011, n. 8231; Cass. 21 settembre 2011, n. 19227)".

Da ciò si desume che non è possibile censurare, in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’interpretazione di norme dei contratti collettivi integrativi di cui si è detto, come invece accade nel presente giudizio.

2.2- Va, però, precisato che le suddette considerazioni non risultano, ostative, nella specie, all’esame del merito delle censure per due ordini di ragioni rappresentati sia dalla riproduzione nel presente ricorso del testo delle declaratorie del contratto integrativo che interessano (vedi: Cass. 3 agosto 2011, n. 16926), sia dal consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte secondo cui la configurazione formale della rubrica del motivo di ricorso – ove, nella specie, si fa espresso riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, – non ha contenuto vincolante per la qualificazione del vizio denunciato, poichè è solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass. 18 ottobre 2011, n. 21824; Cass. 29 agosto 2011, a 17739; Cass. 30 marzo 2007, n. 7891;

Cass. 5 aprile 2006, n. 7882; Cass. 18 marzo 2002, n. 3941).

Tuttavia, la suddetta individuazione del contenuto del motivo ne evidenzia la non accoglibilità in quanto esso, nel suo complesso, appare sostanzialmente diretto a contestare la valutazione effettuata dalla Corte d’appello del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti e dell’interpretazione delle suindicate clausole del contratto collettivo integrativo.

Va, infatti, ricordato che è jus receptum che l’interpretazione del contratto è riservata al giudice del merito, le cui valutazioni sono censurabili, in sede di legittimità, soltanto quando la motivazione non consenta di ricostruire l’iter-logico seguito da quel giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato significato o per violazione delle regole ermeneutiche stabilite dall’art. 1362 c.c. e segg. (vedi, per tutte: Cass. 13 febbraio 2006, n. 3075; Cass. 20 gennaio 2007, n. 1825).

Nel presente caso non si riscontra alcuno dei suddetti inconvenienti.

Infatti, dalla lettura della sentenza impugnata risulta che la Corte d’appello è pervenuta alla conclusione di considerare i compiti svolti dalla lavoratrice – contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale – rientranti nel profilo B2, nel quale ella risultava già inquadrata, e non nel superiore profilo B3 rivendicato, attraverso una valutazione analitica delle mansioni in concreto svolte dalla B. e di un completo e corretto esame della normativa applicabile e, in particolare, delle clausole del contratto collettivo integrativo, ove sono rispettivamente specificati i requisiti per l’appartenenza al profilo B2 e al profilo B3.

All’esito di tali operazioni la Corte territoriale ha concluso per l’insussistenza degli elementi per il riconoscimento del diritto della lavoratrice ad essere inquadrata nella posizione economica B3 con le conseguenti differenze retributive, ponendo principalmente l’accento sull’elemento della "collaborazione qualificata", come caratteristico della superiore qualifica rivendicata.

Tale conclusione – nella sostanza conforme a Cass. 6 agosto 2010, n. 18363 – risulta supportata da una motivazione il cui iter argomentativo è congruo e privo di salti logici e, come tale, va esente da censure in questa sede.

3.- Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso va rigettato.

Alla soccombenza consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione, liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in europeo per esborsi, Euro 2500/00 (duemilacinquecento/00) per onorari di avvocato, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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