Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 17-08-2011) 07-11-2011, n. 40139

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Assise di Appello di Catanzaro, con sentenza del 27 maggio 2010, ha confermato la sentenza della Corte di Assise di Cosenza del 4 dicembre 2008 che aveva condannato B.M. alla pena dell’ergastolo, per il delitto di omicidio in danno di M.A..

2, Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, il quale lamenta:

a) la inosservanza di norme processuali, con particolare riferimento alla mancanza dei presupposti di cui all’art. 146 bis disp. att. c.p.p., in tema di partecipazione dell’imputato al dibattimento a distanza mediante videocollegamento;

b) l’inosservanza di norme processuali e l’illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), con particolare riferimento all’inutilizzabilità della corrispondenza tra l’imputato ed altro soggetto, in quanto acquisita in violazione delle disposizioni dell’ordinamento penitenziario;

c) l’inosservanza di norme processuali e la illogicità della motivazione, ex art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), con particolare riferimento all’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche intercorse tra altri soggetti presso la Stazione dei Carabinieri di Paola il 10 dicembre 2004;

d) la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione, ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), con riferimento alla esclusione dell’applicabilità dell’art. 116 c.p. a vantaggio del ricorrente;

e) la manifesta illogicità della motivazione, ex art. 606 c.p.p., lett. e), con particolare riferimento alla attendibilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia;

f) la illogicità della motivazione in ordine all’applicazione dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7;

g) la violazione di legge e l’illogicità della motivazione in merito alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed all’errata quantificazione della pena.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.

2. Quanto al primo motivo, non sussiste affatto la dedotta violazione dell’art. 146 disp. att. c.p.p..

E1, invero, pacifica la giurisprudenza di questa Corte che insegna come l’imputato sia legittimato a dolersi dell’inosservanza delle disposizioni dell’indicata norma, che consente il collegamento audiovisivo, solo se detta inosservanza abbia cagionato una concreta e specifica limitazione dei suoi diritti defensionali (v. Cass. Sez. 1 10 aprile 2008 n. 28548 e 15 gennaio 2010 n. 19511).

A ciò si aggiunga come sia valido l’interrogatorio reso a distanza dall’imputato detenuto mediante il sistema della videoconferenza alla presenza dì un agente di custodia e non di un ausiliario del Giudice, in quanto la norma che prevede la possibilità della partecipazione al dibattimento a distanza dell’imputato detenuto ha lo scopo di garantire che egli possa assistere all’udienza in istato di libertà e senza condizionamenti e, in ogni caso, non è assistita da espressa sanzione in caso di inosservanza (v. Cass. Sez. 1 20 maggio 2004 n. 25662).

In fatto, questa volta, si osserva come, da un lato, i Giudici del merito hanno dato espresso conto, proprio con riferimento all’odierno ricorrente, della esistenza delle circostanze legittimanti il video- collegamento (v. pagina 41 della motivazione) e, d’altra parte, non si evidenzino nè siano state aliunde prospettate concrete violazioni del diritto di difesa.

3. Quanto al secondo motivo, non v’è dubbio che l’acquisizione della corrispondenza intercorsa tra l’odierno ricorrente ed altro imputato durante il periodo di comune detenzione sia stata pienamente legittima in quanto:

a) la corrispondenza del detenuto B. era sottoposta a visto di controllo, a seguito di decreto motivato del 19 agosto 2004 del P.M. nonchè di motivato provvedimento del 13 agosto 2004 del Magistrato di sorveglianza;

b) l’acquisizione probatoria è avvenuta, addirittura, attraverso fotocopie, senza alcuna surrettizia forma di sequestro.

Non si capisce, pertanto, quale violazione di diritti inviolabili sia avvenuta in capo all’odierno ricorrente dal momento in cui era ben consapevole che la sua corrispondenza fosse legittimamente sottoposta al visto e che era stata pienamente rispettata la procedura di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 18 ter, come modificata dalla legge 8 aprile 2004 n. 95 (v. pagina 47 della motivazione).

4. Il terzo motivo di ricorso, che riguarda la pretesa inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche effettuate presso la caserma dei Carabinieri di Paola il 10 dicembre 2004, appare del tutto pretestuoso alla luce delle pregresse decisioni di questa Corte (3559/07 e 27616/11) nelle quali le suddette intercettazioni sono state ripetutamente definite come "realizzate nel rispetto dei principi costituzionali e del codice di rito in quanto disposte con decreto di urgenza del P.M. successivamente convalidato dal GIP". 5. Il quarto motivo, che erroneamente nel ricorso viene numerato come quinto (v. pagina 26 del ricorso) si appalesa ai limiti dell’inammissibilità in quanto tende, da un lato, a riprodurre motivi di doglianza già disattesi dal Giudice del merito nonchè, d’altra parte, a dare una diversa lettura del compendio probatorio, costituito dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che non è consentito avanti questo Giudice della legittimità allorquando la motivazione adoperata dal Giudice del merito non sia afflitta da palese illogicità in riferimento proprio ai riscontri delle suddette dichiarazioni (v. da pagina 51 a pagina 58 della motivazione).

6. Il motivo attinente all’erronea interpretazione dell’art. 116 c.p. nei confronti dell’odierno ricorrente (v. pagina 49 del ricorso) viene a cozzare irrimediabilmente contro l’affermazione che i Giudici del merito fanno circa la figura dell’odierno ricorrente quale vero e proprio organizzatore del delitto, che non poteva che volere quanto in concreto realizzato dagli altri correi.

7. Il motivo relativo all’applicazione dell’aggravante del metodo mafioso non è ugualmente meritevole di essere accolto.

Come è noto, la L. n. 203 del 1991, all’art. 7, disciplina due distinte ipotesi, prevedendo la possibilità di applicare l’aggravante anche nei confronti di chi, pur non organicamente inserito in associazioni mafiose, agisca con metodi mafiosi o comunque dia un contributo al raggiungimento dei fini di un’associazione di tale tipo (v. a partire da Cass. Sez. Un. 28 marzo 2001 n. 10 e più di recente Sez. 6 2 aprile 2007 n. 21342).

Tuttavia, a differenza dell’ipotesi, come nella specie, in cui il reato sia commesso al fine specifico di agevolare l’attività delle associazioni mafiose, quando si tratti di soggetti non inseriti in tali organizzazioni è necessario che il ricorso al metodo mafioso sia accertato con maggiore rigore, costituendo l’unico presupposto che giustifica l’aggravamento sanzionatorio, del tutto svincolato dalla esistenza di una associazione.

L’accertamento deve, in ogni caso, essere condotto in maniera oggettiva, tenendo conto del contesto in cui si svolge l’azione, ma soprattutto analizzando il tipo di comportamento posto in essere, alla luce della definizione fornita dall’art. 416 bis c.p., espressamente richiamato dal citato art. 7.

Deve trattarsi, cioè, di un comportamento idoneo ad esercitare una particolare coartazione psicologica sulle persone, con i caratteri propri dell’intimidazione derivante dall’organizzazione criminale della specie considerata.

La giurisprudenza riconosce come in tali casi non sia necessario che l’associazione mafiosa, costituente il logico presupposto della condotta dell’agente, sia in concreto precisamente delineata come entità ontologicamente presente nella realtà, potendo anche essere semplicemente presumibile, nel senso che la condotta stessa, per le modalità attraverso cui si manifesta, sia già di per sè tale da evocare l’esistenza di consorterie amplificatrici della valenza criminale del reato commesso (v. a partire da Cass. Sez. 1 18 marzo 1994 n. 1327 e da ultimo Sez. 1 22 gennaio 2010 n. 5783).

Di tali premesse in punto di diritto il Giudice del merito ha fatto buon uso, sulla scorta, questa volta in punto di fatto, delle circostanze evidenziate nell’impugnata sentenza (v. in particolare alla pagina 71 della motivazione) e ne ha fatto discendere, non certo illogicamente, la conseguenza che l’imputato proprio perchè coinvolto nella guerra tra opposte cosche fosse passibile dell’applicazione della contestata aggravante.

8, La mancata concessione delle attenuanti generiche in primo luogo e contrariamente a quanto affermato nel ricorso, è stata non solo motivata (v. pagina 72 della motivazione) ma, altresì, correttamente giustificata con il ruolo svolto dall’odierno ricorrente nell’efferato crimine posto in essere, corroborato dalla evidente pervicacia e determinazione criminale nonchè dalla assoluta mancanza di resipiscenza.

Il trattamento sanzionatorio applicato, espressione di una corretta applicazione dell’art. 133 c.p. sfugge, per ciò solo, a qualsiasi possibilità di contestazione avanti questa Corte.

9. Dal rigetto del ricorso deriva, in definitiva, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute nel giudizio dalla parte civile, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Comune di Paola che liquida in complessivi Euro 2.500, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 17 agosto 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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