Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-05-2012, n. 7411 Esercizio delle servitù

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 15.5.94 T.A., proprietario in (OMISSIS) di alcuni terreni e di una porzione di fabbricato rurale, immobili provenienti da un atto del 2-2-1991 di "cessione e divisione dei beni relitti da T.E., citò al giudizio del locale tribunale R.B., avente causa da un altro condividente, T.V., ed attuale proprietario della particella n. 1453/1, servita per il carico e lo scarico,al pari di quelle distinte con i nn. 1453/2 e 1453/3 appartenenti all’attore, da una strada privata c.d. "(OMISSIS)", di cui si assumeva esclusivo proprietario, al fine di sentirgli inibire l’utilizzo della stessa per l’accesso anche al mappale n. 1451, di proprietà di terzi e detenuto dal convenuto, nonchè il transito con veicoli ed il parcheggio su quello n. 1453/2; l’attore lamentava inoltre, chiedendone l’eliminazione, l’abusiva apertura di sei finestre costituenti vedute sul fronte del fabbricato del convenuto affacciarne verso la sua proprietà.

Costituitosi il R. contestava ogni avverso assunto, opponendo la natura comune, anche agli altri proprietari confinanti, della strada, così come del portico al piano terra e della loggia al primo piano del fabbricato, in quanto rimasti indivisi, proponendo domanda riconvenzionale di declaratoria in tal senso, o in subordine per la costituzione coattiva di una servitù di passaggio; il convenuto contestava,inoltre ed in relazione alla domanda di chiusura delle finestre, di aver apportato alcuna modifica all’immobile da lui acquistato.

Intervenivano in corso di giudizio,aderendo alle difese e domande del R., Z.L. e D.M.M., resisi nelle more acquirenti dell’immobile del predetto. All’esito dell’istruttoria documentale ed orale e della consulenza tecnica di ufficio, con sentenza pubblicata il 17.1005 l’adito tribunale accolse la sola domanda attrice di riduzione in pristino delle finestre, rigettando le altre e dichiarando, in accoglimento della riconvenzionale, comuni il cortile ed il loggiato.

Proposto appello dal T., resistito dai Z. – D. M., proponenti appello incidentale, nella contumacia del R., la Corte di Brescia, con sentenza pubblicata il 16.9.09, rigettava l’impugnazione principale ed, in accoglimento di quella incidentale, respingeva anche la domanda di ripristino delle aperture.

Sulla base di una disamina analitica dei titoli di proprietà e dei successivi passaggi, a partire da un originario atto divisione del 27.10.1955 tra T.E. ed altri, la corte di merito confermava che il cortile ed il loggiato, non avendo formato oggetto di assegnazione in proprietà esclusiva ad alcuna delle parti come sopra condividenti, erano rimasti in comune, a nulla rilevando che in una denuncia di variazione catastale del 1990, successiva alla dichiarazione di successione degli eredi del suddetto, il cortile figurasse di pertinenza esclusiva del fabbricato indicato con il mappale 1453/2, sicchè nella successiva divisione del 1991 detti eredi non avrebbero potuto assegnare ad uno dei condividenti, A., un bene di cui non erano essi i soli proprietari. Quanto alla strada c.d. "(OMISSIS)", la corte confermava che, dall’istruttoria orale, la stessa fosse risultata "da sempre" utilizzata per raggiungere i rispettivi fondi da tutti i proprietari frontisti, ivi compreso quello di tali A. e L.V., già condotto in locazione dal R. e, poi, dagli intervenuti, ed escludeva alcun aggravamento della servitù, essendo rimasti immutati sia il numero degli utilizzatori, sia la destinazione del fondo verso cui era esercitata.

All’accoglimento del gravame incidentale, ritenuto ammissibile in quanto formulato nella prima udienza, ed al conseguente rigetto anche del capo di domanda relativo alle finestre, i giudici di appello pervenivano sulla base delle risultanze della consulenza tecnica e della prova testimoniale, da cui era emerso che le trasformazioni delle aperture era avvenuta con le opere di ristrutturazione eseguite tra il 1976 ed il 1978, su licenze edilizie rilasciate ai fratelli T., mentre il R., a seguito dell’autorizzazione conseguita nell’ottobre del 1993, aveva proceduto soltanto ad una trasformazione interna del proprio immobile.

Avverso tale sentenza il T. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi, illustrati con successiva memoria.

Hanno resistito lo Z. e la D.M. con controricorso.

Non ha svolto attività difensiva il R..

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso vngono dedotte violazione e falsa applicazione degli artt. 922, 1321, 1322, 1325, 1350 c.c. e art. 111 Cost., censurandosi l’affermazione di proprietà comune del cortile, in quanto recepita da erronea valutazione delle risultanze documentali da parte del c..t.u., in particolare non tenendo conto di quelle dell’atto notarile del 1991, espressamente richiamante una scheda catastale nella quale il cortile veniva indicato quale bene comune e, per con verso, valorizzando una precedente scheda del 1989 non richiamata in alcun titolo, nè sottoscritta da alcuno dei proprietari o comproprietari. Ulteriori errori dei giudici di merito sarebbero stati quelli di affermare che con l’atto pubblico del 27.10.55 T.B. avesse diviso la sua proprietà tra i figli, senza tener conto che il medesimo era intervenuto solo per rinunciare all’usufrutto sul compendiosi cui i figli erano nudi proprietari e che fu dai medesimi diviso, tra l’altro assegnando ad E., dante causa del ricorrente, il mappale 1453 sub 2 di ettari 0.05.50 ed a F. (assegnatario del bene poi pervenuto al R.) il mappale 1453 sub 1 di ettari 0.00.60, dal che avrebbe dovuto desumersi che nel primo era compreso anche il cortile (diversamente il mappale 1453 sub 2 sarebbe stato di superficie pari a soli mq 60) e non solo una delle tre porzioni da cui è attualmente composta nel nuovo catasto edilizio urbano la cascina di cui è causa. Da tale errore sarebbe derivato quello di negare rilevanza, al fine della dimostrazione della proprietà esclusiva sul cortile di T.A., all’atto pubblico del 1991, sottoscritto anche da T.V., dante causa del R., senza peraltro tener conto delle prove documentali fornite dall’odierno ricorrente, a fronte delle erronee e generiche deduzioni delle controparti, di essere proprietario di tutti i terreni circostanti la cascina e dell’unica strada di accesso, per di più attribuendo rilevanza ad una denuncia di variazione del mappale 1453 sub 2 eseguita nel 1989 da altri e non sottoscritta da A. T. o suoi danti causa, che non avrebbe potuto prevalere sulle anzidette risultanze dei titoli.

Il motivo non merita accoglimento, poichè, pur deducendo violazione di una serie di norme di diritto, si risolve, in realtà, nella rivisitazione delle risultanze processuali e dell’interpretazione dei titoli, che la corte territoriale ha compiuto ed esposto in termini lineari e ragionevoli, cui viene contrapposta una diversa ipotesi di lettura degli atti, così proponendo un inammissibile terzo grado di merito, peraltro difettante di autosufficienza, in quanto priva di riferimenti testuali, sia pur nelle parti essenziali, agli atti richiamati. Nè si precisa, nel mezzo d’impugnazione, con quali specifici atti l’odierno ricorrente avrebbe provato di "essere proprietario di tutti i terreni circostanti la cascina, "nonchè dell’unica strada di accesso.."(v- pag. 17), mentre l’assunto errore di lettura dell’atto pubblico del 1955, da cui prende le mosse il mezzo d’impugnazione, si riferisce alla sentenza di primo grado e non trova riscontro in quella di appello, che si limita a menzionare tale atto quale divisione tra i T. (includendovi B.), risultando comunque irrilevante, basandosi la decisione sulla essenziale e corretta argomentazione, secondo cui, in un contesto immobiliare proveniente da un’unica originaria proprietà, in mancanza di prove di attribuzione dei beni in questione ad alcuno dei condividenti, quali che fossero le risultanze catastali, gli stessi fossero rimasti comuni a tutti gli aventi causa dall’originario proprietario (poco o punto rilevando che si trattasse o meno di T.B.), con le conseguente impossibilità di poterne successivamente disporre solo alcuni.

Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 832, 840, 1027, 1031 cod. civ., art. 112 c.p.c. e art. 111 Cost. Il mezzo d’impugnazione si articola su tre doglianze.

Si lamenta, con la prima, che il mancato accoglimento della domanda negatoria della servitù di passaggio, per l’accesso delle controparti ai mappali diversi dal 1453/1 sulla strada (OMISSIS), non avrebbe tenuto conto dell’espressa limitazione al riguardo contenuta nell’atto di divisione del 1955, che tale accesso aveva costituito in favore soltanto di tale particella e, peraltro, travalicato i limiti delle domande o eccezioni delle controparti, che si erano affermate comproprietarie della via privata suddetta, ma non avevano mai dedotto l’esistenza di un uso pubblico e/o indiscriminato a favore di tutti sulla stessa. Sarebbe stato così violato anche il diritto al contraddittorio sulla questione dell’uso della strada da parte di terzi, affermando erroneamente che da parte dell’appellato non vi fosse stata contestazione al riguardo, con malgoverno anche dell’art. 1027 c.c., nel ritenere legittimo il passaggio anche per raggiungere altri fondi, perchè gli appellati comunque "passavano sempre lo stesso numero di volte", senza tener conto che detto articolo "riguarda solo i fondi e le persone".

La seconda doglianza attiene alle "griglie che si aprono sul fondo di proprietà dell’attore", questione sulla quale i giudici di ambo i gradi avrebbero, anche in questo caso attenendosi ad una erronea consulenza tecnica, violato ogni norma sulla costituzione di diritti reali, attribuendo la realizzazione di tali aperture non al R. nel 1993, ma ad una fantomatica "fraterna T." del 1977, comunque prima di venti anni dall’inizio della causa, della quale non aveva fatto parte l’attore, che non era mai stato proprietario o comproprietario del mappale 1453/1 e che, dunque, avrebbe avuto il diritto di chiedere l’eliminazione dei suddetti pesi di fatto sul fondo, da lui acquistato nel 1991, non essendovi stata alcuna legittima costituzione delle relative servitù nei modi previsti dalla legge, vale dire per contratto scritto, destinazione del padre di famiglia o per usucapione, titoli non invocati dalle controparti, limitatesi a negare di avere realizzato le vedute. Con una terza doglianza, ulteriormente sviluppando la primati lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., esponendo che all’udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado l’attore aveva chiesto dichiararsi che la via (OMISSIS) insisteva interamente sulla sua proprietà ed era gravata da servitù di passaggio soltanto a favore della p.lla 1453/1, gli intervenuti avevano chiesto dichiararsi la stessa via gravata a favore delle p.lle 1453/1 e 1453/2, senza anche ribadire la precedente domanda dei convenuti, loro danti causa, diretta a dichiarare la servitù gravante anche a favore di altri mappali. Nonostante ciò, il Tribunale, aveva respinto entrambe le domande, pur avendo in motivazione affermato che esisteva un diritto di passo a favore dei mappali 1453/1 e 1453/2, mentre la Corte d’Appello, confermando sul punto la decisione di primo grado e motivando il rigetto della domanda di T.A. con l’esistenza di un diritto di uso dei frontisti sulla strada, avrebbe così esorbitato dai limiti delle domande o eccezioni proposte. La prima e la terza doglianza, strettamente connesse, non meritano accoglimento. La censura di violazione dell’art. 112 c.p.c., in cui sarebbe incorso il Tribunale, non risulta che sia stata proposta in grado di appello e, comunque, non coglie nel segno, poichè i giudici di merito, nel ritenere che la strada consentisse l’accesso anche ad altri fondi, diversi da quelli delle parti, non hanno esorbitato dai limiti della domanda, dichiarando un diritto di accesso a detti fondi (non appartenenti al convenuto), bensì semplicemente accolto un’argomentazione difensiva, non una vera e propria eccezione in senso tecnico, funzionale al rigetto della domanda attrice, con la quale si era lamentato l’aggravamento della servitù già esistente a favore del fondo del convenuto, poi acquistato dagli intervenuti, ritenendo legittimo il passaggio, in quanto consentito anche ai proprietari dei terreni retrostanti, detenuti dai suddetti, affermazione che non si è concretata nell’attribuzione di un "bene della vita" (vale a dire di un titolo alla "duplicazione" del fondo dominante) diverso da quello richiesto, ma solo nel riconoscimento della legittimità di tali atti di passaggio.

Fondata è invece la rimanente doglianza, poichè la Corte di merito, ribaltando la corretta decisione del primo giudice che aveva ritenuto privo di titolo l’esercizio delle vedute esercitata attraverso le aperture di cui si era doluto l’attore, ne ha desunto la legittimità sulla base di tre licenze edilizie rilasciate tra il 1976 ed il 1978 alla, non meglio precisata "Fraterna T.", meri atti amministrativi (che neppure si precisa se richiesti con istanze sottoscritte anche dall’odierno ricorrente o da un suo dante causa), comunque inidonei a costituire un valido titolo convenzionale per la costituzione delle servitù, richiedente ad substantiam la forma scritta ai sensi dell’art. 1350 c.c., n. 4. Non risultando, pertanto, tali atti, nè la circostanza – peraltro recisamente contestata dal ricorrente – che le denunciate modifiche fossero state eseguite dai "consorti T. fra cui lo stesso appellante prima della divisione del 1991", sufficienti a giustificare l’acquisto a titolo originario delle eventuali servitù, per usucapione, in mancanza dell’elemento temporale ( essendo la causa iniziata nel 1994), o per destinazione del padre di famiglia, difettando ogni riferimento nella sentenza agli elementi di cui all’art. 1062 c.c., il ricorso deve essere accolto su tale capo.

Con il terzo motivo si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia.

Con riferimento all’appartenenza del cortile, questo sarebbe stato ritenuto comune sulla base di una serie di errori, il primo costituito dall’aver ritenuto che nell’atto pubblico del 1955 T.B. fosse intervenuto quale proprietario, pur essendo soltanto usufruttuario, il secondo nel non aver considerato che nel contesto della divisione l’aver indicato la particella n. 1453/2 di superficie pari a mq 450 denotava l’inclusione nella stessa anche del cortile, il terzo nell’aver escluso che nel successivo atto del 1991 i condividenti potessero attribuire al solo A. T. la proprietà del cortile, non disponendo dell’intero diritto, così ipotizzando la presenza di altri contitolari non identificati, pur essendo detto cortile accessibile dai soli terreni circostanti del suddetto, circostanza che comunque non avrebbe consentito di affermare la comproprietà del bene del R. e dei suoi aventi causa.

Per quanto attiene alla strada (OMISSIS), che l’attore aveva chiesto dichiararsi di sua proprietà e gravata di servitù solo a favore del mappale 1453/1, e gli intervenuti D.M. e Z. asservita anche a quello n. 1453/2 e non anche ad altri mappali, senza neppure confermare la precedente domanda del loro dante causa di dichiararla di proprietà comune, la sentenza di secondo grado, confermando quella di primo, nel respingere le domande dell’appellante e non accogliendo quella di precisazione sul punto degli appellati, avrebbe confermato l’evidente contraddittorietà della decisione del primo giudice , che aveva respinto le reciproche domande, pur affermando in motivazione che esisteva un diritto di passo a favore di entrambi i mappali.

Il motivo, in buona parte ripetitivo delle censure proposte nel primo motivo e nella prima parte del secondo, e comunque proponente palesi censure in fatto, va respinto per quanto già in precedenza considerato.

Con il quarto motivo si censura, per violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. il regolamento delle spese dei due gradi, in quanto poste a totale carico di T.A., senza tener conto dell’infondatezza di alcune domande, neppure accolte dal primo giudice, del R., nè della novità di quelle, in parte anche disattese, dei D.M. – Z., e dunque di una ipotesi di soccombenza reciproca che avrebbe comportato una compensazione quanto meno parziale.

Il motivo resta assorbito dall’accoglimento parziale del secondo, dovendo le spese processuali essere nuovamente regolate dal giudice di rinvio.

Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 163 e 343 c.p.c., per avere la corte territoriale ritenuto ammissibile l’appello incidentale proposto con l’atto di costituzione tardiva degli appellati, ritenendo applicabile alla controversia il disposto dell’art. 343 c.p.c. previgente alle modifiche apportate dalla L. n. 353 del 1990, senza tener conto che la notifica dell’atto di appello era avvenuta dopo il 30.4.95, dopo l’entrata in vigore del nuovo testo dell’articolo citato introdotto dalla suddetta "novella", con conseguente applicabilità della stessa all’impugnazione.

Il motivo è manifestamente infondato, avendo la corte di merito correttamente tenuto conto, ai fini dell’ammissibilità del gravame incidentale, del testo dell’art. 343 c.p.c. antecedente alla modifica apportata dalla L. n. 353 del 1990, art. 51 applicabile a partire dal 30/4/1995, ai sensi dell’art. 90 della legge medesima, dovendola pendenza del giudizio, cui la citata norma transitoria fa riferimento, considerarsi con criterio unitario, avendo riguardo alla data di instaurazione di quello di primo grado (nella specie introdotto con citazione notificata il 5.5.94), e non anche a quella del giudizio di appello (v., tra le altre, Cass. nn. 28055/08, 23317/05, 16347/03, 1354/99).

Con il sesto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 166, 167, 183 c.p.c., l’art. 111 Cost., per omesso rilievo dell’inammissibilità della domanda nuova, di declaratoria di comproprietà del cortile tra tutte le parti in causarne sarebbe stata tardivamente proposta in primo grado soltanto all’udienza di precisazione delle conclusioni, in violazione del diritto al contraddittorio, nella specie non accettato, senza tener conto che la causa era iniziata successivamente al 1.1.93, data di entrata in vigore della L. n. 353 del 1990.

Con il settimo motivo si lamenta che il primo giudice, in violazione degli artt. 152, 154 e 244 c.p. e senza tener conto della giurisprudenza al riguardo, abbia ammesso e confermato in sede di reclamo, sul rilievo che i termini fossero solo ordinatori e senza considerare che prima della scadenza non ne fosse stata chiesta la prorogale prove orali dirette e contrarie richieste dalla controparte, "con conseguenze pratiche nefaste per l’odierno ricorrente".

Entrambi i motivi testè riferiti sono inammissibili, non risultando, nè venendo dedotto, che le relative doglianze siano state proposte anche in grado di appello.

Conclusivamente il ricorso, a parte l’accoglimento parziale del secondo motivo, nella parte attinente alla negatoria servitutis relativa alle vedute, e l’assorbimento del quarto mezzo, va respinto nel resto; ne consegue la cassazione, limitatamente alla censura accolta, con rinvio ad altra sezione della corte di provenienza, cui si demanda anche il regolamento delle spese del grado di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie parzialmente, nei limiti di cui in motivazione, il secondo motivo del ricorso, che rigetta nel resto, dichiarando assorbito il quarto motivo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alla censura accolta, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Brescia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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