Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-05-2012, n. 7410

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione del 21/1/2001 la s.n.c. Edil 93 di I.C. conveniva in giudizio C.R. e C.B. per sentire accertare l’autenticità delle sottoscrizioni da essi apposte ad un contratto che definiva come un contratto di permuta nel quale era prevista il trasferimento di aree edificabili e di un terreno in cambio del 20% della cubatura da realizzarsi.

I convenuti si costituivano con separati atti; C.B. sosteneva che il contratto non era un definitivo di permuta, ma un preliminare di permuta e che comunque non disconosceva la sottoscrizione; in via riconvenzionale chiedeva la risoluzione del contratto per inadempimento della società rispetto ad alcune clausole del suddetto preliminare, nonchè il risarcimento danni.

C.R. si costituiva a sua volta facendo proprie le eccezioni e deduzioni del fratello B..

Il Tribunale di Salerno, sezione distaccata di Montecorvino Rovella, con sentenza del 14/7/2004 rigettava la domanda attorea, qualificando il contratto come preliminare di permuta e in accoglimento della riconvenzionale del C., ritenuta inadempiente la Edil 93, condannava l’attrice principale al pagamento degli oneri concessori dovuti al Comune.

La Corte di Appello di Salerno, con sentenza del 9/10/2009 rigettava l’appello principale di Edil 93 e, in accoglimento dell’appello incidentale di C.B., dichiarava risolto il contratto preliminare di permuta.

Con l’appello Edil 93 aveva sostenuto che l’interesse alla sottoscrizione negata dal primo giudice, tuttavia sussisteva malgrado la non contestazione dell’autenticità della sottoscrizione perchè il contratto non doveva qualificarsi preliminare, ma definitivo.

La Corte di Appello rilevava che non era dubbia la sottoscrizione del contratto che, tuttavia, per il tenore letterale delle espressioni e per la condotta delle parti doveva qualificarsi come contratto preliminare e non definitivo; pertanto respingeva l’appello principale.

La Corte di Appello rilevava che la domanda riconvenzionale del solo C.B. per la risoluzione del contratto per inadempimento doveva trovare accoglimento perchè Edil 93 si era resa inadempiente rispetto alle obbligazionì assunte nel preliminare non avendo coltivato l’intero progetto edificatorio, revocando l’istanza di altra (rispetto a quella per la quale il C.B. aveva già pagato gli oneri concessori) concessione edilizia, non avendo mai consegnato la cubatura promessa e i due box oggetto del preliminare di permuta; tuttavia non poteva essere accolta la domanda di risarcimento del danno per mancanza di prova sulle voci di danno.

Edil 93 di Iannone Carmine e C. propone ricorso affidato a tre motivi; resistono con distinti controricorsi C.B. e C.R..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo così testualmente rubricato "violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato in riferimento alla pronuncia di risoluzione del contratto preliminare di permuta del 16/7/1995 anche in favore della convenuta/appellata C.R. che non ha mai domandato la risoluzione stessa – difetto di motivazione", la società ricorrente sostiene che C.R. pur costituendosi, non aveva chiesto la risoluzione del contratto e pertanto la Corte di Appello, pronunciando la risoluzione anche nei confronti della predetta, era incorsa nel vizio di extrapetizione, nonchè nel vizio di motivazione perchè non aveva motivato l’estensione della risoluzione alla C.R..

1.1 Il motivo è manifestamente infondato: il C.B., quale controparte contrattuale (insieme alla sorella R.) ha chiesto la risoluzione dell’unico contratto bilaterale (infatti, i due fratelli costituivano l’unica controparte contrattuale di Edil 93, nè sussisteva un interesse comune da perseguire, ma ciascuna delle due parti aveva un interesse autonomo) oggetto del contendere e pertanto il giudice, accogliendo la sua domanda, non è incorso nel vizio di extrapetizione, nè era tenuto a motivare la ragione per la quale la risoluzione investiva il contratto nella sua interezza, posto che un contratto unico non può essere risolto nei confronti soltanto di uno dei soggetti che vi hanno partecipato e rimanere in vita per l’altro o gli altri stipulanti.

Il concetto di parte contrattuale del contratto, come noto, non coincide con quello di persona e ciascuna parte del contratto può essere costituita (come nella specie) da più persone; pertanto la questione posta dal ricorrente (la mancata richiesta di risoluzione da parte della cofirmataria R.) postula, semmai, una problematica connessa alla legittimazione attiva (non proposta) e che comunque nella fattispecie non si può neppure porre, posto che la cofirmataria si è costituita, non si è opposta alla risoluzione e, anzi, nel controricorso ha chiesto il rigetto del ricorso.

2. Con il secondo motivo la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato in quanto il giudice di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda di verificazione delle sottoscrizioni con il conseguente ordine di trascrizione della scrittura privata di permuta del 16/7/1995, nonchè il difetto di motivazione.

2.1 Il motivo è inammissibile per carenza di interesse in quanto il contratto è stato risolto per inadempimento e nessun interesse si può ravvisare all’accertamento dell’autenticità della sottoscrizione di un contratto la cui sottoscrizione non è stata contestata, ma anzi riconosciuta essendo stato dichiarato risolto e che, per quest’ultimo motivo, non potrebbe neppure essere trascritto.

3. Con il terzo motivo la società ricorrente deduce il vizio di motivazione con riferimento alla pronuncia di risoluzione per inadempimento e la violazione degli artt. 1453 e 1455 c.c.; assume che il giudice di appello: – non avrebbe preso in considerazione le motivazioni e il comportamento di essa ricorrente, – avrebbe infondatamente ritenuto formatosi in primo grado un giudicato interno sulla risoluzione del contratto;

avrebbe ritenuto non contestati gli inadempimenti denunciati dal C.B., mentre in ordine al fatto che alcuni immobili erano già stati venduti a terzi non v’era prova;

non avrebbe tenuto conto delle vicende, anche penali, che avevano riguardato gli immobili realizzati, determinando il rinvio della stipula del definitivo;

– non avrebbe valutato che l’esecuzione del preliminare era ancora possibile perchè non v’era prova della cessione a terzi di tutta la cubatura realizzata.

3.1 Il motivo è, in ogni sua parte, manifestamente infondato.

La Corte di Appello ha rilevato che l’inadempimento idoneo a giustificare la risoluzione era costituito da un complesso di inadempienze costituite dal non avere manlevato la controparte da oneri economici quali sanzioni e oneri concessori, dal non avere coltivato l’intero progetto edificatorio e, soprattutto, dal non avere mai consegnato il 20% della cubatura residenziale e/o i due box, costituendo, quest’ultima, la prestazione essenziale che non era stata adempiuta pur potendo essere adempiuta in quanto un fabbricato già era stato costruito.

Trattasi di valutazione di merito, adeguatamente motivata sotto plurimi e decisivi profili che evidenziano la gravità dell’inadempimento (v. partic, il riferimento all’essenzialità della consegna del 20% della cubatura edificata o dei box) alla quale la società ricorrente contrappone generiche e comunque irrilevanti giustificazioni relative a vicende penali neppure specificate in ordine all’individuazione delle responsabilità addebitate e dei soggetti responsabili o alla perdurante possibilità di adempimento.

In nessuna parte della sentenza oggetto di ricorso si sostiene che si sarebbe formato un giudicato interno sulla risoluzione del contratto;

al contrario, a pag. 13 della sentenza si rileva che sulla domanda di risoluzione per inadempimento il giudice di primo grado non aveva esplicitato alcunchè nè in motivazione, nè in dispositivo; nella sentenza di appello si da semplicemente atto che il giudice di primo grado avrebbe delibato parzialmente la domanda di risoluzione e che non v’era appello sulla debenza, da parte di Edil 93 degli oneri concessori che dovevano essere pagati dalla stessa e che invece erano stati anticipati dai C..

La circostanza della cessione a terzi degli immobili realizzati non è affermazione che si rinviene in sentenza nella quale si afferma semplicemente che la convenuta in riconvenzionale aveva "revocato l’istanza di concessione edilizia per l’altro fabbricato e venduto le relative volumetrie ad altri soggetti" (pag. 14 della sentenza) e tale affermazione è aggiunta come obiter dictum, senza peraltro costituire il fondamento della decisione.

Pertanto non sussiste nè il dedotto vizio di motivazione, nè la violazione degli artt. 1453 e 1455 c.c..

4. Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente a pagare ai controricorrenti le spese di questo giudizio di cassazione che liquida, per ciascun controricorrente, in Euro 2000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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